Post raccolta dell’uva: cosa migliorare?

Luis Luchsinger Lagos, specialista in post raccolta, esportazione e catena del freddo, fa un focus sugli aspetti da migliorare del post raccolta dell'uva in Italia

da Silvia Seripierri
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Il post raccolta dell’uva da tavola è uno degli ambiti nei quali tutto il settore ha maggiori margini di miglioramento e per capire quali sono abbiamo intervistato Luis Luchsinger, agronomo e professore associato presso l’Università del Cile (Santiago, Chile), vice direttore del Centro Studi Postraccolta (CEPOC – www.cepoc.cl) della Facoltà di Scienze Agronomiche della Università del Cile.

Luis Luchsinger Lagos, specialista internazionale in materia di post raccolta della frutta da esportazione e catena del freddo, con riferimento quindi a post raccolta dell’uva, berries, avocado e agrumi, ha ampia conoscenza in raccolta, packaging, materiali da imballaggio, raffreddamento, conservazione e trasporto.

Luchsinger è inoltre consulente di un gran numero di imprese esportatrici di frutta sia cilene che internazionali (soprattutto in Perù, Egitto, Messico e Stati Uniti). A lui abbiamo chiesto quali sono gli errori – a suo avviso – da evitare nella gestione dell’uva da tavola in post raccolta e i principali fattori sui quali le aziende di esportazione italiane dovrebbero concentrare la propria attenzione nel prossimo futuro.

Luis, raccontaci del percorso che ti ha portato a diventare uno dei più importanti esperti a livello mondiale in ambito post raccolta dell’uva.

Io sono figlio di agricoltori, mio padre era frutticoltore, per questo mi sono trovato a crescere in un ambiente agricolo, molto legato alle cose pratiche. Ho studiato ingegneria agronomica all’Università del Cile, nella quale sono poi diventato professore. In seguito sono andato negli Stati Uniti a fare un dottorato in post raccolta presso l’Università del Maryland. Sono specializzato in post raccolta di frutta e catena del freddo. Visti i problemi che ci sono nella frutta e vista la rilevanza che ha la gestione della catena del freddo, oggi mi dedico principalmente alla gestione di quest’ultima. Attualmente sono professore associato dell’Università del Cile nella capitale Santiago, ma dedico la maggior parte del mio tempo a consulenze internazionali per aziende situate in differenti parti del mondo.

Parliamo dei principali errori che si fanno con maggiore frequenza in post raccolta nel settore dell’uva da tavola.
Innanzitutto bisogna distinguere tra i Paesi che producono e vendono uva in mercati vicini e lontani. Da Murcia in Spagna alla Russia sono necessari solo 4 o 5 giorni in camion. Questa è la realtà dell’industria di Italia, Spagna, Grecia. L’altra realtà di industria dell’uva da tavola – completamente differente – è quella dei Paesi produttori: Cile, Perù, Sudafrica e Australia, che esportano frutta verso mercati molto lontani. La frutta di questi Paesi deve viaggiare per molto più tempo. I principi sono gli stessi per tutti, ma quanto più lontano trasporti tanto più i dettagli diventano importanti. Questo per un lato. L’altra cosa da considerare riguardo l’uva da tavola è che siamo abituati a gestire le cose allo stesso modo di tanti anni fa. Troppo spesso non si riflette su quello che si sta facendo. Questo avviene – credo – perché il mercato è ancora molto florido per l’uva da tavola.

post raccolta dell'uva

In Italia in genere la frutta (1) si raccoglie, (2) si pulisce per eliminare le bacche con difetti e (3) si imballa. In Italia non avete l’abitudine di raffreddare rapidamente la frutta con sistemi di raffreddamento idonei all’abbattimento rapido.

La frutta ancora calda viene messa in magazzino – in questo caso parliamo di luoghi con temperature basse – dove aspettate che la temperatura della frutta si abbassi. Il motivo di questa approssimazione è che in Italia vi trovate in prossimità dei mercati di vendita. Dalla raccolta alla bocca del consumatore passano al massimo 3 giorni. Nei vigneti cileni, ad esempio, ogni dettaglio è importante, ogni minuzia può fare la differenza nel bene e nel male, perché il prodotto dovrà viaggiare per tanti giorni prima di raggiungere il consumatore. Qui i passaggi per il post raccolta dell’uva sono i seguenti: (1) raccogliamo la frutta, (2) la puliamo in campo, (3) la imballiamo, (4) la raffreddiamo con sistema di raffreddamento rapido – si tratta di tunnel potenti che permettono di abbassare rapidamente la temperatura – (5) la immagazziniamo e (6) la inviamo. Cile e Perù sono rispettivamente primo e secondo Paese al mondo nella classifica delle maggiori distanze percorse per le esportazioni. La distanza media in km percorsi in nave per giungere sui mercati di destinazione è, per il Cile, di 13.600 km, mentre per il Perù è di 11.400 km. L’Italia ha una distanza media dai mercati di destinazione di soli 3.100 km.

Altri elementi di differenza tra i due “mondi produttivi” è che in Europa in genere non usate nella cassa di uva la cosiddetta “busta camicia”.

Voi disponete l’uva nelle casse senza nessuna protezione. La “busta camicia” ci aiuta ad evitare la perdita di peso e di acqua. Il rachide, essendo molto sensibile, si disidrata molto e dato che il consumatore associa il colore verde del rachide alla freschezza del prodotto, la maggior parte delle cose che facciamo in post raccolta per l’uva è finalizzata a mantenere il colore del rachide di un bel verde.

post raccolta dell'uva

In Italia abbiamo la fortuna di avere mercati molto vicini. Principalmente per questo la maggior parte delle aziende di esportazione di uva non sono dotate di tunnel di prerefigerazione ed effettua trasporti con una temperatura media dai 5 – 6 ai 7 – 8 °C. La domanda è: l’Italia può permettersi il “lusso” di continuare ad operare in modo non ottimale fintanto che esporta verso i mercati vicini del Centro e Nord Europa o dovrebbe comunque evolvere e migliorare la gestione della propria catena del freddo?
Io non conosco molto la realtà europea. Quello su cui però vi invito a riflettere è: quando andate al supermercato in qualità di consumatore di frutta, e vedete l’uva da tavola, qual è la vostra impressione personale del rachide? Il rachide è verde o marrone? Stiamo parlando delle esigenze del consumatore. Vi siete chiesti: Cosa vogliono i consumatori? Se potessero scegliere tra due grappoli di uva, uno con il rachide verde e l’altro marrone, quale comprerebbero? Si tratta di un concetto abbastanza semplice: quanto posso tirare l’elastico con il consumatore prima che si spezzi?

Non refrigerando correttamente la frutta state perdendo non meno del 3% della vostra produzione, ovvero non state esportando il 3% di quello che avete raccolto dalla pianta.

Si tratta di un valore molto alto in termini assoluti. Sarebbe come dire: invece di pagarti 100 euro, te ne do solo 97. Implementare un corretto sistema di refrigerazione permetterebbe alle aziende di esportazione di vendere un 3% in più di frutta. Oltre a questo 3% in più di produzione in termini quantitativi, potreste spuntare sul mercato anche un miglior prezzo, grazie al rachide verde più attraente. Ovviamente fintanto che tutti hanno lo stesso prodotto, tutti fanno più o meno lo stesso e nessuno migliora la propria qualità, la gente non -non avendo scelta – compra quello che c’è.

Quella che mi hai fatto non è una domanda facile a cui rispondere. Se noi in Cile avessimo fatto quello che fate voi in Italia, la frutta che arriverebbe a destinazione sarebbe un disastro. Tenendo conto di come voi gestite il post raccolta per l’uva da tavola, se esportaste l’uva in Cina – dove è necessario un viaggio di 20 giorni dall’Europa – la vostra frutta non arriverebbe in buono stato. L’uva non arriva in buono stato neanche nel vicino mercato europeo, figuriamoci in Cina. E per “buono stato” mi riferisco sempre al colore del rachide, che deve essere verde per essere sinonimo di fresco.

Parliamo di quello che succede al frutto dal punto di vista fisiologico quanto la gestione della catena del freddo avviene in modo non corretto.

Per spiegarti quello che succede al frutto in post raccolta, è necessario conoscere e capire la psicrometria, la disciplina che studia le proprietà della temperatura e il vapore acqueo dell’aria. La disidratazione di un frutto si verifica perché c’è un deficit di pressione di vapore tra la frutta e l’ambiente. Immagina uno pneumatico di auto: al suo interno c’è aria, ad esempio con una pressione di 3 atm. Quest’aria ha una pressione più alta di quella atmosferica esterna. Quando un chiodo ti fora lo pneumatico, l’aria esce muovendosi da dentro verso fuori. Ora torniamo a noi: la frutta ha sempre il 100% di umidità relativa e, ad una determinata temperatura, allo stesso modo di uno pneumatico ha una certa tensione di vapore. Ora, l’auto per avere buona stabilità deve avere gli pneumatici con una certa pressione interna. La pressione e il vapore acqueo si muovono da una pressione maggiore verso una minore. La frutta cede acqua all’ambiente in modo continuo o, in altri termini, l’aria che circonda il frutto ruba costantemente acqua al frutto. Così si genera la disidratazione.

La disidratazione è collegata a temperatura e umidità dell’aria.

Esatto. Si parte con un grappolo che ha il rachide verde e man mano che passa il tempo si nota che più è alta la temperatura, più nel tempo il rachide cambia di colore e il grappolo perde peso. I grappoli che sono più attraenti agli occhi del consumatore sono anche più pesanti. Man mano che passa il tempo, la frutta perde peso e si disidrata maggiormente. Da queste osservazioni deduciamo due cose: se da un lato la disidratazione ti fa perdere produzione, dall’altro arriverà un momento in cui avrai perso tanto di quel peso che sarà compromesso anche l’aspetto esteriore del frutto. Questo è il problema più grosso, perché un prodotto con un cattivo aspetto viene sistematicamente punito dal consumatore. La frutta disidratata è considerata vecchia e influenza la scelta del consumatore. Quando viene meno l’aspetto esteriore, il consumatore dice: “No, grazie”. E compra un altro frutto.

Ci sono molte cose nelle nostre aziende di esportazione che possono – e dovrebbero – essere migliorate. Quali sono le principali?

Per diminuire la perdita di peso – quindi per ridurre la disidratazione – si possono fare molte cose. La prima è trasportare la frutta dal campo o imballarla nel minor tempo possibile. Molte volte voi imballate direttamente in vigneto: raccogliete la frutta, la pulite e la mettete in una busta. Per noi questo sarebbe quasi impossibile, perché l’imballaggio è troppo complesso. Ci sono troppe cose che mettiamo nella cassa per permettere all’uva di arrivare al mercato di destinazione. In sintesi i passaggi sono i seguenti:
(1) imballare prima possibile e più rapidamente possibile,
(2) abbassare la temperatura della frutta nel modo più rapido possibile e – una volta che la frutta è fredda -,
(3) aumentare l’umidità relativa.

Questi tre punti sono assolutamente fondamentali. Il primo di questi tre punti voi italiani lo raggiungete perché imballate direttamente nel vigneto: tagliate, pulite il grappolo e lo mettete nella bustina. Quello che vi manca è raffreddare la frutta rapidamente. Purtroppo quello che non fate è la cosa più importante di tutte.

 

Mirko Sgaramella

©uvadatavola.com

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