La Noacoop, nata 16 anni fa per volontà di un gruppo di produttori, è una società cooperativa che raccoglie, confeziona e commercializza il prodotto dei soci, in particolar modo uva da tavola.
Attualmente Noacoop è socio di Apo Conerpo, la più grande associazione di organizzazioni di produttori in Europa. La Redazione di Uva da Tavola.com ha intervistato il presidente di Noacoop, Vito Difruscolo, per un’analisi della stagione commerciale dell’uva da tavola (ormai alle fasi finali), delle nuove varietà di uva senza semi e delle prospettive future del settore.
Uva da Tavola (UT): Quali sono i prezzi presenti attualmente sul mercato nazionale ed internazionale?
Vito Difruscolo (VD): L’annata procede in modo eccezionale dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Ci sono ottime produzioni. Il clima si presenta ancora favorevole. È da giugno che non si verificano precipitazioni significative e, a metà novembre, non ci sono ancora le condizioni per lo sviluppo di marciumi seri, degni di nota. Le uve prodotte si mantengono sane e genuine. Questo è quello che osserviamo oggi in campo, ma si può dire che anche per le varietà precoci la situazione è stata analoga. I soci Noacoop producono anche uve senza semi. Anche su queste varietà si sono osservate ottima qualità e produzioni elevate (a differenza degli anni passati quando le produzioni erano più basse). Quanto ai prezzi, i dati di fine settembre in nostro possesso indicano un incremento del 15% rispetto all’anno precedente, anche se questi dati riguardano in particolar modo le uve precoci.
UT: Quali sono i gusti e le tendenze dei consumatori?
VD: Noacoop commercializza per il 90% all’estero, principalmente Scandinavia, Danimarca, Svezia e Norvegia, ma anche Germania. Fino a pochi anni fa questi Paesi rappresentavano l’areale che meno risentiva della crisi. Forse anche per questo oggi è un mercato per lo più saturo, soprattutto quello tedesco. Quest’anno abbiamo avuto certezza del definitivo orientamento di questi mercati verso le varietà senza semi. Fino al 2011 la proporzione delle uve commercializzate era 60% uve con semi, 40% senza semi. In questo 2012 la proporzione si è invertita: 60% seedless, 40% varietà tradizionali.
UT: Quali sono i principali problemi cui gli esportatori devono far fronte?
VD: Innanzitutto i problemi di carattere economico. Le banche come noto stanno limitando fortemente l’accesso al credito e si fa fatica a disporre di liquidità. Noi però dobbiamo pagare i nostri fornitori a 60 giorni. Certo, essendo una cooperativa abbiamo meno problemi rispetto ai commercianti, ma comunque risentiamo della rigidità nell’accesso al credito. Il problema più grosso è però rappresentato dalla scarsa competitività del nostro Paese rispetto ai nostri concorrenti. Grosso modo produciamo nello stesso periodo di Grecia e Spagna, ma la nostra produzione si sovrappone anche con quelle di Egitto e Turchia. Nel confronto l’Italia risulta perdente, soprattutto per gli alti costi del lavoro. L’abbattimento dei costi lo si può ottenere solo se il produttore riesce anche a commercializzare. Ma si tratta di piccolissime realtà, aziende che operano senza certificazioni e senza strutture, praticamente con costi ridotti a zero. Questi soggetti però non sono in grado di rapportarsi con la GDO, quindi hanno una importanza relativa.
UT: Come vede il futuro dell’uva da tavola?
VD: Il mio punto di vista è che trovare spazio in questo settore sarà sempre più difficile. Tutti i Paesi del Nord Africa offrono ormai un prodotto di ottima qualità e a prezzi relativamente bassi. Tuttavia credo anche che sarebbe sbagliato preoccuparsi troppo. La nostra è una zona vocata per l’uva da tavola. Ma bisognerà investire, fare sacrifici, lavorare sul rinnovo varietale e sull’ammodernamento delle strutture. Il grosso dei costi di domani sarà collegato all’innovazione, ma non è detto che investire in innovazione porterà degli utili.
UT: Quali sono le varietà più promettenti commercialmente?
VD: Le varietà più promettenti sarà il mercato ad individuarle mediante le scelte del consumatore. Oggi le seedless più richieste sono Sugraone e Crimson. Queste varietà si affiancano alle tradizionali varietà con semi: Vittoria, Palieri, Italia e Red Globe. Bisogna investire o si rischia di essere tagliati fuori. Ma sono ottimista: credo che difficilmente tireremo i remi in barca. Anche perchè la passione non manca ai produttori di oggi come non mancava ai nostri nonni.
UT: Può fare un confronto tra i nostri principali competitori in Europa (Spagna, Grecia, ecc.,)?
VD: La Spagna copre un periodo di produzione analogo all’Italia e fino a ieri si può dire che è stato un nostro concorrente. In futuro non si sa. La mia analisi è che la Spagna sta puntando soprattutto sul mercato inglese e su quello scandinavo. La Grecia invece ha diversi contatti e sembra stia puntando soprattutto su Germania ed Est Europa. La Turchia invece si riferisce principalmente all’area che va dalla Germania fino alla Russia con piccoli contatti in Inghilterra.
UT: Con cosa dovremo fare i conti in futuro?
VD: Credo con la concorrenza delle altre nazioni. Bisognerà organizzarsi. Una forma di aggregazione, dalla produzione alla commercializzazione, agevolerebbe molto il lavoro di tutti. Servirebbe una regia capace di coordinare l’attività del Sud-Est barese nel settore dell’uva da tavola. Quello che oggi manca, insomma. Ognuno opera in modo isolato. Se io provo a difendere il prezzo del prodotto, c’è subito qualcuno fa un’offerta più bassa. Ed il prezzo scende. C’è il problema che il prodotto è deperibile e ci sono spesso commercianti con prodotto da smaltire. La GDO estera commercializza, credo, un decimo di prodotto a prezzo pieno. Il resto lo fa a prezzi di promozione. Si cerca sempre l’offerta migliore.
UT: Cosa manca sul territorio per aumentare la competitività del settore?
VD: Manca, lo ripeto, l’aggregazione, una piattaforma creata qui da noi. Ma le iniziative non ci sono. Anche le cooperative. Siamo solo due sul territorio. Noi stiamo lavorando sul ricambio varietale. Ma in modo molto graduale.
UT: Come vede la Noacoop la segmentazione che caratterizza oggi sempre più il mercato delle uve da tavola senza semi?
VD: Vedo attualmente una gran confusione legata alle uve senza semi e al gran numero di varietà che si stanno proponendo. Molte varietà e pochi quantitativi sul mercato. Diventa difficile fare un programma di commercializzazione così come anche proporsi sul mercato. Un buon rapporto commerciale necessita di massa critica e buon lavoro, cosa che oggi c’è solo con pochissime varietà. Ecco perchè torno a dire: aggregazione, o almeno scambio di informazioni unita ad una linea comune. Inoltre credo che nonostante le mille varietà proposte, la domanda di uva sia molto meno sensibile e si divide semplicemente in uva bianca, rossa e nera. Oggi sono riconosciute solo poche varietà come tali. Se si possiedono queste varietà le si vendono col nome, altrimenti arrivano sul mercato come generiche uve senza semi. Senza contare un altro fattore non da poco relativo alle seedless: molte fanno fatica a maturare e hanno un’epoca di commercializzazione breve.
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