Abbiamo intervistato Teresa Diomede, titolare dell’Azienda Agricola Racemus, impegnata nella commercializzazione e produzione di uva da tavola ma anche nella realizzazione di attività e collaborazioni in “controcorrente”.
Uva da Tavola (UdT): Quali sono le caratteristiche principali dell’Azienda Racemus?
Teresa Diomede (TD): La nostra, prima che azienda di esportazione, è innanzitutto un’azienda agricola, aspetto che tengo a sottolineare. Si tratta di una realtà produttiva nata dopo la scissione dell’azienda di famiglia: quattro generazioni di viticoltori che, fin da prima degli anni ’40 ha iniziato, in maniera pionieristica, ad esportare uva lontano da queste terre. Siamo pertanto un piccolo esempio di filiera corta, si elimina, per quanto possibile, l’intermediazione.
UdT: Ci fa un’analisi della campagna 2012 dell’uva da tavola?
TD: Per quanto ho potuto notare, la campagna quest’anno è partita bene nei primissimi giorni di commercializzazione delle uve precoci, ma dopo pochi giorni il mercato non ha più risposto, non c’è stato il consumo ed è mancato il prezzo, soprattutto per la Vittoria. Situazione che poi si è protratta per la varietà Italia fino a novembre. L’euforia che si osservava talvolta in campo non corrispondeva alla realtà dei mercati. Molti produttori hanno aspettato a vendere perchè le condizioni climatiche continuavano, almeno fino alla metà del mese scorso, a permanere stabili e senza piogge intense. Quando finalmente sembrava essere arrivato il momento ideale per le nostre uve, le condizioni climatiche avverse hanno contribuito alla comparsa di botrite che ha causato non pochi danni. Un po’ meglio il discorso per le uve rosse e nere: per Palieri e Red Globe i prezzi sono stati abbastanza buoni, anche se molti hanno comprato queste uve a prezzi alti, ma sono rimaste a lungo in cella.
UdT: Perché si è verificata questa situazione?
TD: Forse perché non c’è più grande interesse per le nostre uve, oppure la crisi sta riducendo la propensione all’acquisto di un prodotto che è ritenuto non strettamente necessario. La produzione della nostra azienda agricola va in Spagna per l’80%, Nazione che è stata messa a dura prova dalla crisi economica. Forse da noi non c’è la disponibilità economica per acquistare l’uva. Anche la Russia, tradizionalmente grande importatore di uva dall’Italia (soprattutto Red Globe), quest’anno sta ritirando meno rispetto al passato. Però si stanno aprendo altri canali anche se difficili da gestire. La nostra azienda ha commercializzato in Vietnam due anni fa, poi il canale si è interrotto, non ci hanno più ricontattato e non abbiamo potuto farlo noi in modo diretto. Ci sono delle dinamiche politiche ed economiche che bisogna rispettare. Comunque l’Estremo Oriente, quindi Cina, India e Asia in generale, sono ottimi mercati e lo saranno sempre più in futuro.
UdT: Quali sono i principali problemi cui gli esportatori devono far fronte?
TD: È semplice, abbiamo difficoltà a vendere. Diventa perciò difficile non svendere, non abbassare i prezzi, il prodotto è deperibile e prima o poi bisogna cedere. Altro problema: le facili contestazioni e l’Art. 62 che impone il pagamento della fornitura a 60 giorni.
UdT: L’uva da tavola, secondo lei, ha un futuro?
TD: Se l’uva ha futuro? Io penso di sì. Ma il futuro sarà per pochi, per quelli che sapranno rinnovarsi, trovare nuovi mercati, nuove varietà. Chi produce deve anche commercializzare o viceversa. In questo modo si possono seguire in modo diretto le produzioni e i supermercati sono più propensi all’acquisto.
UdT: Quali sono le varietà colturali più promettenti commercialmente?
TD: Personalmente sono più orientata verso le varietà più tradizionali, le classiche coltivate sul territorio da decenni: Italia, Palieri, Red Globe, ovvero varietà con seme, anche se tutto il mondo va verso le senza semi. Forse le preferisco proprio perchè tutti vanno verso le senza semi. La richiesta per le senza semi rosse è molto alta, ma non voglio mettere da parte le uve bianche con seme perchè sono convinta che abbiano ancora molto da dare alla nostra viticoltura. E penso anche che se le nostre uve con semi classiche non sono sufficientemente apprezzate dai mercati è anche colpa nostra, che non sappiamo comunicare la qualità del prodotto ed il pregio del nostro territorio. C’è ancora tantissimo da fare, bisogna lavorare per qualificare il territorio e legarlo al prodotto uva. Primo passo: bisognerebbe far sparire i rifiuti ai margini delle strade, principali e secondarie. Sono un pessimo biglietto da visita che rimane impresso nella memoria dei turisti che percorrono la nostra Puglia nel periodo estivo.
UdT: Ci faccia un confronto tra la situazione del settore viticolo italiano e i nostri principali competitors in Europa (Spagna, Grecia).
TD: La Spagna è uno dei nostri principali competitori, ma la mia situazione è particolare: Racemus esporta verso la Spagna. Sul mercato dal mio punto di vista non trovo concorrenza. Le nostre uve hanno grosso modo gli stessi prezzi della Spagna, mentre sono effettivamente più bassi in Grecia ed Egitto. Ma la finestra di commercializzazione di queste due aree di produzione è molto stretta. Inoltre i volumi che arrivano in Europa sono ancora bassi e gli spagnoli sono innamorati delle varietà Italia e Red Globe prodotte sul nostro territorio. Anche loro producono queste due varietà ma il prodotto è diverso dal nostro, per questo gli spagnoli importano uve dall’Italia: per il consumo interno oppure per riesportare, ad esempio verso le Canarie ed il Portogallo. La nostra Nazione è ancora molto forte quanto a qualità dell’uva, questo ci permette di mantenere ancora relativamente salde le fette di mercato conquistate nel tempo. Ma se gli altri Paesi del Bacino del Mediterraneo aumentano le produzioni e iniziano a produrre con elevata qualità (e prima o poi ci arrivano sicuro). Sarà un problema gestire una simile situazione.
UdT: Con cosa la viticoltura da tavola italiana dovrà fare i conti in futuro?
TD: Con la globalizzazione. Bisogna continuare ad insistere sulla qualità e sui servizi. Noi abbiamo una lunga storia di viticoltura alle spalle e sappiamo produrre qualità. Ma la qualità la raggiungeranno tutti prima o poi.
UdT: Cosa intende per servizi?
TD: Per servizi intendo una logistica seria ed affidabile, una certificazione di qualità. E poi il packaging (che però non ritengo la componente più importante).
UdT: La Turchia ed il Nord Africa sono oggi dei competitori per le aziende italiane?
TD: Riguardo la mia azienda posso dire che, ad oggi, non c’è competizione. In questi Stati non si produce Italia, Palieri e Red Globe, loro fanno altro, producono senza semi. Io non vedo concorrenza. Ma il prodotto, nostro e loro, arriva sul mercato.
UdT: Il Brasile riesce ad arrivare sui mercati già ad Ottobre. Possono le produzioni di questo Paese essere considerate in competizione con le nostre?
TD: Il Brasile arriva in Europa, è vero, ma con quali prezzi? Certo la qualità c’è, loro fanno due raccolte, ad Aprile e ad Ottobre. Ma per quanto ne so la produzione che arriva ad ottobre è di qualità inferiore per tanti motivi di carattere fisiologico. Questo in fondo per noi è positivo. E poi la domanda interna brasiliana è alta, questo Paese sta crescendo molto economicamente. Ci sono stati periodi in cui le uve italiane sono state importate dal Brasile. In definitiva comunque la concorrenza del Brasile non dovrebbe essere un problema nel breve-medio periodo.
UdT: Cosa manca sul territorio per aumentare la competitività del settore?
TD: Ovviamente manca l’aggregazione di chi coltiva, di chi vende. Parlo dell’aggregazione seria, non di quella fittizia fatta di carte e documenti che girano. Manca una voce unica in difesa dei nostri interessi. Se noi commercianti non condividiamo le difficoltà, le truffe subite, i problemi incontrati, difficilmente si riuscirà ad andare avanti. Non riusciamo a parlare tra noi e questo è un problema serio. E comunque rispetto al passato siamo cambiati in meglio, molti oggi denunciano furti di identità, comunicano e mettono in allarme da possibili truffe. Ma il percorso non è ancora stato completato. Altro problema: la politica, la cui attività oggi non aiuta il settore. Il nostro territorio non si sta muovendo per fare attività di lobby e pressioni per favorire la commercializzazione. Oggi per noi italiani vendere in Canada è praticamente impossibile, ci sono elementi politici che non si possono superare. Infine occorre puntare di più sulle risorse di cui il territorio dispone, ma che bisogna coltivare e aiutare nella formazione. Noi abbiamo una partnership con l’ITC Montale: più o meno 75 ragazzi del terzo e quarto anno ogni primavera vengono da noi per un progetto scuola-lavoro, osservano cosa si fa in azienda (produzione, commercializzazione, come si compra, come si vende, come ci si approccia con un cliente, le contrattazioni in campo, ecc.). Questo conferisce ai ragazzi una visione reale di cosa succede nella commercializzazione. L’ITC Montale si è avvicinato a Racemus volontariamente perchè abbiamo lavorato bene su aspetti che vanno oltre la semplice commercializzazione. Ne è un esempio l’evento annuale realizzato per fare il punto della situazione sull’uva da tavola, l’aspetto comunicativo, l’ecosostenibilità della nostra azienda.
UdT: Quali sono le prospettive per il futuro di questo settore?
TD: Io cerco di superare la crisi con le alleanze: se non li posso sconfiggere mi devo alleare con loro. Io mi sto muovendo da sola per fare fronte a tutti I problemi e in questo modo sono cresciuta. Ho esposto le mie necessità e sono riuscita a trovare un contatto ed uno sbocco. L’obiettivo personale è di continuare a crescere come azienda, di migliorare e di aumentare ulteriormente l’attenzione per l’ambiente.
UdT: Come valuta l’estrema segmentazione che si sta determinando nel campo delle senza semi? È una tendenza da seguire?
TD: Per molti versi penso di sì. Il consumatore vuole avere molta scelta e coglie queste opportunità, ma molte varietà di uva non vengono commercializzate nello stesso modo. Se una varietà si vende poco, quella varietà finisce per uscire fuori produzione. Questo vale per tutte le uve ovviamente. Prendiamo la Vittoria: sono tre anni di fila che non si apprezza sul mercato. A tutti gli effetti la Vittoria oggi attrae meno rispetto al passato. C’è una sorta di selezione naturale.
UdT: Concludiamo con una curiosità, qual è l’origine del nome dell’azienda: Racemus?
TD: “Racemus” è un termine latino, significa piccolo grappolo d’uva (racemus, racemo, racioppo). Perchè proprio racioppo? Perchè descrive ottimamente l’approccio che ho con il mercato, con il mio lavoro: sono piccolo, la mia azienda è piccola, ma lavoro bene. I feedback sono sempre stati positivi.
Contatti:
Teresa Diomede
Gruppo Racemus
Viale del Commercio lotto 17-19 70018 Rutigliano (BA)
Tel.: (+39) 0804761325
Fax: (+39) 0804725731
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Web: www.racemus.com
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