Uva da Tavola ha intervistato i fratelli Demarinis, titolari dell’azienda agricola D & M Fruit e appartenenti alla cooperativa Puglia Seedless, per conoscere la loro visione sul settore dell’uva da tavola.
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Uva da Tavola (UT): Cominciamo con una breve presentazione della vostra azienda.
Demarinis (DM): L’azienda agricola si chiama D & M Fruit, nata nel 2008, estesa per 22 ettari localizzati per la maggior parte tra Rutigliano e Casamassima, ma con una piccola superficie anche a Castellaneta. La commercializzazione dell’uva prodotta da questa e da altre due aziende, avviene per mezzo della cooperativa Puglia Seedless. Le varietà di uva che coltiviamo sono: Italia e Red Globe (con semi), Flame, Crimson e Regal (senza semi). Oltre all’uva da tavola, in azienda ci sono anche superfici destinate ad albicocco, percoco ed altro.
UT: Volendo fare una rapida analisi della stagione 2012, quali sono le problematiche più importanti da ricordare?
DM: Come noto, il grosso problema osservato in campo nella passata stagione è stato il caldo. Non ci sono stati picchi estremi ma le alte temperature sono durate per lunghissimi periodi. Le piante erano visibilmente stressate anche perchè la semplice irrigazione non era sufficiente a compensare l’assenza di pioggia. Per questo motivo molte uve, salvo poche eccezioni, mancavano di croccantezza.
UT: E dal punto di vista fitopatologico?
DM: Credo che il problema principale sia stato l’oidio. A cominciare da giugno, in post-fioritura, fino a settembre inoltrato. Quest’ultimo tra l’altro è il periodo più difficile per difendersi dato che si è in piena fase di raccolta. Così sul rachide l’oidio è comparso anche in vigneti dove fino a settembre non si erano avuti problemi. Tra l’altro, non saprei se per il caldo o per la non corretta esecuzione dei trattamenti, ma ho riscontrato qualche problema nell’efficacia di alcuni antioidici. Bisogna considerare che oggi tutti cerchiamo di ottenere acini con un calibro sempre maggiore, questo vuol dire che le uve diventano progressivamente più suscettibili ad eventuali attacchi da parte dei patogeni.
UT: Ci sono stati insetti il cui contenimento si è rivelato più complesso rispetto ad altri?
DM: Direi i tripidi in generale. Sia la Frankliniella occidentalis, che dal controllo dei grappoli risultava non presente, salvo poi trovare gli acini danneggiati, che il Drepanotrips reuteri, quelli che comunemente ritroviamo sulle foglie. Forse sarebbe stato necessario un trattamento in più contro la Frankliniella.
UT: Facciamo adesso un’analisi della campagna 2012 di commercializzazione dell’uva da tavola.
DM: Penso si possa dire che questo è stato l’anno delle senza semi. Si è confermato, quindi, l’interesse per le uve apirene. La maggior richiesta verso questo tipo di uve è partita già con le precoci, nel nostro caso la Flame seedless. Le uve con semi hanno sofferto anche problemi di qualità a differenza delle uve apirene, tranne le Crimson che hanno avuto problemi di colorazione. Comunque il mercato del Nord Europa ha dimostrato di apprezzare le uve senza semi. Questo trend si va ormai consolidando
UT: Nella vostra azienda agricola aumenterà la percentuale di uve senza semi?
DM: Il progetto esiste ed è partito già alcuni anni fa. È previsto l’aumento di produzione di uve senza semi nella nostra azienda. Questo perchè c’è una tendenza ad una maggior richiesta di queste uve, ma anche perchè coltivarle significa ridurre i costi di produzione, soprattuto quelli legati all’acinellatura, pratica molto costosa che rende non più competitiva la produzione di uve che necessitano di questa operazione. Chiaramente non stiamo eliminando l’uva con i semi, ma ne stiamo riducendo la percentuale coltivata.
UT: Restiamo sulle senza semi. Avete già un’opinione rispetto alle possibili varietà che in futuro potrebbero apprezzarsi meglio sul mercato?
DM: La tendenza degli ultimi anni è un maggior apprezzamento per le uve pigmentate, sia rosse che nere. Tra le rosse la più richiesta è la Crimson, per la grande capacità di essere commercializzata. Questa varietà ha poi una buona tenuta in cella e un ampio periodo di commercializzazione, da fine Agosto–inizo Settembre fino a Dicembre. E poi ha un gusto che è facile apprezzare, oltre essere croccante. La superficie coltivata potrebbe quindi facilmente aumentare e credo che nel periodo medio tardivo la Crimson possa essere considerata una varietà leader. Quanto alle varietà precoci, ce ne sono tante e non c’è ad oggi una varietà che si sta imponendo sulle altre.
UT: La Crimson, quindi, non dà alcun tipo di problema in fase di conservazione?
DM: Se l’uva è stressata, come lo era quest’anno, si imbrunisce abbastanza facilmente. Ma è una situazione legata ad una particolare annata. In generale il rachide tiene bene, anche se la durata è sicuramente inferiore rispetto a quanto si osserva nel caso delle uve con rachide più spesso. Il vero problema della Crimson è il colore, specialmente nelle zone calde come l’arco jonico. Molto meglio nelle zone interne del nostro Sud Est barese.
UT: E le varietà a bacca bianca?
DM: Di varietà senza semi a bacca bianca ce ne sono molte, ma non saprei indicarne una migliore delle altre. Forse la Regal, ma la buccia è spessa e molti mercati non la gradiscono. Ha il vantaggio che si conserva bene in cella perciò quando finiscono le altre uve senza semi bianche, si possono gestire gli invii con tranquillità. Poi c’è anche la Superior, che arriva in un periodo dove la quantità di prodotto sul mercato è molto alta. Però anche quest’ultima è richiesta e si consuma con relativa facilità. Poi ha un buon sapore, neutro, che soddisfa i gusti delle diverse tipologie di consumatori esistenti. Senza contare che l’acino ha un bel calibro ed il grappolo è ben sviluppato.
UT: Qual’è la vostra opinione sulle varietà brevettate e le royalties?
DM: Partiamo da un presupposto: il costitutore ha il diritto di brevettare le nuove varietà per cui ha lavorato e per la cui realizzazione ha investito tempo e denaro. Ci sono poi costitutori che si sono spinti oltre, applicando anche l’esclusiva sulla commercializzazione delle uve prodotte. In questo caso il problema si fa un po’ più delicato perché secondo me c’è il rischio che questa esclusiva, data solo ad alcuni soggetti, porti al fallimento stesso della varietà. Non sempre questi soggetti riescono a garantire un’adeguata commercializzazione e remunerazione al produttore di uva da tavola per garantirne la sostenibilità. Limitare a pochi la commercializzazione di queste varietà sarebbe un rischio abbastanza grosso, perchè a mio avviso non è detto che questi siano in grado di commercializzare adeguatamente il prodotto. Io non sono per niente d’accordo sul limitare la commercializzazione delle uve. Resta il problema che i costitutori sono sempre esteri, non c’è qualcosa nato in Italia, rispettando le nostre esigenze pedoclimatiche.
UT: Quanto questa lacuna rappresenta un problema per il settore dell’uva da tavola in Italia?
DM: Noi siamo costretti a sperimentare varietà che sono state costituite in California, in Sudafrica, ecc., con un clima tipico di quelle aree. Queste varietà non sempre si adattano alle nostre condizioni pedoclimatiche, elemento che rappresenta un chiaro svantaggio per il produttore che sostiene delle spese per sperimentare e portare a produzione una varietà che dopo anni si rivela non adeguata. Il problema è che non riusciamo a costituire in zona delle varietà interessanti.
UT: Secondo la vostra opinione questo problema nel medio lungo periodo potrà essere sanato?
DM: Io sono fiducioso, ma spero però nell’iniziativa del privato per finanziare la ricerca varietale eseguita direttamente sul nostro territorio.
UT: E le strutture pubbliche già esistenti?
DM: Non credo che possano nel prossimo futuro tirare fuori qualcosa. La ricerca pubblica in Italia è stata fortemente compromessa.
UT: Rispetto ai nostri competitori a livello del Mediterraneo, quindi Spagna, Grecia, Paesi del Nord Africa, quale posizione riveste attualmente la nostra nazione?
DM: L’Italia ha nel tempo perso posizioni, semplicemente perché i competitors presenti nel Bacino del Mediterraneo godono di una differenza valutaria sproporzionata. In questi Paesi ci sono costi di produzione molto bassi, dovuti sia alle condizioni economiche del Paese, sia alla differenza di valuta. Questo significa perdere progressivamente posizioni dal punto di vista commerciale. Perchè se è vero che riusciamo a produrre uva di elevatissima qualità è pur vero che il prezzo è di gran lunga superiore a quello praticato dai nostri competitors.
UT: Cosa sarebbe necessario per aumentare la competitività?
DM: Per essere più competitivi servirebbero degli incentivi da parte delle istituzioni. Qui ritorna sempre il problema dei contributi agricoli, di gran lunga più esosi rispetto a quelli che sono i costi sostenuti daI produttorI spagnoli o greci. Servirebbe, credo, un’armonizzazione almeno in Europa del costo previdenziale oltre che incentivi alla produzione sull’acquisto delle materie prime. Il gasolio agricolo ha dei prezzi raddoppiati rispetto a due anni fa.
UT: Come ci si sta muovendo a livello di territorio per cercare di far fronte alla competizione estera?
DM: Io credo che non si stia facendo nulla di serio. Ognuno, come al solito, sta cercando soluzioni in modo autonomo ed isolate dagli altri. Il territorio è frammentato, nonostante ci siano delle associazioni che raggruppano sia i commercianti che i produttori. Non ci si sta muovendo molto. Il problema a questo punto diventa politico.
UT: Questa fase di stallo è rischiosa. Nel tempo si corre il pericolo di continuare a subire la concorrenza e a perdere posizioni.
DM: La risposta del territorio dovrebbe essere quella di offrire un prodotto migliore, in modo da giustificare la differenza di prezzo rispetto agli altri Paesi produttori presenti nel Mediterraneo. Il know-how degli operatori presenti nel Sud-Est barese è ampio e consolidato. Noi godiamo di una grande esperienza che gli altri Paesi del Bacino del Mediterraneo ancora non hanno. Dobbiamo puntare sul “saper fare”.
Autore: la Redazione
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