Da alcuni anni l’Italia, pur mantenendo il primato a livello europeo, sta perdendo posizioni nell’export di uva da tavola a livello mondiale.
Secondo i dati dell’OIV, gli Stati Uniti, grazie anche al supporto di aiuti statali, hanno da qualche anno superato l’Italia nell’export mondiale, conquistando così la seconda posizione in una classifica che vede saldamente al primo posto il Cile.
Intensa è stata poi negli ultimi anni la crescita di paesi come l’Egitto e l’India. L’Italia, purtroppo, sul fronte dello scambio di prodotti ortofrutticoli a livello internazionale soffre per le numerose barriere fitosanitarie imposte dai diversi Stati del mondo. Queste limitano la possibilità di esportare uva italiana sui mercati esteri o ne riducono di molto la convenienza economica.
Gli esportatori sono obbligati dai vari Stati al rispetto dei vari protocolli, di volta in volta redatti, e all’applicazione di specifiche metodiche di disinfestazione.
L’esportazione di uva da tavola dall’Italia è espressamente vietata verso Paesi quali Australia, Cina, Giappone, Israele, Sud Africa e Taiwan.
Arabia Saudita, Emirati Arabi e Hong Kong richiedono, invece, un certificato fitosanitario di accompagnamento alla merce. Il certificato fitosanitario è richiesto anche da Canada, India, Nuova Zelanda (che prevedono nel protocollo anche il trattamento a freddo dei lotti in ingresso) e dalla Federazione russa (che invece esige l’analisi dei residui). Per entrare negli Stati Uniti, infine, è necessario: certificato fitosanitario, trattamento con bromuro di metile e trattamento a freddo.
Appare evidente, dalla mole di divieti e di vincoli connessi, l’impossibilità per l’Italia di confrontarsi con i maggiori Paesi esportatori a causa delle diverse barriere fitosanitarie che oggi frenano le nostre esportazioni.
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Autore: la Redazione
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