Abbiamo intervistato Giacomo Suglia, presidente di APEO, vicepresidente di Fruitimprese e del consorzio IGP Uva di Puglia ed esportatore di ortofrutta, per conoscere la sua visione sul settore dell’uva da tavola.
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Uva da Tavola (UT): cominciamo col presentare l’APEO, associazione di cui sei presidente.
Giacomo Suglia (GS): L’APEO è l’Associazione degli Esportatori Ortofrutticoli Pugliesi, una realtà nata ormai 33 anni fa, che a livello nazionale aderisce a Fruitimprese, l’associazione delle imprese private italiane del settore ortofrutticolo. In quest’ultima associazione svolgo il ruolo di vicepresidente.
UT: Quali sono gli obiettivi per cui è nata e a cui punta l’APEO?
GS: L’obiettivo è quello di rappresentare il settore dei produttori e degli esportatori ortofrutticoli a livello istituzionale e sindacale e di promuovere le attività del settore ortofrutticolo. Recentemente, solo per fare un esempio, siamo riusciti ad ottenere l’IGP per l’uva da tavola.
UT: Commercialmente come si può giudicare la stagione 2012?
GS: Ci siamo scontrati con la forte difficoltà dei consumatori ad acquistare la nostra uva. La crisi è presente e le difficoltà nei consumi a livello europeo ne sono la logica conseguenza. In più i costi da sostenere aumentano, in particolare quelli del carbuante. Quando aumenta il costo del carburante, noi esportatori risentiamo doppiamente del problema, perchè paghiamo il trasporto degli imballaggi vuoti che arrivano in magazzino ed il trasporto della merce che viene spedita in tutta Europa. L’ortofrutta fresca si sposta tutta su gomme, il trasporto su rotaia non è impiegato in questo settore. Anche i costi energetici sono stati alti. Risultato: i maggiori quantitativi venduti si sono osservati in concomitanza delle promozioni. Si vendono cioè grossi quantitativi se il prezzo è competitivo, mentre si fa fatica a vendere a prezzo pieno e questo aspetto gioca a discapito della qualità. Si sono realizzate molte confezioni da 2,5 kg, da 2 kg e anche da 1 kg, ma si tratta di prodotto da vendere molto velocemente. Ciò dimostra che il potere di acquisto del consumatore non è molto alto.
UT: Qual è la tua opinione sull’export in Europa da parte dei Paesi Emergenti?
GS: Bisogna fare due considerazioni. Innanzitutto la grande convenienza valutaria che tutti i Paesi produttori come Brasile, Sudafrica, ecc., hanno nell’esportare nell’eurozona per il cambio valutario estremamente allettante. Contrapposto a questo punto positivo, c’è la forte rigidità opposta dall’Europa sul fronte fitosanitario riguardo gli aspetti residuali. Ci sono altri Paesi, molto meno esigenti sotto questo aspetto, quali Russia, Cina ed India. Questi Stati sono caratterizzati, tra l’altro, da consumi sempre crescenti per il migliorare delle condizioni di vita della popolazione. Esportare in questi Paesi è oggi molto più interessante che esportare in Europa.
UT: Questo spiega perchè un po’ tutti i principali Paesi produttori di uva stanno puntando ad esportare verso il Medio e l’Estremo Oriente. Anche l’Italia aspira ad esportare in queste popolose ed emergenti aree del pianeta?
GS: Dal punto di vista dei volumi, i paesi del Medio e soprattutto dell’Estremo Oriente sono interessantissimi. Basta pensare a Cina ed India. Potenzialmente si tratta di un’enorme quantità di consumatori (la popolazione della Cina ammonta a 1 miliardo e 343 milioni di abitanti, quella dell’India a 1 miliardo e 241 milioni, ndr). C’è però il problema degli incassi. In India, ad esempio, non esistono importatori all’altezza, è più facile per loro esportare in Europa che per noi europei esportare in India. Con la Cina c’è invece un problema di tipo politico. Ci sono alcuni prodotti che noi europei non possiamo ancora esportare in Cina e uno di questi è l’uva da tavola. Questo rappresenta per noi un grande problema. Lo scorso anno l’APEO ha ospitato qui nel sud-est barese una delegazione cinese in visita nelle nostre aziende agricole, ma ancora oggi, nonostante la pressione sul Ministero, non possiamo attuare in modo diretto l’esportazione in Cina.
UT: Questa situazione, quindi, presenta problemi di natura politica?
GS: Loro dicono per motivi fitosanitari, ma credo che si tratti di una mancanza di accordi di tipo politico tra Stati. Gli stessi accordi che invece hanno fatto per altri settori, come quello industriale. In altre parole manca un’azione incisiva da parte del Governo italiano che permetta a noi di esportare liberamente in Cina i nostri prodotti.
UT: Riuscire ad esportare in Cina significherebbe avere accesso ad un mercato di oltre 1,3 miliardi di persone.
GS: Si tratta anche di un Paese dove il Pil cresce molto velocemente. Anche loro incominciano ad apprezzare i nostri prodotti, per questo sarebbe per noi molto interessante entrare in Cina.
UT: Molti altri Paesi però esportano già in Cina.
GS: Si, è vero. Ci sono Paesi con i quali la Cina ha sviluppato un canale commerciale preferenziale e con i quali ha sviluppato accordi politici anche per l’ortofrutta fresca. Un modo per aggirare il problema potrebbe essere quello di triangolare la merce attraverso tali Paesi. Ma la triangolazione è rischiosa e poco conveniente dal punto di vista economico. L’utile lo intasca lo Stato che gode della preferenza commerciale con la Cina. Eppure noi importiamo tutto dalla Cina, non capisco perchè per noi non sia ancora possibile esportare. La globalizzazione va intesa come libera circolazione di uomini e cose, perchè questo non si traduce in pratica?
UT: Pensi che prima o poi si arriverà ad un accordo con questi Paesi?
GS: Io penso di si, c’è un interesse reciproco e forse più loro che nostro. Purtroppo però l’attenzione politica al momento è rivolta ad altri settori, quello ortofrutticolo è un settore attualmente un po’ trascurato.
UT: Quali sono i problemi più seri con cui gli operatori del settore uva da tavola devono confrontarsi?
GS: La burocratizzazione, sia sul piano della produzione che su quello del confezionamento. Le leggi cui è necessario ottemperare sono tantissime. Ultima in ordine di tempo è il discusso art. 62, che idealmente avrebbe dovuto essere un contratto di trasparenza tra produzione e grande distribuzione, mentre in realtà oggi ci accorgiamo che si tratta solo di un ulteriore grosso problema, sia per gli uni che per gli altri.
UT: Quindi per permettere al settore di guadagnare competitività servirebbe ridurre questi vincoli burocratici?
GS: E’ così, serve semplificazione di tutta la burocrazia presente nel nostro settore. E questo vale anche per quanto riguarda l’assunzione della manodopera e la sicurezza sul lavoro. Qui sul territorio la dimensione media aziendale è di 2,5 ha. Una singola azienda non si può permettere di pagare un consulente per tutte queste operazioni, il costo è troppo alto.
UT: Qual’è la tua opinione rispetto agli altri Paesi nostri competitori in questo settore? Parliamo della Spagna e della Grecia in Europa, ma anche dei vari Paesi del Nord Africa che producono uva da tavola.
GS: Io penso che i nostri competitori siano attualmente soprattutto Spagna e Grecia. Finchè sono stati presenti sul mercato europeo greci e spagnoli, quindi parliamo del periodo luglio-agosto, i prezzi sono stati quest’anno piuttosto bassi, soprattutto per quanto riguarda le uve senza semi. Bisogna tenere conto che le condizioni climatiche in Spagna ed in Grecia sono state peggiori delle nostre e in questi Paesi si sono avuti danni alle produzioni di uva. Così da settembre il mercato europeo aveva da comprare solo dall’Italia, ovvero da Puglia e Sicilia. I prezzi delle apirene in tale periodo hanno subito un rapido incremento. Parliamo di prezzi anche pagati al produttore superiori ad 1 euro/kg. In particolare per le varietà medio-tardive come la Crimson.
UT: E i Paesi del Nord Africa?
GS: Intanto bisogna dire che le loro produzioni arrivano prima delle nostre. Si può affermare che quando loro stanno finendo di commercializzare, noi iniziamo. La competizione si ha forse solo nel mese di luglio.
UT: Però anche in questi Paesi ci si sta attrezzando per posticipare, per mantenere il prodotto in cella.
GS: Sì, è vero. Anche se io credo che per noi possa essere un problema più la conservazione in cella che il posticipo della produzione. Per le loro condizioni climatiche fatte di temperature elevate, il posticipo diventa difficile da praticare. Certo, loro hanno circa un mese di anticipo rispetto a noi, ma hanno anche numerosi problemi. L’uva, a causa delle temperature eccessive, fatica a maturare, spesso si ferma attorno ai 16 ° Brix. Lo stesso vale per il colore e per il rapporto tra acidità e zuccheri. Le nostre uve tendono per tutti questi motivi ad essere più gustose.
UT: Sul piano quantitativo le produzioni nordafricane che si riversano sui mercati europei, possono rappresentare un problema, o parliamo di volumi relativamente bassi?
GS: Le produzioni di uva nei paesi del Nord Africa stanno crescendo. Tuttavia credo che ad oggi non rappresentano un reale problema, perchè stanno aumentando anche i consumi interni di uva che diventano di anno in anno importanti. Anche perchè le uve da esportare in Europa devono essere al top sia per qualità estetica e organolettica che per ridotta presenza di residui fitosanitari. Quello europeo è un mercato elitario e molto esigente, e non tutta l’uva che viene prodotta in quest’area è esportabile in Europa.
UT: Facciamo un confronto tra l’Italia e i paesi competitori presenti in tutto il Bacino del Mediterraneo. C’è da temere la competizione di qualcuno?
GS: L’Italia deve temere solo la propria instabilità politica e i propri continui aumenti di costi connessi al perdurare di questa situazione. Non ci sono programmi precisi e l’operatore commerciale oggi in Italia è anch’esso, si può dire, precario. Anche le aziende oggi sono precarie. Se la grande distribuzione non può permettersi di tenere determinati prezzi sul mercato, finisce per acquistare a prezzi più bassi. E noi non possiamo permetterci di rifornirli per via dei costi eccessivamente alti. Parlo dei consumi di trasporto e di tipo energetico, delle tasse, dei costi di previdenza, della manodopera. Sono questi costi che alla fine compongono il prezzo finale di vendita e molti operatori finiscono fuori mercato.
UT: A quali altri problemi è necessario far fronte nel settore dell’uva da tavola?
GS: L’altro grosso problema che avevamo fino ad oggi è stato quello di non poter dare un nome ed un cognome a questa produzione tipica del nostro territorio. Questo è un problema che credo si potrà risolvere adesso che la comunità europea ha approvato l’IGP per l’uva di Puglia. Questo riconoscimento ci permetterà di comunicare al consumatore le qualità di questo prodotto, aspetti nutrizionali, gustativi, ecc. Quello che già avviene oggi per mele, arance e altri prodotti. Nel campo dell’uva da tavola, invece, i diversi operatori hanno fin’ora tanti marchi personalizzati, perchè non era presente un elemento comune di identificazione. Adesso questo marchio comune c’è, e in qualità di vicepresidente del consorzio dell’IGP non posso che augurarmi che l’iscrizione all’IGP uva di Puglia possa coinvolgere tutti, a partire dai produttori. Questo marchio consentirà di comunicare al consumatore gli aspetti positivi del prodotto uva da tavola. Per fare questo l’Unione Europea mette a disposizone dei finanziamenti a fondo perduto fino al 75%.
UT: Qual è il tuo punto di vista sul futuro della viticoltura da tavola pugliese?
GS: Io credo che se il produttore, insieme al tecnico, di cui quasi nessuno riesce più a fare a meno, individua il giusto equilibrio tra la qualità del prodotto ed i costi di produzione, così da restare competitivi sul mercato, si riuscirà sempre ad avere la possibilità di commercializzare questo prodotto. Quando poi riusciremo a superare la lunga fase di crisi che stiamo attraversando, sarà anche possibile fare investimenti. Questi dovranno essere mirati all’ottenimento di due cose: qualità del prodotto e riduzione dei costi di produzione.
UT: Cosa pensi delle nuove varietà senza semi?
GS: L’imprenditore ha il dovere di essere sempre al passo con i tempi e se possibile anche anticiparli. L’uva con semi ci ha permesso di vivere decenni di successi. Poi il consumatore ha iniziato a voler provare le uve senza semi e noi abbiamo iniziato a coltivarla. Ci sono Paesi che sull’uva da tavola stanno investendo molto. Questo ha portato anche alla nascita di società multinazionali che detengono brevetti sulle nuove varietà senza semi, capaci di stimolare il consumo da parte del mercato. Credo che si osserverà questo: la produzione delle uve con seme diminuirà per fare posto a quelle senza semi. Ciò potrebbe determinare un aumento del valore delle uve col seme e si potrà così riequilibrare la situazione esistente sul nostro territorio così da permettere agli operatori di trovare remunerazione nella produzione di uva da tavola.
UT: Quindi le uve senza semi si affermeranno, ma quelle tradizionali con semi non scompariranno?
GS: Non dobbiamo dimenticare che la nostra è una zona caratteristica per la produzione di uva con semi: Italia e Vittoria soprattutto. In tutte le aree del mondo dove si produce uva da tavola, le varietà coltivate sono senza semi. L’uva con semi rappresenta pertanto una “novità” nel mondo. Per noi che invece queste uve le abbiamo da decenni, la novità è rappresentata dalle senza semi. Ma ripeto, a livello mondiale la novità siamo noi che abbiamo un prodotto che si differenzia dagli altri.
UT: Anche i consumatori vedono nelle nostre uve con semi la novità?
GS: I consumatori europei non molto. Del resto esportiamo le nostre uve con semi ormai dagli anni ’50. Per il Nord Europa la varietà Italia non è più una novità. L’uva con seme sta avendo un buon successo in Medio Oriente, nell’area del Golfo Persico, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Oman. Quest’anno l’Italia ha esportato uva da tavola sia in Egitto e, addirittura, in Libia. Questo significa che tali mercati apprezzano il nostro prodotto con seme.
UT: Quali sono le azioni da mettere in pratica per aumentare la competitività del settore dell’uva da tavola?
GS: Sotto il profilo della professionalità, per quanto riguarda la produzione ed il confezionamento, credo che in Italia ci troviamo attualmente ad un livello molto alto. Questo non significa che non dobbiamo puntare ad un ulteriore miglioramento. Forse servirebbe una maggiore coesione tra produzione e commercializzazione, in modo da poter meglio dialogare con la Grande Distribuzione Organizzata. Oggi produttori e commercianti da una parte e GDO dall’altra sembrano troppo spesso due mondi a sé stanti. Si tratta di realtà che a volte si scontrano tra loro. Il mio auspicio è creare una stretta collaborazione tra GDO e produzione. Più in generale ritengo che in Italia si possano individuare tre settori chiave, sui quali credo bisogna puntare per far fronte alla crisi economica ed occupazionale: turismo, cultura e agricoltura. Se i nostri politici fossero più attenti a questi tre settori forse avremmo oggi qualche problema in meno.
Autore: la Redazione
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