Il professor Enrico de Lillo (Università degli Studi di Bari) e il ricercatore Sauro Simoni (CREA – Firenze) presentano una panoramica completa degli acari della vite che potrebbero compromettere le produzioni di uva da tavola.
Le disposizioni riportate nelle “Norme eco-sostenibili per la difesa fitosanitaria e il controllo delle infestanti delle colture agrarie”, pubblicato recentemente dalla Regione Puglia (Aggiornamento 2022), includono pochi acari nocivi alla vite. Per entrambe le destinazioni produttive (tavola e vino), il dispositivo elenca solo il tetranichide Panonychus ulmi, meglio conosciuto come ragnetto rosso dei fruttiferi e della vite, e l’eriofide Calepitrimerus vitis, il cosiddetto agente dell’acariosi della vite.
Sulla vite in Puglia si rinviene frequentemente anche l’agente dell’erinosi, l’eriofide Colomerus vitis.
Altre specie di acari fitofagi sono meno comuni. Tra queste, il ragnetto rosso comune o bimaculato, Tetranychus urticae, il quale infesta la vite nella stagione più calda e quando le erbe spontanee tendono a indurirsi e seccarsi, oppure il falso ragnetto Brevipalpus lewisi che si manifesta sporadicamente in dense popolazioni, talora anche sui grappoli, provocando rugginosità della superficie del raspo. In molti casi, le infestazioni di queste specie sono rilevanti solo localmente e non si ripetono regolarmente negli anni. Una ulteriore specie, il ragnetto giallo della vite, Eotetranychus carpini, è un fitofago ben noto in altre aree viticole italiane, ma la sua presenza risulta meno favorita dalle condizioni climatiche della Puglia e meridionali in genere.
Sono numerose le specie di acari della vite ma mostrano comportamenti differenziati (come ad esempio i predatori) o non sono strettamente specializzate. Il loro corretto riconoscimento, almeno a livello di grandi gruppi, è quanto mai opportuno.
In tal senso, le attività didattiche presso le Università pugliesi prevedono insegnamenti anche dedicati all’acarologia e agli organismi infestanti la vite. La razionalizzazione degli interventi fitosanitari e la conseguente riduzione del numero degli stessi con prodotti per la protezione delle piante in viticoltura, in seguito all’applicazione di strategie più sostenibili – nonché alla maggiore attenzione nella scelta e nell’impiego delle sostanze chimiche – ha consentito, in generale, una maggiore salvaguardia dei predatori e, in particolare, degli acari fitoseidi. Questo approccio, consolidatosi negli ultimi anni, ha consentito un minore impatto degli acari fitofagi in viticoltura.
È da rimarcare come i nuovi impianti continuano a essere i più fragili ed esposti a infestazioni importanti e precoci e, pertanto, devono essere oggetto di più attento monitoraggio e potenziale maggiore controllo.
Gli acari della vite non sono di facile individuazione da parte degli operatori e tecnici per la loro dimensione.
I due eriofidi citati hanno lunghezze al limite del potere risolutivo dell’occhio umano, cioè 0,2 millimetri, e posseggono colorazione ialina che facilmente si confonde con gli organi della pianta. Gli adulti delle altre specie tra quelle precedentemente indicate sono lunghi, al massimo, intorno al mezzo millimetro. Solo le femmine dei due ragnetti, P. ulmi e T. urticae, offrono un maggiore contrasto con il substrato per la loro colorazione rossastra. Pertanto, il monitoraggio in campo deve essere sempre assistito dalla disponibilità di lenti a meno che non si operi sul rilevamento dei soli sintomi che, a esclusione del colomero, non sono poi così specifici ed evidenti a basse densità di popolazione.
Un minimo di familiarità e training con questi acari sono necessari per evitare di scambiare le specie fitofaghe con altre indifferenti (i comuni e solitamente innocui tideidi, per esempio) o utili (i fitoseidi predatori). Ovviamente il prelievo di campioni della pianta, il loro esame diretto o di un estratto è risolutivo. Questo implica tempi non sempre compatibili con lo svolgimento dell’assistenza tecnica attuale in campo.
Ampia differenziata variabilità si registra per quanto riguarda i sintomi indotti dalle punture di alimentazione degli acari: si diversificano in funzione della densità di popolazione, dello stadio fenologico della vite, della cultivar, delle condizioni ambientali e agronomiche.
Il ragnetto rosso dei fruttiferi e della vite è una specie tendenzialmente polifaga con netta preferenza per le piante arboree e arbustive. Il ragnetto rosso comune è altamente polifago con predilezione per le piante erbacee mentre sulla vite tende a comparire in tarda primavera-estate. Il ragnetto giallo, infine, è specie diffusa in aree viticole fresche e collinari; questa specie è infeudata alla vite ma il range delle piante ospiti non è stato ancora ben definito. Le tre specie di ragnetto infestano prevalentemente la pagina inferiore delle foglie e i sintomi indotti non consentono di risalire con certezza all’organismo responsabile. In genere, a bassa densità di popolazione, i sintomi sono poco appariscenti e consistono in punti clorotici della lamina fogliare determinati dallo svuotamento delle cellule parenchimatiche.
Queste clorosi possono estendersi e lasciare il posto a necrosi, ingiallimenti, imbrunimenti o bronzature a seconda delle epoche di infestazione, della densità di popolazione e delle cultivar. Dense popolazioni su foglie giovani si accompagnano alla riduzione della dimensione della lamina e alla sua deformazione. Tuttavia questi sintomi possono essere determinati anche da altri organismi nocivi. Nei casi di forti infestazioni si può verificare anche una filloptosi e l’impatto sulle foglie può tradursi in deficienze nella maturazione del legno e nella qualità della produzione. Infestazioni importanti al germogliamento, poi, possono ostacolare la regolare crescita del tralcio.
Tipicamente, la produzione di ragnatela è maggiore ed evidente solo per il ragnetto rosso comune. Infestazioni importanti da ragnetto rosso dei fruttiferi si possono accertare anche in inverno, per esempio alla potatura, quando gli aggregati di uova svernanti, di colore rossastro, sono visibili solitamente in prossimità dei nodi, spesso intorno alle gemme.
Al contrario, il ragnetto rosso comune e il ragnetto giallo svernano da adulti in ricoveri vari, soprattutto nelle screpolature offerte dal ritidoma, e non sono esposti all’osservazione diretta durante l’inverno.
La difesa con mezzi chimici dei ragnetti va attuata quando si accerta una presenza diffusa delle forme mobili sulle foglie, considerando una soglia percentuale di foglie infestate tendenzialmente più alta al germogliamento (epoca nella quale l’incremento della popolazione è più alto e più facile la diffusione dei ragnetti sui corti germogli) rispetto al periodo estivo (quando la massa della vegetazione diluisce in qualche modo la popolazione degli acari, ma si dispone anche di una superficie verde molto ampia che può ammortizzare gli effetti dell’infestazione).
La presenza delle due specie di eriofide si manifesta in modo diverso e deriva dai loro comportamenti ben distinti. L’agente dell’acariosi cerca rifugi, come le gemme, e forma popolazioni sulla superficie della foglia e degli altri organi verdi, raspo e acini inclusi.
Danni
L’azione trofica è decisamente più fine rispetto a quella dei ragnetti. Su organi maturi interessa solo lo strato epidermico, mentre su organi giovani è incentrata sui tessuti più teneri composti da cellule più piccole e in accrescimento.
È per questa azione che organi maturi tenderanno a mostrare macchie puntiformi opalescenti oppure rugginosità molto fini, evidenza particolarmente sgradita, su acini di cultivar a bacca bianca. Anche in questi casi la precisione diagnostica diventa fondamentale in quanto questi sintomi si possono sovrapporre e confondere facilmente a quelli indotti da altri organismi nocivi. Gli organi giovani infestati, invece, tenderanno a manifestare deformazioni più o meno importanti in relazione alla densità di popolazione e alla precocità dell’infestazione degli organi. In particolare, l’azione trofica avviata nelle gemme ne può indurre l’atrofia oppure causare l’accrescimento stentato e irregolare dei germogli. Questo effetto è risultato più importante quando più esteso è il periodo compreso tra il rigonfiamento delle gemme e la fase di punta verde, cosa che si verifica con un clima tendenzialmente fresco.
Il colomero, in modo diverso, è tipicamente legato alla comparsa di erinosi cioè alla formazione di una concavità sviluppatasi prevalentemente sulla pagina inferiore della foglia contenente lunghi e candidi peli molto appressati tra di loro.
Queste deformazioni si realizzano quando le foglie sono infestate precocemente e solo nella fase iniziale del loro accrescimento, mentre non si possono indurre sulle foglie mature. In alcune situazioni, l’erinosi può svilupparsi anche sulle infiorescenze. Queste erinosi rappresentano veri e propri incubatori delle popolazioni. Recentemente, si è accertato come questo eriofide possa indurre anche alterazioni nella crescita dei germogli.
Tuttavia, le condizioni climatiche pugliesi, di solito, non favoriscono lo sviluppo di infestazioni importanti e tali da indurre effetti significativi sulla produzione.
In genere, i sintomi dovuti a colomero compaiono precocemente al germogliamento e poi si ripresentano solo su un numero limitato di foglie apicali. Il colomero, tuttavia, è stato recentemente individuato come vettore del Grapevine Pinot Gris Virus: la malattia indotta da questo virus, seppure tuttora oggetto di un approfondimento di studio, sembra essere di un certo rilievo nel penalizzare la produzione. Gli eriofidi di entrambe queste due specie superano l’inverno protetti prevalentemente nelle gemme: all’interno di queste, alla ripresa vegetativa, iniziano a nutrirsi e indurre i loro effetti.
Il controllo chimico degli eriofidi va realizzato preferibilmente allo stadio di punta verde allorquando si è verificata una forte infestazione nell’annata precedente oppure in piena stagione qualora sia stata accertata una consistente infestazione al fine di evitare danni sui grappoli. A causa delle peculiarità di infestazione e delle dinamiche di popolazione, è difficile definire le soglie di intervento per gli eriofidi. Di ausilio all’individuazione del momento migliore di intervento sono le indicazioni riportate nelle “Norme eco-sostenibili per la difesa fitosanitaria e il controllo delle infestanti delle colture agrarie“.
Conclusioni
In conclusione, è opportuno sottolineare come particolare attenzione debba essere posta nella selezione delle sostanze attive da applicare specificatamente contro gli acari nocivi alla vite avendo cura di utilizzare quelle autorizzate, quelle che interferiscono poco o nulla con gli antagonisti naturali, e nel rispetto degli intervalli di sicurezza. Va ricordato che le varie app e i database specializzati offrono facilmente queste informazioni. Infine, nella programmazione del controllo degli acari nocivi della vite bisogna tener presente che gli interventi di controllo applicati contro altri organismi nocivi della vite esercitano spesso un effetto collaterale anche contro gli acari.
A cura di: Enrico de Lillo1, Sauro Simoni2
1: Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Bari.
2: Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria Centro di ricerca Difesa e Certificazione, Firenze.