Ben venga lo sblocco dell’accordo con la Cina per l’export degli agrumi siciliani, ma oggi più di prima occorre conoscere con certezza i quantitativi di agrumi prodotti in Sicilia.
Solo così si potrà valorizzare la nostra produzione anche sui mercati internazionali». A sottolinearlo è Salvatore Imbesi, titolare della Agrumigel, azienda di trasformazione associata al Distretto Agrumi di Sicilia.
«Le istanze emerse in passato al tavolo tecnico coordinato dal Distretto, accettate dall’Assessorato all’Agricoltura della Regione Sicilia e dal Ministero dell’Agricoltura, adesso vanno tradotte in legge – aggiunge Imbesi -. Se la Cina, in virtù dell’accordo, ci chiede quanti limoni o quante arance produciamo, oggi nessuno potrà fornire una cifra esatta. Sui siti istituzionali ci sono numeri sempre diversi, su quelli dell’assessorato e del ministero non ce ne sono proprio. Questo non permette di valorizzare come si dovrebbe la nostra produzione, perché non siamo in grado di dire con esattezza qual è il suo quantitativo, quanta ne destiniamo al fresco e quanta alla trasformazione. Così non riusciamo neanche a dare il giusto surplus ai produttori e a stabilire un prezzo remunerativo per il nostro prodotto. Se non facciamo questo, parliamo solo di commercio, non certo di dare valore alla nostra produzione».
«Abbiamo già avanzato richieste specifiche volte ad una riorganizzazione complessiva della filiera, al monitoraggio delle produzioni commercializzate e trasformate attraverso azioni già concordate, alla necessità di una maggiore tutela legislativa delle nostre produzioni – aggiunge Federica Argentati, presidente del Distretto Agrumi di Sicilia -. Adesso bisogna fare in modo che le richieste avanzate dalla filiera diventino effettive, con l’obiettivo di mettere in etichetta la provenienza d’origine del prodotto come è già avvenuto per altre filiere. Tutte azioni che dovrebbero essere inserite nel Piano Agrumi nazionale che non può più essere rimandato. Il Distretto Agrumi di Sicilia, inoltre, pone la questione oggi, a maggio, ben prima dell’avvio della prossima campagna agrumicola: occorre sottoscrivere l’accordo di filiera per il trasformato tra produzione e industria che l’anno scorso non è stato sottoscritto. L’obiettivo è sempre e solo uno: dare il giusto valore al prodotto siciliano a partire dalla campagna».
«Conoscere i quantitativi della produzione siciliana è la base per poter programmare il futuro della nostra agrumicoltura – aggiunge Giuseppe Di Silvestro (Cia Sicilia) -. Altrimenti non saremo in grado di sfruttare accordi come quello con la Cina. Poiché gli agrumi possono essere inviati in Cina solo via mare, con un lungo viaggio di 40 giorni, dobbiamo fare un lavoro di programmazione che va dalle campagne alla fase di post produzione, in modo tale che il nostro prodotto possa avere standard qualitativi e fitosanitari che permettano di affrontare tempi lunghi di trasporto e distribuzione. In questo processo la ricerca scientifica può avere un ruolo importante».
«Auspico lo sblocco dell’accordo con la Cina non si riduca in uno dei tanti “bluff ” da aggiungere alla lunga lista che, ormai, vede l’agrumicoltura come la cenerentola del comparto ortofrutticolo – aggiunge Giovanni Selvaggi di Confagricoltura Sicilia -. Al contempo vanno rivisti l’embargo verso la Russia e i recenti accordi internazionali Ue-Marocco. Ad oggi, nostro malgrado, non è stata fornita risposta, da parte del Governo nazionale, alle incessanti richieste, provenienti dal coordinamento Agrinsieme, di un piano agrumicolo nazionale serio e concreto che non trascuri le necessità di riconversioni varietali idonee anche a neutralizzare le fitopatie e l’immissione di barriere fitosanitarie che ne scongiurino l’ingresso di ulteriori. Mi piacerebbe, che, il governo nazionale possa fornirci le risposte che da tempo attendiamo, nello stesso tempo impiegato da un container carico di agrumi per arrivare in Cina: circa 45 giorni».
«Il settore necessita di una strategia comune che si basi su conoscenza dettagliata della produzione, su regole chiare e sulla collaborazione concreta, leale e produttiva tra tutti i soggetti della filiera – afferma Gaetano Mancini, presidente di Confcooperative Sicilia -. Tutte le principali esperienze del mondo agroalimentare e ortofrutticolo ci dicono che lo sforzo aggregativo ed organizzativo può essere premiato significativamente dalla maggiore capacità di penetrazione sui mercati, soprattutto quelli internazionali. La crisi di questi anni ha riguardato molto meno le aziende che avevano intrapreso la strada dell’export, che è più impegnativa ma possibile. Innovazione, progettualità, mercato, trasformazione ed export possono rappresentare parole chiave per una maggiore remunerazione ai produttori e per la più complessiva valorizzazione dell’agrumicultura nell’ambito dell’economia dei nostri territori».
Fonte: economysicilia.it