Come e quanto paghiamo effettivamente i breeder? Quali potrebbero essere le ripercussioni di un via libera alla vendita di uve coperte da brevetto? Questi gli interrogativi che sorgono tra alcuni produttori di uva da tavola, dopo la sentenza della Cassazione che ha riconosciuto il diritto alla distribuzione libera delle uve senza semi anche se coperte da royalty.
All’iniziale entusiasmo generato dalla notizia, ben presto ha fatto seguito la perplessità: sono tanti, infatti, i produttori di uva da tavola che ora si chiedono quali saranno le reali conseguenze e cosa potrebbe cambiare a livello di filiera.
Alcuni sono certi che il vero nodo non sia nel versamento delle royalty ai gruppi di breeder.
“Tra noi produttori e i breeder c’è sempre il commerciante che è poi chi determina il prezzo” – racconta alla nostra testata un viticoltore pugliese. “La questione che andrebbe approfondita non è relativa alla possibilità di vendere la nostra uva al migliore offerente, senza alcun vincolo, ma riuscire a capire quanto sto versando e a chi. Perché il produttore non si interfaccia direttamente con il breeder, ma con i commercianti di ortofrutta”. Secondo alcuni, infatti, da un lato, l’effetto immediato di questo “via libera” potrebbe determinare la fine della concorrenza tra gli operatori commerciali. Dall’altro, potrebbe ripercuotersi negativamente sul produttore che a questo punto potrebbe non avere più il polso della situazione: “Se prima, pur se non sempre secondo remunerazioni sperate, ero certo di poter vendere il mio prodotto in quanto garantito dal “marchio” e dal commerciante disposto a tagliare l’uva per venderla, adesso potrei restare completamente a mani vuote”.
In sostanza, dopo questa sentenza, gli equilibri della filiera potrebbero cambiare e la bilancia, seppur momentaneamente a favore di produttori, rischia di pendere da un momento all’altro dal lato opposto.
Per approfondire la questione, abbiamo chiesto un parere a Massimiliano Del Core, Presidente della CUT – Commissione Italiana Uva da Tavola.
“La CUT si è sempre occupata dei rapporti tra produttori, operatori commerciali e costitutori di nuove varietà internazionali e nazionali sia per la Puglia che per la Sicilia. Stiamo seguendo la questione con grande interesse perché si tratta di un tema fondamentale per il posizionamento competitivo della nostra uva da tavola sul mercato. Se riusciamo a produrre varietà più appetibili per i mercati, più resistenti e performanti possiamo venderle bene e avere un reale beneficio per tutto il comparto. In questi termini, dunque, l’innovazione varietale è fondamentale. Come poi questa debba avvenire e secondo quali regole deve essere affrontata sul territorio italiano è però un tema delicato come dimostra il clamore suscitato dalla sentenza dei giorni scorsi. Una sentenza che conclama finalmente un principio su cui la CUT da sempre interviene, secondo cui la tutela del diritto intellettuale frutto della privativa vegetale si esaurisce per il breeder quando viene concesso al produttore il diritto di impiantare. Un principio che veniva distorto dai contratti posti in essere sul nostro territorio nazionale. Almeno fino a questa sentenza.
Accanto a questo, è poi bene sottolineare un altro concetto che la Commissione Italiana Uva da Tavola ha sempre avuto chiaro: affinché l’innovazione varietale garantisca successo sui mercati e quindi consenta al produttore di beneficiare di un posizionamento competitivo, bisogna fare in modo che si realizzi una vera filiera in grado di valorizzare il prodotto attraverso l’attività commerciale e di promozione sui mercati: il sistema di filiera di base ibrida e volontaria, in cui produttore e operatore commerciale si scelgono e collaborano rimane la chiave del successo del comparto. In tal senso, crediamo che la sentenza rappresenti veramente una vittoria. Riprendendo una sentenza della Corte di Giustizia Europea, infatti, la sentenza della Cassazione decreta che – una volta esaurito il diritto intellettuale, cioè quando la varietà viene piantata legalmente e quindi data in concessione al produttore – il frutto pendente di quella pianta può essere distribuito dal produttore a chi vuole, senza la necessità di un’autorizzazione ulteriore da parte del breeder. Come sempre, però, è bene che questa vittoria non si tramuti presto in un’incertezza nelle regole e nei rapporti nella filiera, con una esasperazione ulteriore di quella mancanza di programmazione di cui il nostro comparto già soffre. Al contrario, deve invitare ulteriormente a lavorare in ottica di filiera – sulla scorta di quanto fanno per esempio le organizzazioni di produttori – così da poter ottenere benefici concreti. In quest’ottica, proprio per favorire il dialogo e la pianificazione per lo sviluppo dell’innovazione varietale, la CUT, già lo scorso ottobre, ha proposto di costituire insieme ai breeders italiani e internazionali il tavolo dell’innovazione dell’uva da tavola italiana, con la partecipazione ovviamente di produttori e marketers. E al netto del quadro attuale, più che mai appare necessario”.
Ilaria De Marinis
© uvadatavola.com