Si chiama certificato fitosanitario per l’export e rappresenta il via libera per vendere un determinato prodotto in un Paese terzo.
L’ultima tappa di un lavoro prezioso, reso ancora più complesso da globalizzazione e cambiamento climatico. Un lavoro che parte dalla terra e si snoda lungo l’intera filiera.
Per le piccole e medie imprese che vogliono esportare i propri prodotti, il primo ostacolo è infatti rappresentato da forme surrettizie di protezionismo da parte di Paesi extraeuropei. Non solo dazi. Spesso sono le barriere fitosanitarie a rappresentare il principale ostacolo all’export del made in Italy.
Barriere talvolta necessarie per impedire la crescente diffusione di organismi nocivi, ma più spesso introdotte come forme surrettizie di protezionismo da parte di Paesi extraeuropei.
Tra le trattative attualmente in corso a livello nazionale ci sono quelle con la Cina per una serie di prodotti tra cui riso, erba medica, farina di frumento; Corea del Sud per gli agrumi, Giappone per il kiwi, Sud Africa per pere, mele, uva da tavola; Canada ancora per l’uva da tavola; Taiwan per arance, pere e mele, Messico per le sementi di ortaggi. Sono invece concluse le trattive negoziali con Cina (kiwi e agrumi), Cile (ancora kiwi), Usa (pere e mele), Giappone (arance).
A renderlo noto è una nota della Regione Emilia Romagna che perl’occasione ha organizzato una serie di seminari che da qui a giugno affronteranno diverse tematiche legate all’internazionalizzazione, secondo la strategia del dopo Expo.
Fonte: regione.emilia-romagna.it