Con 64.818 aziende agricole (sulle 300mila totali in Europa) e un tasso di crescita del settore pari al 10.5%, è facile capire come mai l’Italia voglia dire la sua nella regolamentazione del settore biologico a livello comunitario.
La direttiva sugli Ogm deve applicarsi anche agli organismi ottenuti mediante tecniche emerse successivamente alla sua adozione.
Secondo il diritto Ue, qualora non sia accertato che un prodotto geneticamente modificato possa comportare un grave rischio per la salute umana, degli animali o per l'ambiente, né la Commissione né gli Stati membri hanno la facoltà di adottare misure di emergenza quali il divieto della coltivazione, come fatto dall'Italia nel 2013.
Trasparenza sui voti dei diversi Paesi, esclusione delle astensioni dal conteggio delle preferenze, coinvolgimento dei ministri competenti su decisioni particolarmente controverse.
L’Unione Europea è chiamata in tempi brevi a chiarire la propria posizione sulle nuove tecniche di miglioramento genetico, le cosiddette New Breeding Techniques (NBT), basandosi su oggettive basi scientifiche e non su spinte emozionali o politiche.
Il ministro dell'ambiente Corrado Clini ha affermato nel corso di una recente intervista di “ritenere insensato continuare a tenere a freno la ricerca, considerando che l'ingegneria genetica è una infrastruttura comune per la ricerca di molti settori, tra i quali la protezione delle piante.
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