I fattori che influiscono sulla colorazione delle uve sono molteplici. Con Silverio Pachioli – Agronomo, Fitopatologo e Accademico dei Georgofili e dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino scopriamo quali sono e come intervengono nel processo di colorazione nella seconda parte dell’articolo pubblicato sul magazine.
Fattori ambientali che influiscono sulla colorazione delle uve
La bibliografia riporta diversi fattori ambientali influenti sulla biosintesi dei composti antocianici, riconoscendo come principali (1) la luminosità e (2) la temperatura. La prima è considerata “stimolante”; la seconda “inibente”. Una temperatura ambiente compresa tra 23 e 27 ºC è considerata ottimale per la colorazione. Si concorda sul fatto che da 30 ºC in su la produzione di antociani inizia a diminuire; valori al di sopra di 35 °C inibiscono completamente la sintesi delle antocianine, indipendentemente dalla temperatura notturna. Altrettanto importante è poi considerare le differenze di temperatura tra il frutto e l’ambiente, poiché il frutto esposto alla luce diretta può avere 10 °C in più rispetto al frutto coperto.
L’influenza dell’escursione termica tra il giorno e la notte è spesso controversa. Senza ignorare che un intervallo dell’ordine di 10 ºC è vantaggioso con temperature di 20-30 ºC, quella stessa differenza cessa di essere favorevole con valori da 25 a 35 ºC, poiché, anche se il livello di oscillazione termica è lo stesso, il numero di ore in cui il frutto si troverà in un ambiente ottimale sarà notevolmente inferiore (Peppi, 2005). In generale, la diminuzione della concentrazione degli antociani in concomitanza delle alte temperature è attribuibile a una minore attività degli enzimi che intervengono nella loro biosintesi (PAL, UFGT, ecc.) e/o all’interferenza sull’espressione dei geni che codificano per gli enzimi stessi. Gli antociani presentano differenze nella loro stabilità: i di-idrossilati (cianidina e petunidina) sono più sensibili alla temperatura e alla luce, in particolare la cianidina.
Per quel che concerne le alte temperature, esse sono negative per le varietà con difficoltà a colorare, ma possono diventare un fattore positivo per i frutti che tendono a essere molto scuri.
Ad ogni modo, l’effetto della temperatura sul colore dovrebbe essere un aspetto da tenere in debita considerazione quando si realizza un nuovo impianto. Nelle zone con temperature elevate è infatti consigliabile evitare varietà rosse “più chiare” in cui predomina geneticamente la cianidina.
Anche la luce è importante per la sintesi del colore, ma bisogna sempre collegare questo parametro alla temperatura. In pratica, è difficile separare i due fattori. In molti casi, quando la luminosità aumenta, si ottiene un’intensità di colore inferiore, perché anche la temperatura tende a crescere. In altri casi, quando la luce aumenta, si ottiene una maggiore colorazione delle uve in situazioni in cui la temperatura non raggiunge determinati livelli limite. Nel complesso, nella determinazione del colore per l’uva da tavola, tra le due variabili, la temperatura è solitamente più influente della luce.
Per quanto riguarda la luce diretta, invece, non risulta ottimale per diverse ragioni, tra cui anche la temperatura ad essa associata. La situazione migliore, in termini pratici, è mantenere un ombreggiamento “zebrato” sul terreno sotto il vigneto (Peppi, 2017).
Influenza di cultivar, portainnesti e tecniche colturali
Le cultivar di facile colorazione hanno un maggior contenuto di antociani, con predominanza di forme tri-idrossilate. Quelle di colorazione più “difficile” hanno minori quantità di pigmenti, con predominanza di forme di-idrossilate. Esempi di cultivar a media difficoltà di colorazione sono Crimson Seedless e Red Globe. Queste hanno un range di antociani variabile tra 0,7 e 8 mg/g di pellicola, con un minor livello di malvidina (pigmento più stabile) e maggior quantità delle due antocianine di-idrossilate (cianidina e peonidina), che sono più instabili e sensibili a temperatura, luce, umidità, regolatori di crescita e livello di produzione. Fertilità delle gemme, interventi di potatura verde (sfogliature, scacchiature, diradamento) e “aperture delle finestre” possono risultare fondamentali per gestire luminosità e calore. Anche l’uso degli interruttori di dormienza può influenzare il grado di luminosità della zona produttiva. Al contrario, infatti, grappoli troppo compatti e affastellati possono difettare per colorazione.
Per ambienti caratterizzati da temperature elevate sono da escludere le cultivar a bassa concentrazione di antociani, in particolare se a prevalente contenuto di cianidina.
In particolari condizioni pedoclimatiche favorevoli allo sviluppo della pianta, la vigoria e il portainnesto possono agire negativamente creando facili ombreggiamenti dei frutti; è anche vero che in ambienti non ottimali si potrebbe avere il problema opposto per eccessiva esposizione alla luce e/o per basso rapporto foglie/frutti. Il colore è anche influenzato dal carico di frutti o, meglio, dal rapporto tra foglie fotosinteticamente attive e frutti. A seconda delle cultivar esistono diversi valori ottimali per questo parametro: ad esempio, per Red Globe sono riportati 6-10 cm2/g, mentre per Crimson Seedless 10-12 cm2/g.
La nutrizione, il tipo di terreno e l’irrigazione sono fattori che influenzano la vigoria delle piante.
Un eccesso di vegetazione può essere dovuto ad applicazioni di azoto troppo elevate, che comportano ombreggiamento, mancanza di luce e ridotta colorazione. Un deficit di azoto, d’altra parte, può portare a una riduzione del germogliamento, eccesso di luce e temperatura, deficit di fotosintesi e, quindi, colore ridotto. Inoltre, con un eccesso di contenuto di azoto, nella pianta vengono prodotti meno pigmenti, in particolare cianidine, e si può avere antagonismo con l’assorbimento del potassio: se carente, infatti, si ha un’alterazione del trasporto degli zuccheri, fondamentali per la biosintesi degli antociani; se in eccesso, invece, si verifica una diminuzione dell’acidità libera, un aumento del pH intracellulare e un calo degli antociani.
Come si è visto, dunque, lo stato idrico della pianta e del terreno sono fondamentali per la crescita vegetativa e, di conseguenza, anche per la sintesi dei pigmenti coloranti; uno stress idrico controllato e lieve (circa il 75-80% dell’evapotraspirazione delle colture), all’invaiatura, può migliorare la colorazione delle bacche.
Infine, un’altra variabile da considerare è l’età delle piante. Le viti più giovani danno colori più chiari, che divengono più marcati con l’invecchiamento. Ciò è dovuto, probabilmente, alla crescita rapida che si ripercuote anche sull’assorbimento degli elementi nutritivi e sul quadro ormonale della pianta e, di conseguenza, sulla sintesi dei pigmenti coloranti. Alcune virosi (GLRaV) possono altresì condurre a una mancata sintesi dei pigmenti coloranti.
Metabolismo ormonale e applicazione di bioregolatori
I processi di maturazione dei frutti sono legati alla sintesi e all’interazione di etilene, acido abscissico (ABA) e brassinosteroidi (BR), ormoni che aumentano nella bacca dall’invaiatura. La loro azione dipende da una serie di fattori, endogeni ed esogeni. Alcuni ormoni (e regolatori di crescita applicati sulle piante) sono antagonisti tra loro (come le citochinine e l’ABA) e la loro azione raggiunge un limite massimo, oltre il quale una concentrazione più elevata non produce più effetti o può addirittura essere dannosa (ad esempio auxine). Tra l’altro, i tempi ottimali di applicazione dipendono dall’esistenza di recettori per quell’ormone nell’organo bersaglio (ad esempio etilene nella bacca). Alcuni regolatori di crescita si comportano come promotori, altri come inibitori. Le citochinine e l’acido gibberellico sono utili per inibire lo sviluppo del colore quando è troppo scuro. Le gibberelline riducono l’accumulo di pigmenti non solo per diluizione, ma anche per un effetto inibente sulla loro sintesi.
Il forclorfenuron (CCPU), ormone ad azione antisenescenza, può ritardare la maturazione e inibire la sintesi del colore, in particolare con applicazioni vicine all’invaiatura.
L’acido abscissico e i derivati dell’etilene (ethephon) vengono impiegati per migliorare la colorazione. I risultati sono variabili a seconda degli ambienti pedoclimatici, delle cultivar e dei momenti di applicazione.
In ultimo, anche brassinosteroidi e oligosaccarine risultano promettenti, ma necessitano di ulteriori sperimentazioni. Sperimentazioni che, unite alle sfide lanciate dal mercato, potranno così porre nuova luce su un fattore sempre più centrale come il colore delle uve da tavola.
A cura di: Silverio Pachioli
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