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Frutticoltura

Comparto cerasicolo pugliese: riflessioni su criticità e spunti per il rilancio (prima parte)

da Redazione uvadatavola.com 13 Febbraio 2017
13 Febbraio 2017
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Gli esiti non esaltanti delle ultime stagioni, che hanno fatto da preludio ad annate nel complesso non positive per la frutta estiva, hanno messo in evidenza ancor di più i punti critici della cerasicoltura pugliese.

Anche in questo contesto sfavorevole, però, non mancano alcuni aspetti positivi che, se ben interpretati ed implementati, potranno costituire le basi di un rilancio e stabilizzazione del settore. Innanzitutto il dato che la Puglia detiene sempre il primato nazionale per le superfici investite, pari a 18.010 ha e una produzione di quasi 43.000 T (dati Istat 2012), che rappresenta circa il 54% di quella dell’intero Paese.

La produzione italiana, che mediamente negli anni si attesta di poco sopra le 100.000 T, è appena in grado di soddisfare il fabbisogno nazionale, pari a circa 1,7 kg pro capite, valore che ci colloca al decimo posto in Europa.

Altre nazioni verso le quali i flussi commerciali e i consumi sono importanti, come Austria (3,6 kg) e Germania (2,1 kg), indicherebbero la possibilità di espansione della coltura, considerato che a livello europeo ci sono altri paesi produttori che consumano anche il doppio rispetto all’Italia: Grecia e Romania (3,9 kg), Turchia (3,2 kg) e Bulgaria (2,4 kg) (Dati 2012: Fruchtportal – Ice).

Malgrado questi dati, che rappresentano elementi positivi per giustificare l’interesse del frutticoltore ad investire in tale coltura, nell’ultimo biennio si è assistito invece al disincanto verso una specie che non sempre assicura quanto promesso, o quantomeno sperato, per riversare le attenzioni verso altre specie, l’albicocco su tutte, che invece hanno ben remunerato gli investimenti.

Le risultanze del “Focus nazionale del ciliegio“, svoltosi a Vignola nel febbraio 2015, hanno messo in risalto alcuni punti critici della scarsa attitudine dell’Italia ad esportare ciliegie, evidenziando i seguenti aspetti:

  • Mancanza di varietà interessanti per i mercati internazionali e per l’allungamento della stagione produttiva (o forse è meglio dire scarsa conoscenza e adeguata gestione di quelle attualmente disponibili);
  • Bassi volumi prodotti anche in presenza di una logistica d’avanguardia;
  • Promozione non sufficientemente curata per cui l’Italia non ha (più?) l’immagine di paese produttore specializzato;
  • Ricorso prevalentemente al mercato interno, tralasciando la ricerca di spazi per l’esportazione.

Tale impietosa diagnosi è veritiera o piuttosto c’è solo da organizzare e mettere a sistema le varie componenti della filiera ciliegio? Nei prossimi giorni seguiranno alcune considerazioni volte a spingere verso una maggiore integrazione tra i vari soggetti coinvolti nella filiera produttiva, consapevoli delle importanti soluzioni tecniche oggi disponibili.

 

 

Autore: Agrimeca  Grape and Fruit Consulting srl – Turi (Bari)

Copyright: Uvadatavola

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