Comparto cerasicolo pugliese: riflessioni su criticità e spunti per il rilancio (prima parte)

da Redazione uvadatavola.com

Gli esiti non esaltanti delle ultime stagioni, che hanno fatto da preludio ad annate nel complesso non positive per la frutta estiva, hanno messo in evidenza ancor di più i punti critici della cerasicoltura pugliese.

Anche in questo contesto sfavorevole, però, non mancano alcuni aspetti positivi che, se ben interpretati ed implementati, potranno costituire le basi di un rilancio e stabilizzazione del settore. Innanzitutto il dato che la Puglia detiene sempre il primato nazionale per le superfici investite, pari a 18.010 ha e una produzione di quasi 43.000 T (dati Istat 2012), che rappresenta circa il 54% di quella dell’intero Paese.

La produzione italiana, che mediamente negli anni si attesta di poco sopra le 100.000 T, è appena in grado di soddisfare il fabbisogno nazionale, pari a circa 1,7 kg pro capite, valore che ci colloca al decimo posto in Europa.

Altre nazioni verso le quali i flussi commerciali e i consumi sono importanti, come Austria (3,6 kg) e Germania (2,1 kg), indicherebbero la possibilità di espansione della coltura, considerato che a livello europeo ci sono altri paesi produttori che consumano anche il doppio rispetto all’Italia: Grecia e Romania (3,9 kg), Turchia (3,2 kg) e Bulgaria (2,4 kg) (Dati 2012: Fruchtportal – Ice).

Malgrado questi dati, che rappresentano elementi positivi per giustificare l’interesse del frutticoltore ad investire in tale coltura, nell’ultimo biennio si è assistito invece al disincanto verso una specie che non sempre assicura quanto promesso, o quantomeno sperato, per riversare le attenzioni verso altre specie, l’albicocco su tutte, che invece hanno ben remunerato gli investimenti.

Le risultanze del “Focus nazionale del ciliegio“, svoltosi a Vignola nel febbraio 2015, hanno messo in risalto alcuni punti critici della scarsa attitudine dell’Italia ad esportare ciliegie, evidenziando i seguenti aspetti:

  • Mancanza di varietà interessanti per i mercati internazionali e per l’allungamento della stagione produttiva (o forse è meglio dire scarsa conoscenza e adeguata gestione di quelle attualmente disponibili);
  • Bassi volumi prodotti anche in presenza di una logistica d’avanguardia;
  • Promozione non sufficientemente curata per cui l’Italia non ha (più?) l’immagine di paese produttore specializzato;
  • Ricorso prevalentemente al mercato interno, tralasciando la ricerca di spazi per l’esportazione.

Tale impietosa diagnosi è veritiera o piuttosto c’è solo da organizzare e mettere a sistema le varie componenti della filiera ciliegio? Nei prossimi giorni seguiranno alcune considerazioni volte a spingere verso una maggiore integrazione tra i vari soggetti coinvolti nella filiera produttiva, consapevoli delle importanti soluzioni tecniche oggi disponibili.

 

 

Autore: Agrimeca  Grape and Fruit Consulting srl – Turi (Bari)

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