Escoriosi: biologia e contenimento

Agente di escoriosi è il fungo Phomopsis viticola. A parlare del suo ciclo biologico e delle strategie di contenimento è la prof.ssa Stefania Pollastro.

da Silvia Seripierri

L’agente causale dell’escoriosi o necrosi corticale della vite – in inglese nota come Phomopsis cane and leaf spot – è, nella sua forma più conosciuta, il fungo Phomopsis viticola (Sacc.). Negli ultimi anni il micete, la cui forma perfetta non è mai stata riscontrata in Europa, è stato ascritto al phylum degli Ascomycota con il nome Diaporthe neoviticola (Udayanga, Crous & K.D. Hyde) che è quindi sinonimo di Phomopsis viticola.
In alcuni lavori scientifici Diaporthe ampelina è associato a Phomopsis viticola e rappresenta il teleomorfo di Phomopsis ampelina. Diverse altre specie di Diaporthe sono state segnalate su Vitis vinifera come Diaporthe eres, Diaporthe perjuncta e almeno 5 differenti taxa di Phomopsis.

Tipica colonia di fungo del genere Phomopsis

Ciclo biologico

Il patogeno sverna in diverse forme e le più frequenti negli ambienti meridionali sono il micelio nei tessuti dei tralci infetti e i picnidi, che costituiscono la principale forma di conservazione del patogeno. Questi ultimi sono molto frequenti sia sulla corteccia dei tralci della pianta sia sui residui di potatura, che spesso vengono trinciati e lasciati sul terreno, e sui quali possono sopravvivere fino alla stagione successiva. Le spore prodotte dal picnidio si accumulano al suo interno per fuoriuscire in un secondo momento, attraverso l’ostiolo, in forma di gocce mucose o di lunghi filamenti chiamati “cirri conidici”.

Questi si stemperano facilmente nell’acqua piovana che è la principale responsabile della dispersione delle spore.

Molteplici sono le funzioni biologiche svolte dai cirri. In primo luogo essi proteggono efficacemente le spore dal disseccamento e, grazie ad un’azione inibitoria della germinazione, le mantengono in stato di quiescenza conservandone a lungo la capacità infettiva. Inoltre, nei cirri sono presenti un insieme di sostanze che, una volta solubilizzate in acqua, costituiscono un ottimo substrato per la germinazione dei conidi. Questa duplice azione degli essudati picnidici, di inibizione e stimolazione della germinazione conidica, ha per il patogeno una rilevante importanza dal punto di vista biologico ed epidemiologico. L’effetto inibitore è associato allo zolfo elementare e questo effetto viene eliminato con la diluizione in acqua dei cirri. I due fenomeni, stimolazione ed inibizione, antagonisti nei loro effetti, rappresentano – nell’insieme – un efficace sistema di regolazione della germinazione conidica.

escoriosi

Presenza di picnidi e cirri sui tralci di vite da tavola

Pericolo infettivo: da febbraio ad aprile

Prove sperimentali hanno permesso di accertare che, sui sarmenti trinciati, la maturazione dei picnidi e il rilascio delle picnidiospore inizia a febbraio e può raggiungere il suo picco tra marzo e aprile. Il micete produce tre tipologie di spore, differenti per forma e dimensione, delle quali solo quelle di tipo alfa sono coinvolte nell’eziologia della malattia, essendo le uniche in grado di germinare. A ciò si aggiunge che i periteci potrebbero rappresentare un’ulteriore forma di conservazione, ma in Europa non sono mai stati segnalati.

L’ingresso del patogeno nella pianta avviene per via stomatica e mediante le lesioni presenti sui giovani tralci. L’invasione da parte del patogeno può interessare anche i tessuti legnosi, perimidollari e midollari. Ciò assume notevole importanza fitopatologica, in quanto permette lo svolgersi della fase più pericolosa della malattia: quella sistemica.

L’influenza di temperatura e umidità sull’infezione

Le condizioni ambientali hanno una grande influenza sulla gravità e sulla diffusione della malattia. Riguardo alla temperatura, il fungo appare poco esigente e l’evoluzione dei picnidi sovente precede il risveglio vegetativo della vite. Da ciò scaturisce che le infezioni possono essere molto precoci e a carico dei germogli già quando questi hanno raggiunto una lunghezza di appena qualche centimetro. La germinazione delle spore, infatti, è possibile a temperature comprese nell’intervallo tra 1 e 37 °C, con optimum a 23 °C. Temperature comprese tra 38 e 40 °C inibiscono completamente la germinazione delle spore e, se persistenti, possono anche devitalizzarle. L’elevata umidità, invece, favorisce lo sviluppo del parassita e la germinazione delle spore. A 23 °C, con umidità relativa al 99%, la germinazione avviene in un’ora; con il 90% di umidità relativa, invece, sono necessarie 22 ore. Proprio in questo fattore, quindi, va ricercata la motivazione della variabile gravità con cui la malattia può presentarsi nello stesso luogo e in annate diverse, e la motivazione di come essa sia più frequente nelle zone umide, come valli, litorali marittimi e nei vigneti abbondantemente irrigati.

La pioggia non è indispensabile per la germinazione conidica, ma contribuisce a mantenere alta l’umidità.

Le piogge primaverili esercitano un ruolo fondamentale nella diffusione, favorendo la disseminazione delle spore mediante gli schizzi, che si creano con la caduta delle gocce di acqua sui tralci colonizzati dai picnidi. Le precipitazioni estive sono altresì importanti in quanto nelle estati che decorrono asciutte l’attività del patogeno è attenuata. Nelle zone con clima caldo-arido, in estate, il fungo si inattiva, ma riprende l’attività non appena la temperatura diminuisce.
La malattia sta riemergendo in tutto il mondo. Tra le cause molto probabilmente rientrano: il cambiamento climatico, i cambiamenti nella gestione di altre malattie della vite, la riduzione del numero di trattamenti soprattutto a inizio stagione vegetativa – da una gestione a calendario si è passati a considerare la valutazione del rischio di malattia – e la progressiva riduzione dell’utilizzo di fungicidi ad ampio spettro.

Previsione della malattia: un modello

Di recente, proprio in considerazione di alcuni aspetti della biologia del micete, è stato sviluppato un modello meccanicistico per prevedere l’incidenza della malattia. Esso, ove validato, potrebbe concorrere a migliorare la gestione, ma non bisogna tralasciare la suscettibilità varietale . È infatti ben noto che alcune varietà (come Red Globe e Victoria per l’uva da tavola e Primitivo nel caso dell’uva da vino) sono tra le più suscettibili a questa malattia. Al contrario, le cv Italia e Negroamaro sono risultate le più tolleranti.

Modalità di diffusione del patogeno e strategie di contenimento dell’escoriosi

La diffusione delle spore è limitata alle brevi distanze (stesso vigneto o vigneti attigui), pertanto il trasporto su lunga distanza è operato perlopiù con l’impiego di materiale di propagazione infetto. Anche in questo caso diversi studi eseguiti dal gruppo di ricerca hanno accertato che il patogeno viene trasmesso alle barbatelle in vivaio con talee e marze prese da sarmenti infetti. Dalle barbatelle il patogeno diffonde nell’impianto, soprattutto lungo la fila, e la malattia progredisce in campo.

Per questi motivi, diverse sono le misure agronomiche adottabili per prevenire e limitare la diffusione della malattia, in particolare nei nuovi impianti. I trattamenti del materiale di propagazione con acqua calda, invece, agiscono discretamente nei confronti delle specie del genere Phomopsis, sebbene ulteriori approfondimenti siano necessari, soprattutto per valutare nel tempo la “sanità” delle piante termotrattate. Differenti mezzi fisici sono in corso di valutazione e ci si auspica che possano ampliare il ventaglio di mezzi disponibili per la gestione dell’escoriosi. Considerato, poi, che le operazioni di potatura possono rappresentare un momento di infezione e diffusione della malattia nell’impianto, è fondamentale disinfettare gli attrezzi nel passaggio da una pianta all’altra. Questo è molto importante, soprattutto se si ricorre alla potatura per rimuovere i tralci infetti, che devono essere distrutti, e ridurre così la carica microbica in vigneto.

Limitare le concimazioni azotate e contenere gli eccessi di vigore vegetativo, inoltre, contribuisce a ridurre il rischio di infezione.

Le coperture con film plastici per anticipare la raccolta, poi, hanno un potere risanante, sebbene non eradicante. Riguardo gli interventi chimici con folpet, metiram o pyraclostrobin+metiram (i dati riportati sulle sostanze attive sono aggiornati al 23 marzo 2023), invece, i risultati sono buoni se effettuati all’inizio della fase vegetativa, prima delle piogge infettanti. Di solito sono sufficienti un paio di trattamenti con prodotti di copertura, quando vi sono le prime 2-3 foglioline. In caso di forti infezioni o di piovosità elevata, si può prevedere un terzo intervento spesso coincidente con il primo trattamento antiperonosporico. Sperimentazioni condotte facendo 3-4 trattamenti con zolfo bagnabile, a distanza di circa 10 giorni, hanno mostrato una buona riduzione della diffusione del patogeno.

 

Monitoraggio in campo: consigli per l’agricoltore

Circa 4 settimane prima del germogliamento prelevare speroni e tralci di un anno con cancri e aree “sbiancate”, soprattutto intorno agli internodi e ai nodi inferiori). Deporre le porzioni di tralcio in camera umida (es. contenitore di plastica sul cui fondo è stata posizionata della carta assorbente imbevuta di acqua) e mantenerle a temperatura ambiente (20-23°C), al buio per almeno 10 giorni. In caso di infezione, si può osservare la fuoriuscita dai punti neri (picnidi) di masse di color crema-giallastro (cirri) ben visibili anche ad occhio nudo. In presenza di queste formazioni conviene eseguire un monitoraggio in campo soprattutto sulle giovani foglie.

 

 

Stefania Pollastro, Professoressa presso il Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti (Di.S.S.P.A.) dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

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