Impianti e forme di allevamento per la vite da tavola

Gli impianti di uva da tavola, nel tempo, hanno visto diverse evoluzioni, scopriamole con l'impiantista Franco Pompilio.

da Redazione uvadatavola.com

Gli impianti di uva da tavola, nel tempo, hanno visto diverse evoluzioni. Le strutture sono state piegate a nuove esigenze agronomiche, produttive e varietali. 

Franco Pompilio è un impiantista (realizza impianti per uva da tavola e drupacee) di seconda generazione e vanta 35 anni di esperienza. È cresciuto seguendo le tracce del padre. I due, grazie al duro lavoro, hanno avuto modo di conoscere ed esplorare diverse regioni italiane e una lunga lista di Paesi esteri.

Franco, 35 anni di esperienza non sono pochi, come è cambiato, negli anni, l’impianto di un vigneto ad uva da tavola?

“Dalla “tenda unica” negli anni settanta si è passati al doppio impalco – ovvero all’abbassamento del frutto rispetto alla vegetazione -, ciò favoriva la lavorazione dei grappoli. Successivamente – negli anni ’90 – si è aggiunto anche il terzo impalco, utile perché allontanava il telo dalla vegetazione.  Ad ogni modo l’accelerazione maggiore è avvenuta a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, grazie all’introduzione delle coperture. Inizialmente sono stati coperti solo i vigneti con varietà tardive, successivamente i teli sono stati adottati anche per le cultivar più precoci. A quel tempo i teli venivano fissati con del filo di ferro. Non esistevano legacci, blocca fili e tutta una serie di strumenti che oggi adoperiamo. In quegli anni eravamo noi impiantisti che chiedevamo ai fornitori di sviluppare e realizzare i materiali necessari a realizzare i vigneti. Ai giorni nostri possiamo contare su di un livello tale di tecnologia che non solo facilita il lavoro, ma preserva la sicurezza dei lavoratori. Immagina che i primi teli venivano issati da operai costretti a salire su impalcature improvvisate, realizzate con traballanti assi di legno. Strutture da cui – purtroppo – era facile cadere. Oggi qualità e sicurezza del nostro lavoro sono migliorate davvero tanto. Un altro cambiamento che ha investito il settore è stato il numero di piante per ettaro che, con gli anni, è diminuito notevolmente. Così come, nel tempo, è aumentata la distanza tra telo e vegetazione”.

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In che areali realizzate i vostri impianti?

“Grazie alle grandi aziende agricole (di uva e drupacee) e con cui abbiamo stretto un forte legame di fiducia e collaborazione io e mio padre abbiamo lavorato in diverse regioni italiane (Puglia, Sardegna, Basilicata e Calabria). Abbiamo lavorato molto anche all’estero grazie alle collaborazioni nate tra con diverse aziende che vendono accessori e consulenze in ambito agricolo. In particolare abbiamo lavorato in Spagna, Marocco, Tunisia, Libano, Turchia, Grecia, Albania, Bulgaria, Serbia e Armenia”.

La lista dei Paesi è bella folta, c’è del Made in Italy nelle produzioni viticole di tutto il bacino del Mediterraneo.

“Noi italiani siamo stati i primi a realizzare impianti di uva da tavola in Spagna, ma gli spagnoli sono stati degli ottimi imprenditori. Difatti sono stati in grado di modificare la nostra struttura per esportarla in tutto il mondo. I veri divulgatori di impianti per l’uva da tavola sono gli spagnoli. Difatti sono spagnole anche una serie di aziende che costituiscono l’indotto di questo settore e vendono una vasta gamma di accessori, indispensabili per la realizzazione delle strutture”.

Tornando in Italia – e in particolar modo nelle zone vocate alla viticoltura da tavola – quante tipologie di impianti si possono realizzare?

“Prima di rispondere alla domanda vorrei chiarire che la struttura di un vigneto rappresenta il punto di arrivo di una serie di valutazioni fatte da noi strutturisti, dagli agronomi e dalle aziende agricole. Vengono valutate diverse variabili come il costo, le condizioni pedoclimatiche del territorio e le esigenze della varietà che si dovrà impiantare. Se si deve realizzare un impianto molto grande, coprendo anche 2.000-3.000 ceppi per vigneto per esempio, è sconsigliato realizzare la struttura “a piramide”. Questo tipo di struttura, infatti, non permette il ricircolo dell’aria. Con questi presupposti sarebbe più opportuno realizzare una struttura che chiamiamo “telo traverso”, tipica dei vigneti che sorgono vicino alla costa, come Mola di Bari (BA) e Torre a Mare (BA). Il telo traverso è molto consigliato per gli anticipi ed è anche più economico. Come anticipato quest’ultimo tipo di struttura favorisce il ricircolo dell’aria nella serra, fattore fondamentale per abbassare il tasso di umidità. Negli impianti a piramide infatti il tasso di umidità può raggiungere il 100%, la vegetazione rischia di bloccarsi e scottarsi non appena si verificano temperature interne di 36 °C. Grazie al telo traverso, invece, l’aria calda fuoriesce naturalmente dall’impianto portando via con sé anche l’umidità”.

Per grandi linee, quindi, è corretto dire che le strutture sono di due tipi: “piramidale” e “telo traverso”?

“Fondamentalmente sì, anche se negli anni, assieme alla collaborazione con il gruppo Valente – e con il loro tecnico Antonio Gatto – abbiamo sviluppato una nuova struttura che chiamiamo “mezzo telo”. Il mezzo telo riesce in modo ancora più rapido a far fuoriuscire l’umidità dal vigneto attraverso una capannina. Unica pecca di questo sistema è il costo di realizzazione più elevato. Il duello tra viticoltore e umidità può essere affrontato in diversi modi, anche “giocando” con il telo. Sul mercato sono in commercio anche i cosiddetti “teli greci”, che permettono una più veloce fuoriuscita dell’aria calda grazie alla presenza di fori più grandi. Si è infatti notato che aumentando la grandezza del foro di un solo cm2 si riesce a triplicare il passaggio dell’aria”.

Vincere la battaglia contro l’umidità immagino sia davvero fondamentale, considerando i cambiamenti climatici in atto. Far sì che il vigneto sia meno umido, inoltre, renderà le piante meno suscettibili ad alcune malattie. Quanti sistemi di allevamento ci sono?

“Noi abbiamo portato in Spagna il tendone a doppio impalco e gli spagnoli ci hanno insegnato la Y, che però abbiamo sollevato. In Italia si è passati da una Y molto bassa ad una più alta; l’innalzamento è stato possibile attraverso l’uso di archetti. Il sistema degli archetti è stato adoperato per la prima volta dall’ azienda Seven Years – Settanni, di Palagiano (TA). Tra le primissime forme di allevamento vi era quella “a stella”, in cui la pianta veniva allevata con 4 capi a frutto (che seguivano i 4 punti cardinali). In seguito i quattro capi a frutto sono stati inseriti all’interno di due fili chiamati “binari”, che corrono sempre in direzione Nord-Sud (in gergo chiamata “mare – monte”). Con l’introduzione delle coperture è nata l’esigenza di far sì che la vegetazione si sviluppasse seguendo la porzione coperta dal telo: quindi lungo i binari e non più a stella. Il binario, che inizialmente è stato abbassato con il sistema a Y, è stato successivamente portato verso l’alto. Oggi, grazie agli archetti si può permettere lo sviluppo della vite da tavola anche con 6 capi a frutto“.

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Nel tempo, come sono cambiati gli impianti?

“In linea di massima oggi si tende ad avere un sesto d’impianto più largo. Mentre in passato il sesto più comune era di 2,30 – 2,40 x 1,80 m, in alcuni casi oggi abbiamo sesti che raggiungono anche i 3,30 x 2,70 m. Man mano che il sesto si allarga, solitamente si riduce il numero di palchi. In alcuni casi riusciamo a realizzare una “tenda unica” su superfici molto ampie. Allargando il sesto d’impianto, infatti, non serve adoperare la Y, gli archetti o altro, perché è possibile condurre il vigneto con il mono palco. Strutture di questo tipo spesso ospitano varietà molto vigorose e tardive. Per le varietà più precoci, invece, si preferiscono sesti più stretti, un sesto comune in questo caso è 2,30 X 2,50 m. Situazioni come queste ci obbligano ad aumentare i palchi. Per mezzo del sistema ad Y e dei palchi, dunque, le varietà più precoci, nonostante abbiano un sesto più stretto, riescono a beneficiare di una superficie maggiore e ad intercettare meglio la radiazione solare. Riguardo i costi di realizzazione, potremmo riassumere il tutto dicendo che più il sesto è largo, meno costa l’impianto.”

Negli ultimi anni anche per voi c’è stato un aumento dei costi?

“Decisamente sì. Purtroppo tutto il materiale che adoperiamo oggi, dai pali ai fili, è aumentato del 30-40% rispetto a due anni fa. Il prezzo del ferro è passato da 0,90 euro al kg a 1,90 euro al kg (prezzo massimo toccato in questi anni)”.

Cosa comporta sbagliare la struttura del vigneto per un’azienda?

“Nel caso in cui, “per risparmiare”, si adoperino – per volere dell’azienda agricola – materiali che non rientrano nei nostri standard, è possibile che questo apparente risparmio si trasformi in una spesa maggiore. Non è raro, infatti, che in questi casi ci venga chiesto di rifare il lavoro. Un impianto mal realizzato, inoltre, contribuisce a bruciature dell’apparato fogliare della vite. Altro errore molto comune è impiantare varietà molto vigorose con un sesto stretto comportando problemi di maturazione o di colorazione. Bisogna affidarsi all’esperienza degli agronomi, degli impiantisti e delle aziende agricole che hanno sperimentato prima di noi determinate varietà, altrimenti il rischio economico per le aziende è enorme. Mio padre ha sempre detto: “In agricoltura chi risparmia, spreca“”.

 

Autrice: Teresa Manuzzi
©uvadatavola.com

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