Nel corso del nostro ultimo incontro con l’Avv. Roberto Manno, avevamo approfondito vari aspetti sulla questione assai controversia della tutela dei diritti di proprietà intellettuale sulle varietà vegetali.
Tra questi, v’era quello sui limiti della tutela conferita dai regolamenti comunitari ai titolari di varietà, al centro di un importante controversia dinanzi alla massima autorità giudiziaria europea: la Corte di Giustizia.
Buongiorno Avvocato, può fornire ulteriori aggiornamenti in merito al caso?
Il 19 dicembre 2019 la Corte di Giustizia ha finalmente emanato la sentenza nel caso C-176/18, rispondendo alle domande rivolte dal Tribunale Supremo spagnolo su come interpretare alcuni articoli del Regolamento Base (il noto Regolamento n. 2100/94) relativi alle attività di moltiplicazione, produzione, riproduzione, raccolta e commercializzazione dei frutti. La vicenda, va da sé, è estremamente importante, e avrà senz’altro un enorme impatto sul futuro dei rapporti tra breeder e agricoltore. Tra i vari fattori di interesse, c’è senz’altro il fatto che la Corte di Giustizia ha fornito un’interpretazione diametralmente opposta a quella sostenuta dalla lobby dei breeder, ossia Ciopora (associazione alla quale appartengono tutti i titolari di varietà di uva apirene presenti in Puglia). Una distanza che rende difficile, se non impossibile, la cooperazione tra quelli che dovrebbero essere i “partner naturali” l’uno dell’altro, con conseguenze negative che si estendono in ambiti pubblici come la tutela del lavoro, dell’ambiente, dell’accesso all’innovazione.
Possiamo provare ad entrare nel merito della causa? Quali questioni sono state sottoposte alla Corte di Giustizia?
La vicenda trae origine dall’acquisto di un certo numero di alberi appartenenti alla varietà Nadorcott fatto presso un vivaio da parte di un agricoltore, prima che il CPVO concedesse la privativa comunitaria su tale varietà. Dopo averli quindi piantati e aver avviato la raccolta dei frutti, l’agricoltore è stato citato in giudizio per contraffazione dall’associazione responsabile per la gestione dei diritti sulla varietà. Tuttavia, sia in primo che in secondo grado, i giudici spagnoli respingevano le domande dell’associazione, che proponeva appello al Tribunal Supremo (Cassazione). A loro volta, i giudici spagnoli decidevano di sospendere il giudizio e di chiedere che la Corte di Giustizia fornisse le risposte alle seguenti domande:1 Se le attività consistenti nel piantare e raccogliere i frutti di una varietà protetta rientrassero tra quelle che non possono essere svolte senza il consenso del titolare, ai sensi dell’art. 13(2) del Regolamento Comunitario; 2 Se i frutti ottenuti dalle piante comprate e messe a dimora dopo la moltiplicazione possano considerarsi “non autorizzati” anche nel caso in cui l’acquisto delle piante è precedente alla concessione della privativa.
Non basta dunque depositare la domanda di privativa per avere piena tutela su ogni aspetto della vita della pianta e dei suoi frutti?
Assolutamente no. Il sistema di tutela dei diritti del breeder è molto particolare e complesso. Possono passare anni dal deposito della domanda alla concessione della privativa, e poiché è solo con quest’ultimo provvedimento che il titolare del brevetto acquista i diritti esclusivi su di essa (e quindi il diritto di autorizzare e/o vietare gli atti indicati nell’art. 13(2) del Regolamento), ne consegue che prima di tale momento si applicherà la tutela provvisoria prevista dall’art. 95 di detto Regolamento, che limita il diritto ad ottenere un “equo indennizzo”.
Cosa ha stabilito quindi la Corte di Giustizia? Che impatto avrà questa decisione sul nostro territorio?
La Corte ha dovuto preliminarmente decidere se la messa a dimora delle piante acquistate rientri nell’attività di “produzione o riproduzione” di costituenti varietali o sia connessa alla “raccolta dei frutti”. Mentre nel primo caso l’autorizzazione del breeder è sempre richiesta (tutela primaria), nel secondo ciò sarà possibile solo a condizione che la raccolta riguardi piante “non autorizzate”, o rispetto alle quali il breeder non abbia avuto modo di esercitare i suoi diritti di autorizzazione (tutela secondaria). Pertanto, nel caso dell’agricoltore spagnolo, avendo egli acquistato le piante prima della concessione della privativa, la Corte di Giustizia ha stabilito che non potrà aversi né “uso non autorizzato” né commercializzazione illegale dei relativi frutti del raccolto. Si tratta, evidentemente, di una decisione molto importante: lo dimostra la stessa forza con cui Ciopora ha cercato di influenzare la Corte di Giustizia affinchè adottasse una diversa valutazione delle norme. Ed invece, essendo questa l’unica possibile interpretazione delle norme in tutta l’Unione Europea, si dovrà prestare molta attenzione prima di intraprendere azioni finalizzate ad ottenere la distruzione ed eradicazione di interi impianti produttivi.
La sentenza riguarda le varietà di mandarino: vale anche per le uve apirene?
La sentenza riguarda tutte le varietà vegetali in cui il frutto non può a sua volta costituire materiale di moltiplicazione (produzione o riproduzione) della varietà. Quindi anche le viti, non potendo ottenersi dai loro frutti una nuova vite.
Autore: La Redazione
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