Tra le pratiche colturali da adottare nella coltivazione dell’uva da tavola, la potatura riveste un ruolo fondamentale per garantire la salute e la produttività delle viti. Ma una volta effettuata questa operazione, come si devono gestire i residui di potatura?
Residui di potatura: rifiuti da smaltire?
Un tempo i residui della potatura rappresentavano una preziosa risorsa da utilizzare come combustibile. Il progredire dell’innovazione tecnologica, però, ha portato spesso ad associare questi materiali a un rifiuto che, in quanto tale, deve essere smaltito, sebbene con costi che gravano sulla gestione del vigneto. Tra i metodi di smaltimento, quello più utilizzato dai viticoltori è la bruciatura dei sarmenti direttamente in campo, metodo che tuttavia comporta uno spreco di energia non utilizzata e un notevole impatto ambientale. Fattori che, in alcuni casi, hanno portato al divieto di questa pratica.
Una valida alternativa alla bruciatura in campo può essere quella della trinciatura e interramento dei residui di potatura che permette di contribuire al miglioramento della sostanza organica del suolo e alla restituzione di elementi nutritivi al suolo. Questa soluzione, però, può essere presa in considerazione se in vigneto non ci sono piante affette da patologie, che altrimenti verrebbero diffuse con più rapidità anche tra le piante non infette. Nel complesso, anche questa operazione comporta costi elevati sia in termini di lavoro, che in termini di consumo carburante.
Residui di potatura: come si possono valorizzare?
Le operazioni di potatura della vite – compresa anche quella da vino – rappresentano una delle principali cause di rifiuto agricolo a livello globale, con circa 42 milioni di tonnellate di residui smaltite ogni anno. Trovare soluzioni sostenibili sia da un punto di vista ambientale che economico per riutilizzarli appare dunque sempre più urgente, anche nell’ottica di una progressiva riduzione della disponibilità di risorse. In tal senso, un primo passo è iniziare a considerare i residui di potatura come veri e propri sottoprodotti o risorse. Questi, infatti, rientrano tra i vari tipi di biomassa ligno-cellulosica di origine agricola che negli ultimi tempi stanno riscontrando un notevole interesse. Per esempio, da qualche anno i sarmenti lasciati lungo i filari – raccolti e conferiti ad aziende specializzare – a seguito di un processo di trasformazione, vengono impiegati per produrre pellet o cippati da impiegare per la produzione di energia rinnovabile, termica o elettrica.
In uno studio effettuato in Portogallo, un gruppo di ricercatori dell’Istituto politecnico di Viana do Castelo ha valutato la composizione chimica del legno dei sarmenti ottenuti dalla potatura di un vigneto sperimentale. Si è notato che da un punto di vista chimico il legno dei residui di potatura della vite presenta ottime caratteristiche per la produzione di pellet di qualità. Inoltre, pur presentando ceneri e contenuto di rame in quantità superiori rispetto ai limiti ammessi per produrre un pellet di legno di vite al 100%, se utilizzati in miscela con legni di altre specie possono dare ottimi risultati. Di fatto, come riportato dallo studio, impiegando in miscela il legno di vite al 10 o al 25% è stato ottenuto un pellet rispettivamente di prima o seconda qualità.
I progetti di ricerca per l’ottenimento di soluzioni sostenibili alternative non terminano qui.
Alcuni ricercatori dell’università di Melbourne, in Australia, hanno sperimentato l’utilizzo del legno di vite nella realizzazione di pannelli edili truciolari. I residui di potatura della vite sono stati sminuzzati in trucioli e mescolati con altri pezzettini di legno tenero e resina. Tramite la sperimentazione è stato constatato che per ottenere pannelli con ottimi standard di resistenza e durabilità, la percentuale del legno di vite deve essere del 10%. Sebbene questa percentuale possa rappresentare una piccola quantità di cippato tenero, a livello globale, l’impiego dei residui di vite consentirebbe di ridurre notevolmente la pressione sulla domanda di legno.
Questi esperimenti sono solo alcuni degli esempi più interessanti relativi alla valorizzazione degli scarti di potatura della vite come risorse sia in termini di risparmio di costi aziendali, sia di sostenibilità ambientale, con minori emissioni di CO₂ e abbattimento di alberi. Di contro, restano da risolvere i problemi legati alla logistica della raccolta e del conferimento alle aziende di trasformazione. Creare un interesse economico da parte dei centri di trasformazione potrebbe allora essere il giusto pretesto per creare una vera e propria filiera funzionante e sostenibile.
Donato Liberto
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