Per il primo appuntamento del 2023 di “In campo con l’agronomo”, abbiamo deciso di parlare delle strategie da attuare per le produzioni a residuo zero. Si tratta di un tema che, sebbene sia molto discusso, è poco conosciuto in viticoltura da tavola.
Al fine di approfondire questi aspetti, quindi, ci siamo recati in un’azienda viticola che, in agro di Noicattaro (BA), produce uva della varietà Sweet Globe™. Qui, abbiamo intervistato l’agronomo di Food Agri Service ed esperto di certificazioni, Angelo Gasparre.
A cosa ci riferiamo quando parliamo di residuo zero in viticoltura da tavola?
Per definizione, un prodotto vegetale a residuo zero, in questo caso uva da tavola, è un prodotto con residui di sostanze chimiche di sintesi al di sotto dei limiti di quantificazione analitica (0,01 mg/Kg). Per quanto riguarda la certificazione residuo zero, invece, ci si riferisce a una certificazione volontaria, che consiste nel controllare una serie di requisiti contenuti nelle Linee Guida degli Enti di certificazione, i quali attraverso un controllo in azienda verificano il processo produttivo, i documenti tecnici, il rispetto dei disciplinari e la conformità analitica del prodotto – ultimo step dell’iter certificativo. Aspetto importante di questa certificazione è che il prodotto può essere identificato con un marchio, che arriva direttamente al consumatore finale, a differenza di altre certificazioni volontarie che, in quanto B2B (business-to-business), rimangono circoscritte agli operatori del comparto e le cui informazioni non raggiungono il consumatore.
Quali sono le peculiarità e le strategie da adottare in campo, tipiche di questa conduzione?
Le basi fondamentali sono quelle della Produzione integrata, le cui misure consentono di ridurre l’emissione di sostanze chimiche, di aumentare la sostenibilità delle produzioni e di avere un maggiore rispetto dell’ambiente. La Produzione integrata si sta evolvendo nel tempo, ma oggi trova la sua massima espressione nelle strategie di produzione a residuo zero. Non esiste, quindi, una ricetta ben precisa e ogni azienda è libera di scegliere quali prodotti fitosanitari ammessi utilizzare. Ovviamente, in caso di produzione a residuo zero, la scelta ricade su quei prodotti con una più bassa residualità.
Quali sono le principali difficoltà per questo tipo di produzione?
Fino a qualche anno fa, la difficoltà principale era quella di ottenere un prodotto sano. Con il passare del tempo e l’acquisizione di sempre maggiori competenze, ci si è resi conto che l’obiettivo è raggiungibile, anche se molto difficoltoso e rischioso. Oggi, quindi, la principale difficoltà non risiede nella gestione e nella difesa, ma nella filiera perché c’è la necessità di costruire un progetto di filiera tra agricoltore, figura commerciale e GDO che sposi il progetto, ne condivida gli obiettivi, ma divida anche i rischi legati a questa tipologia di produzione. Oggi è impensabile che un agricoltore si approcci autonomamente a produrre uva da tavola a residuo zero, se non sa già a chi venderla e se non è al centro di un progetto di filiera. La stessa cosa, poi, è valida anche per altri prodotti. Costituire un progetto e informare il consumatore del significato di residuo zero, quindi, è oggi la principale difficoltà. Se pensiamo alla produzione in regime di agricoltura integrata, per esempio, il limite negli anni è stato proprio quello di non essere riusciti a comunicare al consumatore finale cosa è la difesa integrata. Solo informando per bene il consumatore, è possibile pensare di mettere su dei progetti interessanti.
Quando parliamo di residuo zero, quindi, quali altri aspetti della produzione è importante considerare oltre alla difesa?
La difesa è il cardine principale. Per l’uva da tavola, rispetto a patate, frutti di bosco e pomodori – prodotti per i quali è più facile fare il residuo zero – la difesa fitosanitaria è più complessa. Tuttavia, grazie ai sistemi di copertura e ai semiochimici, come i confusori sessuali usati per il controllo di Lobesia botrana e Planococcus ficus, è possibile fare una buona difesa. La situazione, però, si complica per quelle patologie più rischiose, come oidio e botrite, ma anche in questo caso è fondamentale una corretta gestione delle piante, della luce e dell’aria. Alla base di tutto, quindi, c’è una buona difesa delle piante, ma avere viti equilibrate consente anche di gestire meglio la difesa stessa. A riguardo, quindi, tornano di grande aiuto tutti i sistemi di supporto alle decisioni. Oggi, grazie alla tecnologia, è possibile disporre di stazioni meteo, così come anche di sonde lisimetriche che, analizzando la soluzione circolante e quella nutriente, supportano la nutrizione. Prendere le giuste decisioni e mantenere l’equilibrio delle piante, dunque, è oggi più che mai fondamentale per agevolare la difesa delle piante, anche e soprattutto in caso di produzioni a residuo zero.
Negli anni passati il prodotto a residuo zero è riuscito ad ottenere un maggiore riconoscimento a livello commerciale? E i costi di produzione aumentano con questo tipo di conduzione?
I costi, in caso di produzione a residuo zero, aumentano del 30% rispetto a quelli della produzione convenzionale o in integrato. Questo perché da una certa fase in poi, solitamente dall’allegagione alla raccolta, per centrare l’obiettivo di produrre uva a residuo zero si utilizzano prodotti ammessi in regime di agricoltura biologica, i quali hanno un costo maggiore. A questi costi, poi, si devono aggiungere le eventuali perdite di prodotto che, soprattutto se consideriamo oidio e botrite, si verificano più facilmente nei vigneti a residuo zero.
L’interesse da parte dei consumatori per l’uva da tavola a residuo zero inizia ad esserci.
Per altri prodotti, i dati parlano e la domanda è in forte aumento. Tuttavia, bisogna essere chiari sul fatto che, in termini di sicurezza alimentare, il prodotto ottenuto da difesa integrata è al pari del residuo zero. Esistendo, però, una fetta di consumatori più attenta e che non desidera avere residui nel prodotto, è giusto approcciarsi a questa tecnica produttiva. Altro aspetto da considerare, poi, è che immaginando di convertire le produzioni in produzioni a residuo zero, con gli attuali prezzi di mercato, il progetto è fallimentare. Questo proprio perché i costi sono maggiori e il rischio di perdere prodotto è maggiore. Per l’uva da tavola, quindi, è ancora tutto da definire, ma se consideriamo altri prodotti e filiere che stanno incrementando i propri volumi di prodotto a residuo zero, si comprende l’importanza di approcciare questa strategia sia da un punto di vista tecnico che commerciale. Differenziare il prodotto e creare delle nicchie può dare una svolta importante all’attuale periodo di crisi del comparto.
Silvia Seripierri
©uvadatavola.com