La certificazione volontaria Residuo Zero rappresenta una delle recenti evoluzioni del panorama produttivo italiano. Inoltre, i valori che sottendono il metodo possono essere comunicati con facilità, in maniera chiara e univoca.
Le certificazioni di prodotto “business to consumer”, quale è Residuo Zero, possono rappresentare uno strumento prezioso e un veicolo di comunicazione diretta, chiara e trasparente nell’ottica della sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
In agricoltura, la riduzione dell’impiego degli agrofarmaci e, più in generale, degli input chimici rappresenta uno dei principali obiettivi delle politiche di sostenibilità. Esse sono declinate, a livello mondiale, in “Agenda 2030” delle Nazioni Unite e, più recentemente, nelle politiche del “Green Deal Europeo – 2050” con la strategia “Farm to Fork” pubblicata dalla Commissione Europea l’11 dicembre 2019. Basti considerare, per quest’ultimo caso, che la strategia prevede, tra i vari obiettivi, la riduzione del 50% dell’uso complessivo di agrofarmaci e di almeno il 20% dell’uso dei fertilizzanti entro il 2030 (praticamente…domani).
Da lungo tempo, in verità, l’agricoltura italiana ha intrapreso un continuo e crescente percorso nella direzione della sostenibilità, affrontando le grandi sfide dei mercati e caratterizzando le proprie produzioni (in particolare, ortofrutticole) nella direzione dei metodi sostenibili: dalla “produzione integrata” all’agricoltura biologica.
Una forte spinta verso la riduzione dell’impiego degli agrofarmaci è provenuta dalle crescenti richieste della Distribuzione Organizzata italiana ed Europea, sempre più incalzanti a partire dalla seconda metà degli anni ‘90. Oltre alla riduzione in termini percentuali di residui di sostanze chimiche presenti nelle materie prime (30-50% del RMA – Residuo Massimo Ammesso), oggi molte catene distributive (soprattutto del Centro e Nord Europa) impongono la riduzione in termini di numero massimo di sostanze presenti e l’esclusione di gruppi di sostanze chimiche ritenute particolarmente pericolose per il consumatore (seppur ammesse e autorizzate all’impiego).
In foto: Carmelo Sigliuzzo – Responsabile Progettazione & Sviluppo Check Fruit srl Bologna – autore dell’articolo
Il metodo della “Produzione Integrata” – però – ha sofferto sino ad ora di difficoltà di comunicazione dei propri valori e dei contenuti di sostenibilità. Il consumatore non comprende il significato del termine e, a dire il vero, anche i tecnici e gli “addetti ai lavori” hanno stentato, per lungo tempo, a darne una definizione univoca. Eppure il metodo è implementato ormai da più di 25 anni dagli operatori agricoli, attraverso l’applicazione dei Disciplinari di “Produzione Integrata” messi a punto dalle Regioni italiane e avendo trovato riconoscimento, da qualche anno, a seguito dell’attuazione del PAN (Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari) nelle sue varie declinazioni.
Questo metodo, e le certificazioni volontarie ad esso legate (GlobalGAP in primis), hanno di fatto permesso agli operatori agricoli di affermarsi e incrementare i propri spazi di mercato in Italia, ma anche e soprattutto all’estero. Purtroppo, però, anche in questo caso si deve segnalare che i grandi sforzi compiuti dagli operatori agricoli non sempre risultano adeguatamente ripagati in termini economici. Parte del valore aggiunto della filiera è – infatti – molto spesso intercettato unicamente dall’ultimo anello della catena, rappresentato ancora una volta dalla distribuzione organizzata. La quale, talvolta, è molto più capace di trasmettere direttamente al consumatore il valore della “sostenibilità”.
A ulteriore dimostrazione della grande resilienza di cui l’agricoltura italiana è capace, la certificazione volontaria Residuo Zero rappresenta una delle recenti evoluzioni, tra le più interessanti all’interno del panorama produttivo italiano poiché riesce a “fare sintesi”, ma in particolare perché i valori che sottendono il metodo possono essere comunicati con più facilità, in maniera chiara e univoca.
Partendo dall’applicazione di metodi agricoli sostenibili, sulla base di esperienze e conoscenze tecniche specifiche, e prediligendo i metodi non chimici, seleziona e limita ulteriormente l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi, impiegando fitofarmaci scelti tra quelli a più basso impatto ambientale e bassa residualità, al fine di consentire l’ottenimento di prodotti del tutto privi di residui rilevabili.
Poiché – al momento – non esistono normative riconosciute, nazionali o internazionali, al fine di stabilire con chiarezza e univocità cosa si intenda per Residuo Zero Check Fruit, organismo di certificazione italiano leader nel comparto ortofrutticolo, ha realizzato una propria Linea Guida.
Questa definisce i requisiti, i documenti e le procedure tecniche che le Organizzazioni richiedenti la certificazione devono adottare, al fine di assicurare l’ottenimento di prodotti vegetali con residuo di prodotti chimici, ammessi per legge, al di sotto dei limiti di quantificazione analitica (0,01 mg/Kg). Poiché è ammesso anche l’utilizzo di sostanze fitosanitarie autorizzate per la produzione in agricoltura biologica (ai sensi dell’Allegato II al Reg. CE 889/2008), queste sono tollerate nei limiti massimi del 50% del RMA per lo specifico prodotto vegetale.
Poiché Residuo Zero rappresenta l’evoluzione di sistemi sostenibili già operanti in azienda, l’organizzazione che richiede tale certificazione deve avere ottenuto, o contestualmente richiedere (e impegnarsi a mantenere per l’intero ciclo di certificazione), per gli stessi prodotti, almeno una delle seguenti certificazioni:
- UNI 11233:09 “Sistemi di produzione integrata nelle filiere agro-alimentari”;
- SQNPI – “Sistema Qualità Nazionale di Produzione Integrata”;
- GlobalG.A.P. – IFA – Fruit & Vegetable.
L’organizzazione che richiede la certificazione deve redigere un Disciplinare Tecnico di Produzione, o documenti analoghi. Essi dovranno descrivere la pro le principali attività aziendali per garantire il raggiungimento degli obiettivi stabiliti.
Il nuovo percorso è appena cominciato, eppure i consumatori sembrano essersene già accorti. Un recente studio di SGMarketing ha messo in evidenza un notevole interesse verso i prodotti a Residuo Zero. Il 25% del campione di consumatori intervistati ha manifestato una propensione all’acquisto di tali prodotti inaspettatamente – anche se di poco – al di sopra del prodotto biologico (al 23%).
La parola chiave è oggi rassicurazione che il consumatore in epoca Covid declina soprattutto nel bisogno di sicurezza alimentare (origine, tracciabilità e certificazioni). Di questo non potevano non accorgersi i retailer, sempre pronti a intercettare i mutamenti delle logiche di acquisto. Lo studio a opera di SGMarketing ha riguardato anche la distribuzione organizzata. Le interviste effettuate a Category Manager e Buyer dei freschissimi hanno rilevato il grande interesse verso questo nuovo segmento di mercato. Il 12% degli intervistati ha dichiarato di aver già attivato quest’area strategica e il 59% ha in programma di farlo a breve.
L’agricoltura italiana sta vivendo grandi mutamenti e ha dimostrato, nel tempo, una grandissima capacità di adattamento; non comune ad altri settori più “evoluti” della nostra economia:
- La modernizzazione dei processi agricoli grazie alle nuove tecnologie e
- la ricerca di nuovi strumenti “non chimici” e di agrofarmaci a minor impatto
tracciano i nuovi passi della nostra agricoltura.
Nuove e grandi sfide che dovranno essere colte dagli imprenditori agricoli per intercettare e anticipare i cambiamenti dei mercati. Le certificazioni di prodotto “business to consumer”, quale è Residuo Zero, possono rappresentare uno strumento prezioso. Perché un veicolo di comunicazione diretta, chiara e trasparente nell’ottica della sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Autore: Carmelo Sigliuzzo – Responsabile Progettazione & Sviluppo Check Fruit srl Bologna
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