L’ incidenza dei costi di produzione e la concorrenza con le produzioni estere sono due delle tante criticità che oggi interessano il comparto viticolo. Superarle è una sfida che può essere vinta solo individuando quei punti che consentono di dare valore al prodotto. Ne abbiamo parlato nel terzo numero di uvadatavola magazine con Domenico Morrone: Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese, titolare della cattedra di Marketing, del Dipartimento di Management, Finanza e Tecnologia presso l’università LUM – Libera Università Mediterranea “Giuseppe Degennaro”.
Quello dell’uva da tavola rappresenta un comparto alquanto complesso, parte dell’ancor più complesso settore dell’agricoltura, A tal proposito è indispensabile investire nella costruzione di “valore” del prodotto.
Tale complessità deriva da una serie di criticità quali, a puro titolo esemplificativo, la deperibilità del prodotto, l’elevata incidenza del costo dei fattori produttivi, la crescente concorrenza con le produzioni estere, i prezzi nel mercato all’ingrosso, i rapporti complessi con la Grande Distribuzione Organizzata e il mutare frequente dei gusti dei consumatori. Tutte queste variabili rendono impegnative sia la produzione che la commercializzazione di un bene che peraltro è sensibile all’estrema parcellizzazione dei produttori come anche alle conseguenze del cambiamento climatico. Ulteriore elemento di destabilizzazione è la guerra in Ucraina, che ha generato negli ultimi mesi speculazioni i cui effetti negativi sono ancora evidenti e che incidono pesantemente sulle previsioni relative al breve-medio termine. Tuttavia in questo panorama, che registra ormai da anni una costante incertezza, è ancora possibile recuperare margini di crescita, in particolar modo dal punto di vista del fatturato. In tal senso, una direzione da seguire è il consolidamento dell’immagine e del contenuto di un prodotto ancora non degnamente apprezzato da parte dei consumatori.
L’identikit del consumatore
Quanti sono i consumatori che conoscono nel dettaglio l’uva da tavola? Quanti sono in grado di distinguerne le diverse varietà? Il consumatore medio probabilmente classifica l’uva tra bianca e nera, con e senza semi. Informazioni del tutto insufficienti a identificare con precisione ciò che si acquista, confermando così il netto divario tra i dati a disposizione dei produttori e quanto è poi comunicato al consumatore finale. Il territorio, le tecniche di coltivazione sostenibile, l’etica, l’attenzione al sociale e all’ambiente, una marca riconosciuta, un packaging adeguato o, ancora, altri elementi che possono differenziare l’offerta sono dei contenuti attualmente presenti all’interno di una completa e strutturata proposta di mercato? Conosciamo realmente chi mangia uva, riuscendo a tracciare un identikit abbastanza definito del consumatore o dei consumatori tipo? Fin quando queste evidenze non saranno disponibili o – ancor meglio – ricercate, sarà impossibile elaborare una proposta che da un lato soddisfi pienamente il mercato e, dall’altro, le imprese della filiera. In definitiva, occorre investire in modo concreto nella costruzione del “valore”, comprendendo come crearlo, comunicarlo e distribuirlo.
Invertire la rotta per costruire valore
Gli strumenti a disposizione per costruire valore sono vari e di comprovata efficacia, a volte disponibili con costi non eccessivi. Si tratta di strumenti utili forniti dalle più moderne tecnologie, in grado di acquisire periodicamente dati e mantenere un contatto continuo con il pubblico. Il primo aspetto da considerare è sicuramente una radicale inversione di rotta sul concetto di valore da parte degli stessi “addetti ai lavori”, in quanto non può e non deve significare, come ancora oggi spesso accade, vendere maggiori quantità a prezzi scontati. Al contrario, è necessario definire una strategia dettagliata per trasferire al consumatore un motivo d’acquisto in cui la convenienza, prima ancora che essere riferita all’aspetto economico, deve essere attribuita a una serie di caratteristiche, materiali e immateriali, opportunamente evidenziate. La costruzione del valore, così come già espresso, deve prevedere, come prima operazione fondamentale, una continua e approfondita analisi del consumatore. Lo studio del mercato non può limitarsi alle quantità, ai luoghi di produzione e ai prezzi di vendita. Quasi tutti i report che trattano l’uva da tavola riportano valori numerici sulla produzione, sulle varietà e sulle quantità esportate e importate. Questi numeri sicuramente spiegano il fenomeno, ma non nella sua interezza. I dati relativi alle vendite mostrano, il più delle volte, una visione legata al prodotto più che un orientamento al marketing. Con i numeri attualmente disponibili si possono effettuare delle embrionali deduzioni, ma svolgere una ricerca di mercato è tutt’altro. È fondamentale comprendere le reali motivazioni che spingono i clienti ad acquistare il prodotto. Uno studio approfondito ha lo scopo di illustrare cosa e quanto il cliente conosce dell’uva, come tale frutto si inserisce nel suo stile alimentare, a quali caratteristiche presta maggior attenzione e il prezzo che sarebbe disposto a pagare per quelle che assicurano benefici più elevati. Ad oggi, ad esempio, quanti consumatori conoscono le varie tipologie di uva, le provenienze territoriali, le proprietà nutritive e organolettiche e le tecniche di coltivazione adottate? In questo specifico momento, probabilmente, non è ancora possibile dare risposte certe e concrete a determinati interrogativi.
Quante e quali sono le indagini svolte in tale direzione?
Le ultime ricerche, relative ai prodotti alimentari nella loro più ampia accezione, ci prospettano dei consumatori più consapevoli, maggiormente attenti al benessere e alla salubrità. In particolar modo – secondo l’ultimo rapporto Coop redatto attraverso un’indagine condotta nella seconda metà del 2022 – nel 2023 l’80% degli italiani, per fronteggiare la crescita dell’inflazione, modificherà le proprie abitudini alimentari, orientandosi verso diete più salutari e meatless, ma anche più sobrie, zero waste e no frills. Il 65% del campione ha affermato come le scelte si baseranno principalmente sui cibi della tradizione, con un riferimento specifico al territorio e alla dieta mediterranea. In definitiva le preferenze si baseranno su cibo italiano, locale e sostenibile. Una previsione confermata, nello stesso report, anche dagli addetti ai lavori, poiché il 40% dei Food & Beverage Manager intervistati ha affermato che il 2023 sarà all’insegna di sobrietà ed essenzialità alimentare. È evidente, quindi, come un focus specifico sia strategico per meglio definire le dinamiche del comparto. Purtroppo, però, la scarsa aggregazione degli operatori non consente di mettere in campo forze adeguate per effettuare studi approfonditi, attraverso analisi dettagliate e su campioni rappresentativi.
Quanti e quali sono i confronti tra i produttori in cui, oltre a discutere di quali varietà piantare e di come affrontare le contrattazioni con la GDO, si tratta il tema della comprensione del consumatore?
Approfondendo le dinamiche che spingono gli acquirenti a valutare con maggior attenzione le varie offerte sarebbe possibile comporre la migliore strategia per costruire concretamente la proposta di “valore” da offrire al mercato. Le tendenze dei consumatori devono essere comprese in anticipo e non essere rincorse. In generale, per quanto riguarda il comparto dei freschi, lo sforzo di brandizzare le produzioni, promuoverle, renderle distinguibili, dotarle di confezioni adeguate in grado di generare attrattività, fornire maggiori informazioni al cliente non è sempre sviluppato. Questo sforzo è essenziale per orientare e ribaltare la valutazione del consumatore e, in tal senso, si possono annoverare esempi virtuosi relativi all’ananas, ai kiwi e alle mele. A riguardo, infatti, è possibile osservare aziende o aggregazioni di imprese che si contraddistinguono con marchi oggetto di importanti campagne promozionali. Queste, nel tempo, sono in grado di convincere il consumatore a pagare un prezzo d’acquisto nettamente superiore a quello di altri prodotti privi di specifiche strategie di marketing. Anche i distributori, per esempio, hanno intrapreso da tempo iniziative virtuose di questo tipo.
Cosa contraddistingue l’uva da tavola
In particolar modo, per l’uva da tavola, un investimento importante dovrebbe essere effettuato relativamente alla connotazione territoriale e alla divulgazione dei benefici in ottica salutistica. Il mercato italiano vede con crescente preoccupazione la minaccia di produzioni estere, che provengono da zone in cui determinate garanzie non sono presenti, con volumi peraltro ottenuti a costi di produzione nettamente inferiori. Condurre una battaglia sui prezzi determinerebbe una sconfitta in partenza per i nostri operatori. È indispensabile, quindi, investire lungo una direttrice che racchiuda assieme territorio, tradizione e qualità, un po’ come hanno già fatto i francesi nell’ambito dei vini. Inoltre, per quanto tale concetto sia puntualmente ribadito da tempo, se i produttori non raggiungono un determinato potere contrattuale con processi aggregativi, tutti gli sforzi per ottenere risultati migliori nelle trattative con gli intermediari saranno inefficaci.
Per concludere, un ultimo aspetto importante da considerare è quello legato a una valorizzazione delle produzioni attraverso la possibilità di far vivere ai consumatori l’esperienza. Anche in questo caso non si tratta di strategie e azioni del tutto nuove nell’ambito dell’agroalimentare. A titolo esemplificativo, l’enoturismo rappresenta oggi, per le piccole e medie aziende vitivinicole, rispettivamente il 14% e il 12% del fatturato totale (XVIII rapporto dell’Osservatorio sul Turismo del Vino). Immaginare eventi di promozione che possano far vivere sul territorio i momenti della raccolta e della degustazione dell’uva, quindi, potrebbe rappresentare un ulteriore percorso virtuoso da attivare. Risulta evidente come quanto finora descritto comporti un notevole cambiamento culturale dal punto di vista manageriale, ma è il compito che spetta a coloro che sono impegnati nella filiera per garantire un diverso e più promettente futuro al comparto. Ormai i tempi sono maturi non solo per un salto di qualità da parte dei produttori, ma anche per una diversa e profonda ricollocazione del prodotto che, da essere di estremo interesse per determinate aree come la Puglia, rischia invece di condannare coloro che continuano ad investirci. Inoltre, tale rivalutazione sarà più efficace se ci sarà una maggiore e più articolata sinergia tra le aziende e gli attori dello sviluppo locale, comprese le istituzioni dedite alla ricerca e alla formazione, poiché la sola conoscenza agronomica non basta e occorrono competenze sempre più specifiche in ambito gestionale e tecnologico.
A CURA DI: Domenico Morrone
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