La produzione primaria incide significativamente sull’impatto ambientale. Ma quali sono le responsabilità della viticoltura? Lo abbiamo chiesto ad Antonia D’Amico e Rocco Roma, rispettivamente dottoranda di ricerca e professore di Economia ed Estimo Rurale presso il Dipartimento di Scienze del Suolo della Pianta e degli Alimenti dell’Università degli Studi di Bari nel terzo numero di uvadatavola magazine.
Come riportano i dati FAO sui cambiamenti climatici, la produzione primaria è responsabile del 30% delle emissioni globali di gas serra. Considerato che l’uva da tavola è una delle principali produzioni frutticole al mondo, si fa qui un tentativo di calcolare, attraverso la metodologia LCA, l’effettivo impatto della coltura sull’ambiente.
L’uva da tavola, con circa 75 milioni di tonnellate prodotte ogni anno, riveste un ruolo importante nella produzione frutticola mondiale, insieme ad arance, mele, angurie e pere.
In Italia si producono quasi 1 milione di tonnellate di uva da tavola su una superficie di 46mila ettari e, in termini di produzione nazionale, la Puglia contribuisce per il 74% con una produzione annua di oltre 600mila tonnellate.
I dati della FAO sui cambiamenti climatici attribuiscono ai sistemi alimentari, e in particolar modo alla produzione primaria, il 30% delle emissioni globali di gas serra, che contribuiscono notevolmente al riscaldamento globale e al cambiamento climatico. Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs), definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Agenda 2030, stabiliscono la necessità di ridurre l’impatto ambientale delle pratiche agricole. È compito dei policy makers individuare le strategie e gli strumenti utili a raggiungere questi obiettivi, disegnando interventi che consentano alle imprese e ai cittadini di adottare comportamenti utili alla transizione ecologica dei sistemi produttivi e di consumo. L’esempio più completo di questo approccio politico sono le strategie che l’Unione Europea ha posto alla base del “Green Deal” europeo, a partire dal “Farm to Fork” sino alla riforma della PAC 2023. Centrale, in queste politiche, è la conoscenza delle implicazioni ambientali dei processi produttivi perché, per prendere decisioni strategiche su come un’azienda può avere un impatto più positivo sull’ambiente, è necessaria una conoscenza dettagliata degli input e delle pratiche agricole coinvolte al fine di misurarne il loro impatto ambientale. Ciò è possibile attraverso l’applicazione di metodologie di valutazione che abbiano alla base un approccio legato all’intero ciclo di vita, il cosiddetto life cycle thinking, che considera i coinvolgimenti ambientali di un prodotto a partire dall’estrazione delle materie prime fino alla gestione dei rifiuti nei diversi scenari di smaltimento.
La metodologia utilizzata per questa valutazione è l’analisi del ciclo di vita, nota anche come Life Cycle Assessment – LCA nell’acronimo inglese.
La LCA è una metodologia standardizzata a livello internazionale (ISO 14040) per valutare i potenziali impatti ambientali di un prodotto o processo in ogni fase della sua vita, fornendo un supporto al processo decisionale per lo sviluppo sostenibile sia delle imprese, nella scelta dei processi produttivi meno impattanti, sia per i cittadini nelle scelte di acquisto più consapevoli ed ecologiche. La LCA si è consolidata come strumento di valutazione ambientale alla fine degli anni Novanta, specie in ambito industriale, favorito anche dalla specificità dei prodotti e delle tecnologie utilizzate nel settore, e ha avuto un rapido processo di trasferimento al settore agroalimentare per via soprattutto delle forti implicazioni che questo ha con l’ambiente. Nel suo insieme, infatti, il settore agroalimentare è considerato fra i maggiori responsabili dell’inquinamento globale. In particolare, per molti dei prodotti alimentari, è possibile distinguere fasi di produzione primaria – la fase agricola – da quella di trasformazione o fasi industriali. L’interesse del presente lavoro di ricerca è centrato sullo studio delle implicazioni ambientali della fase agricola. Una volta individuati gli input e il loro coinvolgimento nel danno ambientale procurato, l’obiettivo è quindi fornire informazioni fruibili per tutti gli attori che intervengono nella filiera agroalimentare al fine di migliorare le performance ambientali della food supply chain.
La LCA della viticoltura da tavola
La LCA si basa sulla definizione dell’unità funzionale di riferimento (in questo caso 1 kg di uva da tavola) e dei confini del sistema da analizzare, che vanno dalla fase agricola a quella di distribuzione e consumo. In questa occasione è stata considerata la fase di produzione agricola in quanto, rispetto alle fasi successive, è responsabile di molti degli impatti ambientali. Per la fase agricola viene realizzato un inventario del ciclo di vita, in cui vengono considerati tutti gli input chimici ed energetici coinvolti nella produzione. In questo lavoro sono stati utilizzati i dati medi dell’areale di produzione pugliese relativi a: fertilizzanti, pesticidi, combustibili, energia elettrica consumata in azienda e materiali utilizzati per la costruzione del tendone. Per le valutazioni sui processi interni sono spesso utilizzate le dichiarazioni ambientali di prodotto (EPD), certificazioni standardizzate che forniscono informazioni puntuali e scientifiche sulle prestazioni ambientali di un prodotto, in accordo con lo Standard Internazionale ISO 14025. L’analisi considera le categorie di impatto ambientale, come le emissioni di gas serra, l’esaurimento delle risorse e i danni alla biodiversità, che vengono espresse in indicatori ambientali. Misurati in diverse unità di misura, vengono quindi standardizzati e normalizzati, offrendo un punteggio assoluto che consente il confronto e la discussione. Gli studi di LCA utilizzano categorie di impatti ambientali come la Carbon footprint o impronta di carbonio, che è quella più comunemente utilizzata per valutare le emissioni dei gas ad effetto serra responsabili dei cambiamenti climatici, misurata in kg di anidride carbonica equivalente (CO2e).
I risultati dell’analisi hanno evidenziato che l’impatto ambientale complessivo in viticoltura è dovuto principalmente al consumo di energia elettrica per l’irrigazione e all’utilizzo dei film plastici per la copertura del vigneto (fig. 1).

Figura 1. Distribuzione percentuale delle emissioni per tipologia di input
In particolare, l’energia elettrica e la produzione di materie plastiche sono responsabili delle emissioni più importanti dovute principalmente agli input energetici, necessari per la loro produzione, che si traducono in emissioni di gas serra. I risultati presentati nella figura 2 confermano che le principali categorie di impatto sono relative al potenziale di riscaldamento globale (GWP) e all’esaurimento delle energie fossili (NRF).

Figura 2. Contributo percentuale degli input utilizzati per categoria di impatto
L’analisi del contributo degli input mostra che nella categoria GWP l’energia elettrica e le coperture in plastica rappresentano rispettivamente il 41% e il 39% dell’impatto. Mentre nella categoria NRF i film plastici sono responsabili del 64% dell’impatto. Al fine di quantificare l’impatto complessivo di ciascuna categoria di impatto ambientale, è stata condotta un’analisi in cui i risultati vengono normalizzati e pesati per ottenere un punteggio unico che consente il confronto tra diverse categorie. Questa procedura utilizza le categorie di danno procurato su “salute umana – HH”, “qualità degli ecosistemi – EQ” ed “esaurimento delle risorse abiotiche – MJ”. I risultati nella figura 3 indicano che la categoria “combustibili fossili” è quella con la maggiore responsabilità dell’impatto, circa l’89% del totale, seguita da “cambiamento climatico” (circa il 7%). In tutte le categorie il film plastico e l’energia elettrica hanno il maggiore contributo e pertanto il loro utilizzo deve essere considerato di interesse primario nelle strategie di riduzione dell’onere ambientale totale in viticoltura. È chiaro che la gestione dell’irrigazione e l’uso di coperture giocano un ruolo fondamentale nella valutazione del ciclo di vita della produzione di uva da tavola. I risultati di questo studio potrebbero suggerire alle aziende di implementare alternative più sostenibili, che si traducono in una riduzione degli impatti che i vigneti causano all’ambiente.

Figura 3. Distribuzione percentuale dell’impatto totale per principali categorie
Come coniugare produzione agricola e sostenibilità?
L’impiego dei film plastici è fondamentale per proteggere il vigneto dagli agenti esterni, così da ridurre danni biotici e abiotici. Le coperture, inoltre, influenzano il microambiente del vigneto permettendo di anticipare o ritardare la maturazione dell’uva. Pertanto, considerando che la copertura è necessaria per gli agricoltori, dovrebbero essere attuate alcune soluzioni tecniche più sostenibili. Il riciclo delle materie plastiche, opportunamente raccolte a fine vita, offre la possibilità di reintrodurle nel processo produttivo evitando la produzione ex novo e riducendo al contempo le relative emissioni inquinanti. Accanto a questo, un’altra possibile strategia volta a ridurre la quantità di plastica impiegata in viticoltura prevede l’utilizzo di teli con uno spessore ridotto.
Al fine di ridurre le emissioni di gas serra causate dalla combustione dei combustibili fossili per la produzione di energia elettrica, invece, l’alternativa più valida è rappresentata dall’utilizzo di energia rinnovabile nell’irrigazione. Esistono diversi approcci per integrare le energie rinnovabili nei sistemi di pompaggio dell’acqua: tra questi, i sistemi alimentati da pannelli fotovoltaici che sfruttano la radiazione solare, risorsa abbondante e gratuita.
Attraverso le categorie di impatto, che danno un quadro concreto di quale sia effettivamente l’impatto ambientale delle pratiche agricole, l’analisi del ciclo di vita offre la possibilità di comprendere dove e come l’azienda può sfruttare le opportunità per diventare più sostenibile. Una maggiore consapevolezza di quanto sia importante migliorare la performance ambientale dei prodotti consente di definire strategie aziendali alternative per l’ottimizzazione dei processi di produzione e l’impiego di tecnologie e materiali più sostenibili.
A cura di: Antonia D’Amico e Rocco Roma
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