Risorsa idrica e agricoltura: quale acqua per il futuro?

Dallo stoccaggio delle acque destinate all’agricoltura alle nuove tecniche di conservazione della risorsa idrica: con Vito Felice Uricchio analizziamo l’attuale situazione delle risorse idriche in Italia.

da Redazione uvadatavola.com
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Con Vito Felice Uricchio, dirigente del CNR – IRSA (Istituto di Ricerca Sulle Acque) di Bari – approfondiamo lo stato dell’arte delle risorse idriche italiane.

Nel tempo, infatti, si è assistito a una copiosa dispersione della risorsa idrica a causa dei cambiamenti climatici che, allo stesso tempo, hanno determinato un aumento della richiesta di acqua a fini agricoli.

Dallo stoccaggio delle acque destinate all’agricoltura alle nuove tecniche di conservazione della risorsa idrica: con Vito Felice Uricchio analizziamo l’attuale situazione delle risorse idriche nel Bel Paese.

Come viene gestita la risorsa idrica nel Sud Italia? 

Di fatto la gestione delle risorse idriche coinvolge oggi numerosi enti di gestione ed istituzioni, con una governance che, a livello nazionale è articolata in 7 distretti. Tra essi vi troviamo quello dell’Appennino Meridionale, che gestisce la risorsa idrica nella maggior parte delle regioni del Centro-Sud (Puglia, Basilicata, Campania e Calabria, Molise, parte dell’Abruzzo e del Lazio). Oggi questo distretto è diretto dalla dottoressa Vera Corbelli. Gli enti chiamati in causa sono molti perché la risorsa idrica è utilizzata per numerose finalità: irrigue, industriali o potabili. La pianificazione viene svolta a livello di distretto. Quest’ultimo lavora anche per agevolare interlocuzioni tra le diverse regioni. La Puglia, ad esempio, non disponendo di sufficienti disponibilità idriche dipende molto da altre regioni; condizione che rende l’azione distrettuale strategica per “convincere” le regioni limitrofe a cedere parte delle loro acque per compensare gli approvvigionamenti idrici e garantire le disponibilità per tutti i cittadini e le attività produttive.

 

Risorsa idrica - vito uricchio

In foto: Vito Uricchio

Chiarito il quadro relativo al funzionamento del distretto, parliamo ora più in dettaglio dell’evoluzione climatica del Sud Italia: come è cambiata la piovosità negli ultimi anni?

I cambiamenti climatici hanno reso più frequenti gli eventi estremi – le famigerate bombe d’acqua – che non permettono alle acque di permeare nel sottosuolo ed alimentare le falde sotterranee. Eventi così intensi, infatti, favoriscono un veloce deflusso delle acque sulla superficie e verso il mare, determinando la dispersione della risorsa. Per restare alla sola Puglia, nel 2020 – ad esempio-  abbiamo registrato oltre 80 casi di piogge intense. Alcune delle quali con conseguenze significative quali allagamenti e danni alle colture. L’incremento delle temperature e dell’energia del sistema ha anche determinato un numero elevato di trombe d’aria.

 

Quindi piove in maniera “diversa” rispetto al passato

E questo complica il processo di conservazione delle acque. D’altra parte è anche vero che piove meno. Questa condizione è causata dal progressivo innalzamento termico dell’aria che determina anche una maggiore evaporazione delle acque. Per ogni °C in più, si calcola che il 7 % in più di acqua resti “intrappolata” nell’atmosfera sotto forma di umidità o di nuvole. Infine, le temperature più alte provocano una maggiore evapotraspirazione inducendo sulle colture stress idrici più frequenti. Per tutti questi motivi si osserva un sempre più spiccato incremento della richiesta di acqua. L’analisi dei dati di cui disponiamo lascia supporre che questo trend proseguirà anche nei prossimi 50 anni. Per risolvere questo rebus occorrerà mettere in atto una serie di azioni.

 

In che modo, quindi, si potrà salvaguardare la risorsa idrica in futuro?

In un contesto come quello descritto occorre razionalizzare i consumi in relazione ai differenti utilizzi, siano essi irrigui, potabili ed industriali . Tra le innovazioni tecnologiche un modo per rispondere al problema della scarsità della risorsa idrica ci giunge da antichi risultati della ricerca scientifica del CNR-IRSA, messi in pratica negli Stati Uniti, dove già da tempo sono stati progettati e realizzati invasi sotterranei.

Invasi sotterranei

Essi mostrano diversi vantaggi rispetto agli invasi superficiali:

  • non incidono sul “consumo di suolo”,
  • evitano l’evaporazione dell’acqua, specie nelle giornate più afose,
  • prevengono l’arretramento delle coste (dovuto all’intrappolamento di sedimenti negli invasi) ed, in aggiunta, 
  • garantiscono una maggiore tutela della risorsa idrica – perché l’acqua stoccata nel sottosuolo è meno soggetta a pressioni antropiche e conserva anche una migliore qualità.

Oggi si parla del livello del fiume Po, qualche anno fa si parlava molto degli effetti della siccità sul lago di Bracciano – nel Lazio -. Torniamo indietro di qualche anno. Ricordate che il livello del lago scendeva di giorno in giorno? In giornate particolarmente calde in quello specchio d’acqua si registrava un’ evaporazione di 9 millimetri al giorno. Considerando l’evaporazione per l’intera superficie del lago si calcola che si disperdevano quantitativi di acqua che avrebbero potuto soddisfare i fabbisogni potabili di Roma per tre giorni. In futuro sicuramente vedremo aumentare sempre più le giornate con “ondate di calore”.

C’è poi una lunga lista di problemi da risolvere per poter preservare la nostra “sorella acqua”.
Occorre considerare anche l’impermeabilizzazione del suolo.

Continuiamo a cementificare il territorio e ciò determina un aumento della velocità di scorrimento delle acque piovane, limitando la possibilità di ricaricare le falde.

Prelievi non autorizzati

Altro aspetto tutt’altro che marginale nel panorama agricolo è quello dei prelievi non autorizzati della risorsa idrica: a mio avviso occorrerà incrementare le attività di sorveglianza, perché purtroppo si contano tanti pozzi e prelievi abusivi che, prelevando ingenti quantitativi di acqua, sfuggono alla pianificazione ed ai bilanci idrici operati dai Distretti.  Continua ad essere irrisolto anche un altro problema: in molti territori l’uso delle acque in agricoltura non viene contabilizzata né conturizzata.

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Alcuni consorzi di bonifica fanno pagare l’acqua in funzione della superficie irrigata invece che dell’effettivo consumo.

Tutto ciò favorisce un abuso di questa preziosa risorsa con sprechi eccessivi ed immotivati. Quest’ultimo nodo, se non risolto, oltre a provocare un depauperamento delle risorsa idrica, può determinare l’alcalinizzazione dei suoli o l’insorgere di fisiopatie sulle stesse coltivazioni.

Siamo coscienti del fatto che il settore agricolo per poter produrre necessita di molta acqua – si calcola che nelle regioni del Sud Italia il 70 per cento delle risorse idriche è impiegata per l’irrigazione – ma dobbiamo cercare di orientarci verso modalità più sostenibili ed a minore impatto. L’agricoltura deve adattarsi ad utilizzare meno acqua per le produzioni.

Le tecnologie irrigue a basso consumo, le smart technologies e l’irrigazione digitale, l’agricoltura di precisione, possono concorrere a ridurre notevolmente l’impiego di acqua, senza impattare sulle produzioni. Oggi è possibile selezionare specie vegetali meno idroesigenti ed a tal riguardo possiamo utilizzare varietà specifiche – anche modificate attraverso le tecniche CRISPR/CAS (L’editing del genoma: un intervento di precisione che consente la correzione mirata di una sequenza di DNA) –  con le quali possiamo ottenere piante, ad esempio, con vasi xilematici più stretti, stomi di dimensione minore: fattori che permetterebbero alla pianta di perdere meno acqua. 

 

Ci ha parlato di invasi sotterranei e DNA: a suo avviso nell’agricoltura del futuro potrà diffondersi ulteriormente anche l’utilizzo di acque reflue? 

Assolutamente sì. Le tecnologie attuali ci consentono già oggi di affinare le acque reflue fino a renderle addirittura potabili. Si tratta di metodi che vengono praticati già da qualche anno: in un impianto per il trattamento delle acque a Fasano, in provincia di Brindisi, si ottengono acque potabili da reflui urbani.

Gli studi condotti dimostrano che le acque ottenute dai processi di trattamento possono presentare proprietà chimiche e microbiologiche addirittura superiori rispetto alle acque convenzionali (derivanti da fiumi o acque sotterranee). Anche il nostro istituto è impegnato da 30 anni nel settore del riuso delle acque reflue depurate, per cui le tecnologie di riuso sono assolutamente mature ed immediatamente utilizzabili per finalità irrigue, industriali o per scopi meno pregiati nelle città.

Pensa se verranno attivate tutte queste innovazioni e accortezze potranno esserci delle ricadute sui costi delle acque per gli agricoltori?

A mio avviso i costi di depurazione delle acque non devono affatto gravare sull’agricoltura. I costi di depurazione delle acque devono essere socializzati e se utilizziamo le acque reflue depurate in agricoltura “vincono tutti”: vince l’ambiente, l’agricoltore e la collettività. 

Si può immaginare anche un meccanismo che permetta un risparmio economico per chi utilizza tecnologie di salvaguardia dell’acqua?

Certo, occorrerà incentivare l’uso di nuove tecnologie per la gestione più razionale dell’acqua sulla base di meccanismi di fiscalità circolare. Trovo che sia particolarmente importante promuovere ed agevolare l’economia circolare, anche legata all’acqua, utilizzando la leva fiscale. 

 

Parliamo della qualità delle acque disponibili nella nostra nazione.

In Italia la qualità delle acque è buona, perché per l’84,8 per cento del prelievo nazionale delle acque potabili proviene da acque sotterranee (circa il 36 per cento da sorgenti e il restante 49 per cento dai pozzi). Le acque sotterranee, essendo meno esposte all’azione antropica, hanno mediamente una qualità decisamente migliore delle acque superficiale. Inoltre confrontando lo stato chimico delle acque italiane con quelle degli altri Paesi Europei ci posizioniamo al 5° posto. I Paesi che hanno ottenuto risultati migliori del nostro sono: Austria, Svezia, Irlanda e Ungheria. Tuttavia, sino al 2019 l’Italia era al 4° posto anche per PIL, mentre gli altri Paesi in questa classifica sono rispettivamente al 10°, 8°, 11° e 18° posto; questo significa che nella nostra Penisola la tutela delle risorse idriche funziona bene. 

 

Autrice: Teresa Manuzzi

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