Portainnesti, innovazione varietale e fisiologia: Grape&Grape Group chiama a raccolta i soci per una visita in campo.
Uvapulia
L’obiettivo dell’incontro, promosso da Uvapulia – e svoltosi venerdì 23 settembre 2022 presso la Masseria Torre Catena (Polignano – Ba) – era quello di offrire dati circa l’avanzamento lavori di Uvapulia; progetto nato per fissare delle linee guida di conduzione agronomica. Ma non solo, Uvapulia valuta diversi parametri delle cv licenziate dal Gruppo per condividerli con la filiera. Il fine è quello di facilitare la scelta della cultivar più adatta alle condizioni pedoclimatiche e strutturali dell’azienda agricola.
Nel corso delle diverse attività tecnico/dimostrative i partecipanti hanno avuto l’occasione di dare uno sguardo a quello che la prof.ssa Laura De Palma, dell’ Università di Foggia, ha definito un “campo collezione” e si sono approfondite le seguenti tematiche:
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innovative tecniche di breeding,
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il percorso di selezione delle nuove varietà,
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la risposta delle nuove cv a diversi portainnesti;
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i comportamenti ecofisiologici delle varietà.
Il campo collezione
Il campo di fatto rappresenta il “primo approdo” delle piccole plantule franche di piede (che provengono da seme o da embrione) ottenute anche grazie alla collaborazione attivata con lo spin-off dell’Università di Catania: Agriunitech. Ciò ha consentito di adoperare nuove tecniche di coltura in vitro che hanno permesso di ottimizzare il lavoro. Grazie all’embryo rescue, ad esempio, oggi è possibile ottenere delle piantine frutto di un incrocio tra due varietà senza semi.
Come ibridare due varietà senza semi?
Dagli acini si preleva l’embrione del seme, prima che l’apirenia porti al naturale aborto dello stesso. Ciò consente di ottimizzare la resa di genotipi apireni. A ogni modo, se siamo fortunati, il primo frutto riusciamo a ottenerlo dopo un paio di anni (nei casi peggiori quattro) dalla messa a dimora delle piantine.
L’agronomo Antonio Mastropirro di Agri Project ha affermato:
“Da questi pochi e piccoli grappoli gestiti “al naturale” e senza alcun tipo d’intervento noi cerchiamo di comprendere dei segnali interessanti. Se il vitigno offre segnali interessanti esso verrà moltiplicato, studiato per comprenderne i difetti e gestito secondo i classici protocolli agronomici all’interno dei campi dei soci. Qui sesto d’impianto, conduzione sotto telo, portainnesto e superfici più adeguate faranno il resto. Dopo tutti questi passaggi capiremo se quella selezione potrà raggiungere degli standard commerciali idonei. Il lavoro, però, non sarà ancora terminato. Occorrerà comprendere la presenza di eventuali suscettibilità a particolari fisiopatie”.
Molto interessante anche lo studio sui portainnesti di cui ci ha parlato l’agronomo Antonio Carlomagno
Lo studio inerente il rinnovamento genetico dei portainnesti è cominciato in seguito ai problemi avuti con la fillossera a cavallo tra il 1800 e il 1900. In quel lasso di tempo si sono messi a punto i portainnesti che usiamo anche oggi. Nelle viticoltura da tavola due sono i portainnesti che si sono maggiormente usati: 140RU (Ruggeri – 1897) e 1103 Paulsen (ottenuto tra il 1894 e il 1897). Si tratta di piedi che hanno “fatto strada” grazie alla loro estrema tolleranza al calcare, necessaria nei nostri terreni. In realtà in alcune zone del Nord barese si è utilizzato molto anche il 34 E.M, che però ha mostrato dei limiti soprattutto nel riuscire a supportare il vigore. Bisogna infatti considerare che l’uva da tavola è una coltura intensiva. Le viti sono chiamate a sostenere dai 20 ai 30 kg di peso e un portainnesto debole come il 34 E.M non è in grado di farlo.
Nella storia ritroviamo già l’utilizzo del 225 RU (Ruggeri), che è stata una parentesi, perché si è dimostrato particolarmente esigente dal punto di vista idrico in tempi in cui l’acqua era un bene molto raro in Puglia, perciò è stato abbandonato.
Cosa cercate da un portinnesto?
Quello che cerchiamo, di base, è sempre la tolleranza al calcare, perché questa resta una delle caratteristiche dei nostri areali. In seguito valutiamo l’affinità con l’innesto e quindi con la varietà. Secondo il mio punto di vista, considerando l’innovazione varietale in atto sul nostro territorio, è importante avere diversi piedi a disposizione per cercare di “risolvere” alcune delle caratteristiche delle nuove varietà molto sensibili alla colatura.
Cosa accade con la colatura?
Predisponendo per queste cv un portainnesto molto vigoroso, come 140RU o 1103 Paulsen, non facciamo altro che esacerbare questo fenomeno. A tal riguardo abbiamo notato che il 110R (Richter – 1889) in diversi areali mostra un comportamento molto simile al 1103 Paulsen, ma è meno vigoroso. Caratteristica, questa che ci permetterebbe di evitare l’eccesso di colatura in fioritura, grazie all’eliminazione dei “colpi di vigore”.
State lavorando anche sulla serie M?
Altri portainnesti più “nuovi”, che però sono figli della ricerca degli anni ‘90, ma che si stanno diffondendo solo adesso e per lo più li troviamo nella viticoltura da vino, sono i portainnesti della serie M che sono stati creati dall’Università di Milano.
Si tratta di piedi resistenti a salinità e stress idrici. I più interessanti sembrano l’M2 e l’M4. Questi a loro volta hanno mostrato anche dei limiti perché poco vigorosi e incapaci d’imporre quella spinta vegetativa che interessa al viticoltore da tavola.
Questo potrebbe essere un bene con varietà estremamente vigorose?
Sì, in questo caso potrebbe essere un bene ma è da verificare. Non dobbiamo mai dimenticare anche che tutta la nostra viticoltura si gioca sotto telo. E sotto telo cambia tutto: microclima ed espressione varietale.
Infine ha preso la parola la prof.ssa De Palma che ha illustrato il progetto Uvapulia
Stiamo osservando i comportamenti ecofisiologici delle varietà Grape&Grape. A parità di condizioni registriamo in che modo rispondono le diverse cv in termini di:
- efficienza fotosintetica,
- efficienza d’uso dell’acqua,
- traspirazione,
- potenziale e stato idrico.
Dallo studio emerge come sussistono delle differenze tra le varietà, perché alcune possiedono, per esempio, una maggiore resistenza allo stress idrico. Questo non vuol dire che le cv che resistono meno non sono valide, ma che esse sono da consigliare alle aziende che possono contare sulla disponibilità idrica”.
Autrice: Teresa Manuzzi
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