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Il rame è uno degli agenti fungicidi più utilizzati in agricoltura per la protezione delle colture, in particolare della vite. Il suo impiego, però, è oggetto di continui dibattiti a causa della sua persistenza nell’ambiente e dei potenziali effetti negativi sulla salute umana e sulla qualità del suolo, sebbene recenti aggiornamenti dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) (EFSA) portano nuovi elementi di valutazione, ribadendo che, ai livelli di utilizzo proposti, non esistono rischi per la salute del consumatore, né adulto né bambino. L’impiego di rame in viticoltura avviene principalmente sotto forma di solfato di rame, idrossido di rame, ossicloruro di rame o ossido rameoso. La sua efficacia è legata alla capacità di interferire con i processi enzimatici dei patogeni fungini, in particolare Plasmopara viticola, agente della peronospora. A differenza di molte sostanze chimiche di sintesi, il rame è un elemento naturale, essenziale per la vita umana e ubiquitario nell’ambiente e nelle matrici alimentari.
Essendo un elemento chimico, il rame non è degradabile. Questa caratteristica intrinseca, e non negativa, costituisce infatti una proprietà comune e attesa per gli elementi non radioattivi. Sebbene si tenda ad accumulare nel suolo, dunque, gli studi attuali non evidenziano effetti negativi significativi sulla biodiversità o sulla funzione ecologica del suolo fino a dosaggi di 8 kg/ha, secondo quanto confermato anche da EFSA.
Rame in viticoltura: la proposta dell’EFSA e il quadro normativo
La revisione dei limiti di residuo rientra nell’aggiornamento del Regolamento (CE) n. 396/2005 sugli LMR dei prodotti fitosanitari. È bene chiarire che la proposta EFSA non implica alcun cambiamento nei dosaggi d’uso, né un giudizio negativo sul rame come sostanza attiva. Al contrario, si tratta di un esercizio scientifico per allineare i limiti alle evidenze residue e agli scenari di consumo. Due le opzioni analizzate: innalzamento del limite a 100 mg/kg, supportato da prove residue che dimostrano la sicurezza per i consumatori oppure la sua riduzione a 4 mg/kg, basata su dati campionari e su un approccio più conservativo rispetto all’accumulo ambientale. La decisione finale sarà affidata ai risk managers.
Per la viticoltura, l’innalzamento del limite a 100 mg/kg potrebbe consentire una maggiore flessibilità nell’uso dei prodotti rameici, fondamentali nella difesa fitosanitaria contro patogeni come la peronospora. L’eventuale riduzione del limite a 4 mg/kg, invece, non rispecchierebbe un problema di sicurezza, ma potrebbe comportare difficoltà operative per i produttori, spingendoli verso strategie alternative spesso meno efficaci o più onerose.

Peronospora su vite
Il caso specifico dell’uva da tavola
Per l’uva da tavola, la questione è particolarmente delicata, poiché il suo consumo avviene direttamente, senza processi di vinificazione che possano ridurre eventuali residui. Tuttavia, la valutazione EFSA conferma l’assenza di rischio per il consumatore anche a livelli di residuo più elevati, grazie al ruolo fisiologico del rame nell’organismo umano. Eventuali restrizioni dovrebbero quindi essere valutate con attenzione, anche in funzione delle possibili ripercussioni sul commercio estero.
In linea generale, la revisione dei dei limiti massimi di residuo del rame non nasce da una nuova valutazione di rischio tossicologico, ma da un aggiornamento tecnico dei dati. Il rame, nella forma e nei dosaggi autorizzati, continua a essere ritenuto sicuro per l’uomo e compatibile con la salute del suolo. Il dibattito aperto in sede europea riguarda l’equilibrio tra esigenze agronomiche, sostenibilità e armonizzazione normativa, e non la messa in discussione dell’impiego di rame in sé. La ricerca di alternative è certamente importante, ma non deve essere guidata da una percezione distorta del rischio, quanto piuttosto da obiettivi di innovazione e ottimizzazione della gestione fitosanitaria.
Ilaria De Marinis
©uvadatavola.com
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