“Grape Job!”: l’azienda Lozupone

Come le nuove generazioni stanno cambiando il volto della produzione di uva da tavola? Ne parliamo Con Francesco -Checco - Lozupone.

da Redazione uvadatavola.com

Con la nuova rubrica “Grape Job!” diamo voce alle nuove generazioni di imprenditori viticoli. Attraverso il loro racconto scopriamo l’evoluzione del comparto, come cambia la difesa, la visione del futuro e le innovazioni tecnologiche e varietali.

Questa intervista vuole essere la prima di un viaggio. Il nostro obiettivo? Dare voce alla nuova generazione di imprenditori italiani che stanno gestendo le aziende agricole ad uva da tavola. Con loro scopriremo in che modo è cambiato il modo di produrre uva negli ultimi 10 anni. Inoltre ci soffermeremo sulla loro visione circa il futuro del comparto. Il nome prende spunto dalla locuzione inglese “Great job!” – che si traduce in “Ottimo lavoro!” – .

 

Cominciamo con Francesco Lozupone, classe 1987. Egli rappresenta la seconda generazione per l’omonima azienda – sita a Rutigliano (Ba) – specializzata in produzione, confezionamento e distribuzione di uve da tavola con e senza semi.

 

L’azienda si estende su di una superficie di circa 60 ettari sul territorio pugliese. Oggi Francesco e il padre Natale lavorano fianco a fianco. Francesco, conosciuto come Checco, è nato all’ombra dei vigneti, ma è durante gli anni universitari che ha cominciato ad introdurre in azienda nuovi processi innovativi. Dopo la laurea in Agraria ha proposto e realizzato al 100 percento una serie di progetti che – di fatto – si sono concretizzati negli ultimi 10 anni.

Come è cambiata l’azienda con il tuo contributo?

Sicuramente con me è arrivata una nuova visione della nutrizione e della difesa. In assoluto tra le novità che ho introdotto in azienda troviamo l’uso dei sovesci, l’installazione di stazioni meteo e l’adozione di un approccio molto più integrato, maturato anche grazie all’esperienza nella società di consulenza in agricoltura Agrimeca – Grape and Fruit Consulting. Il tutto con l’obiettivo di rendere la produzione più sostenibile.

Quale è stata l’evoluzione nell’ultimo decennio rispetto alle nuove varietà senza semi?

L’innovazione varietale rappresenta un processo innovativo imprescindibile per un’azienda agricola che voglia produrre uva da tavola, anche perché verso le seedless si registra un chiaro ed esplicito aumento della domanda da parte del mercato. Negli ultimi anni questo processo si è intensificato e, come riflesso in uno specchio, possiamo vedere in piccolo all’interno della mia azienda agricola quello che su scala nazionale sta accadendo in Italia. Mentre una decina di anni fa solo il 10 – 20 percento delle nostre produzioni erano rappresentate da uve senza seme, negli ultimi anni, invece, abbiamo raggiunto quota 50 percento. La nostra intenzione non è certo quella di abbandonare totalmente le uve con seme. Allo stesso tempo crediamo molto nella ricerca e nelle potenzialità che le nuove varietà – figlie di breeder nazionali ed internazionali – possano dare al comparto. Tutto ciò ci ha spinto anche a far parte di un progetto locale di sperimentazione varietale. Siamo infatti tra le aziende finanziatrici del consorzio Nu.Va.U.T., un progetto di ricerca nel quale crediamo molto e per il quale abbiamo adibito qualche ettaro alla realizzazione di campi prova. Qui abbiamo messo a dimora circa 20 varietà che per ora sono in fase di sperimentazione. In più stiamo procedendo alla realizzazione di nuovi impianti commerciali per alcune varietà che riteniamo interessanti.

Si può affermare che l’innovazione varietale è un punto che state gestendo con tranquillità e con fiducia nel futuro?

Il ricambio varietale da una parte del settore produttivo è recepito come un rischio. Il motivo è che d’improvviso ci troviamo a dover mettere da parte tutta la nostra storia – e tutta la fama – come produttori italiani, guadagnata coltivando uve tradizionali. Però bisogna essere anche in grado di capire che si tratta di un passaggio fisiologico, necessario ad allinearsi con ciò che producono gli altri Paesi per poter garantire continuità ai maggiori canali di distribuzione. L’uva da tavola è ormai un prodotto destagionalizzato e noi non possiamo non offrire anche quelle varietà che sono prodotte in tutti gli altri Paesi produttori.

 

Circa il rinnovo varietale, tuo padre è stato concorde?

Prima ci siamo confrontati e poi abbiamo deciso – di comune accordo – di aumentare le superfici di uve senza semi e partecipare ad una serie di progetti volti ad innovare il nostro pacchetto varietale con varietà sia internazionali (SNFL, Grape Evolution, etc.) che locali (Nu.Va.U.T. e Grape&Grape).

Parliamo ora della risorsa idrica: come è cambiata la sua gestione con il tuo avvento in azienda?

Dal 2017 abbiamo installato 2 stazioni meteo che permettono di controllare quasi il 50 percento della superficie aziendale. Sostanzialmente l’irrigazione la gestiamo con un DSS (N.d.R.: Sistema di Supporto alle Decisioni), un software che ci permette di controllare i volumi. Di fatto questo strumento permette (1) di ridurre i consumi idrici e (2) di tenere in considerazione aspetti quali ad esempio l’evapotraspirazione, la radiazione solare, la piovosità e la bagnatura fogliare.

Tu che hai vissuto il prima e il dopo di queste tecnologie in campo, quali differenze noti?

Il termine che meglio si addice per descrivere il cambiamento di gestione è che è tutto “diverso”. Il gestionale suggerisce, ad esempio, di effettuare degli interventi che non avresti mai immaginato di dover fare. Viceversa, potrebbero esserci degli interventi che si è soliti effettuare – un tempo si diceva “a calendario” – e che il gestionale non suggerisce. Si tratta di un approccio “diverso” dal solito, in contrasto con quello tradizionale. Noi conduciamo metà azienda in modo “tradizionale” e metà attraverso l’uso dei DSS. In cantiere ci sono altri progetti legati alla gestione irrigua e all’automazione.

Cosa è emerso da questo confronto?

Innanzitutto è cambiato l’approccio all’irrigazione, sia dal punto di vista delle ore per turno irriguo, che per numero d’interventi irrigui. Questi ultimi, grazie al DSS, sono adesso diversamente distribuiti durante la stagione.

 

Tutto ciò ha delle conseguenze anche sul prodotto e sulle piante?

Le piante vanno visibilmente meno in stress, l’equilibrio vegeto-produttivo è più costante e si nota anche che vengono meno una serie di conseguenze provocate da errori nei turni irrigui condotti senza supporti tecnologici.

La tecnologia vi sta aiutando a gestire meglio anche la difesa?

In un certo senso possiamo dire che è di supporto. Ovviamente in questo caso entrano in gioco anche le competenze e le scelte agronomiche. Con mio padre ci occupiamo personalmente di molti aspetti in azienda, ma siamo sempre in costante contatto con esperti di settore, con i quali abbiamo sempre un confronto molto aperto. Per la difesa la chiave è il monitoraggio continuo, abbiamo installato trappole e facciamo ispezioni frequenti. Inoltre, grazie ad alcuni accorgimenti agronomici e alle tecniche colturali, riusciamo a ridurre al minimo gli interventi.

Prima parlavi di difesa integrata: quali sono le scelte che hanno condotto la tua azienda in questa direzione?

Siamo certificati GlobalGAP da quasi vent’anni e dal 2016 siamo certificati SQNPI (Sistema Qualità Nazionale Produzione Integrata). Si tratta di un accreditamento che si compie su base volontaria. In via generale, come accennato prima, abbiamo aumentato il numero di trappole per il controllo degli insetti, stiamo mettendo a punto alcune operazioni colturali volte a evitare di creare un ambiente ideale per l’insediamento di malattie fungine o insetti e siamo riusciti ad avviare un percorso di progressiva riduzione degli apporti idrici e chimici. Effettuiamo confusione sessuale per Lobesia botrana da più di 10 anni e dal 2017 abbiamo introdotto il metodo dei puffer. Inoltre collaboriamo attivamente con le Università di Bari e Foggia e con alcune aziende che producono mezzi tecnici per sperimentare tecniche innovative e sostenibili volte – ad esempio – al controllo degli insetti. Da quest’anno abbiamo attivato il monitoraggio di Cryptoblabes gnidiella (tignola rigata) oltre a un nuovo sistema di confusione per L. botrana (quest’ultimo ancora in fase sperimentale). Tutto questo associato all’utilizzo di biostimolanti, induttori di resistenza, microrganismi e mezzi biologici è ormai pratica quotidiana, volta al raggiungimento di obiettivi dettati anche dall’UE (Farm to Fork e Green Deal).

Parliamo di nutrizione: come è cambiata in questi 10 anni la vostra gestione nutrizionale?

Posso dire che nei vigneti della nostra azienda si pratica un’alternanza di diverse tecniche, utilizzate anche per produzioni in bio. Ad esempio sovesci, minime lavorazioni, compost e concimi organici al fine di ripristinare e salvaguardare la sostanza organica dei suoli. Oggi moltissima attenzione è rivolta alle condizioni di salute del suolo e alla biodiversità.

Con l’arrivo delle senza semi come è cambiato il vigneto, dal punto di vista strutturale?

Le nuove varietà, a seconda delle necessità, hanno bisogno talvolta di un sesto più largo o di un sistema di allevamento differente. Nello specifico nella mia azienda abbiamo impianti più larghi, una maggiore distanza dal telo alla vegetazione, una migliore ricezione della luce.

Progetti per il futuro?

Al momento posso dire che non bisognerà mai smettere di innovare e sperimentare per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni di uva da tavola in particolare e agricole in generale.

I produttori oggi sono chiamati da un lato a rispondere alle richieste del mercato e dall’altro a proporre al consumatore delle garanzie, per far sì che il nostro prodotto si distingua dalla massa e venga adeguatamente valorizzato.

Ovviamente si tratta di un percorso che è impossibile condurre da soli: per questo motivo partecipo attivamente a molte iniziative, volte a valorizzare il prodotto da molteplici punti di vista, come ad esempio le numerose attività svolte in APEO e come membro del Consiglio Direttivo del Consorzio I.G.P. Uva di Puglia e della CUT (Commissione italiana dell’Uva da Tavola). Progetti di condivisione, ai quali auspico e invito alla partecipazione attiva anche amici e colleghi. Negli ultimi anni si parla molto di costi di produzione che aumentano, della gestione che si complica e delle nuove varietà sempre più numerose che non fanno che destabilizzare noi produttori. Dobbiamo ricordare a noi stessi che nulla è impossibile da affrontare, soprattutto se lo si fa uniti, favorendo lo scambio di idee e soluzioni, per permettere all’intero settore di recuperare competitività.

Autore: Teresa Manuzzi
Copyright: uvadatavola.com

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