Isabella Palumbo referente vendite di uva da tavola per il gruppo CJO – Salvi cerca di inquadrare la complessa campagna 2022. L’obiettivo è quello di comprendere i problemi principali per permettere a produttori, esportatori e GDO di aggiustare il tiro in vista della stagione 2023, che è dietro l’angolo.
Isabella cosa è accaduto al mercato dell’uva da tavola durante la scorsa stagione?
Meno consumi
Risulta indubbio che c’è stata una notevole diminuzione dei consumi, soprattutto nei mesi di luglio e agosto. Per i produttori italiani è stato come tornare indietro nel tempo. A Rutigliano (BA), in passato, si era soliti dire che la campagna dell’uva cominciava dopo la festa del “Crocifisso” ovvero dopo il 14 settembre. Ovviamente, si faceva riferimento unicamente all’uva Italia, perché era la sola varietà prodotta un tempo. Nel 2022 nei mesi di luglio e agosto le vendite sono state stagnanti e abbiamo sofferto.
Abbiamo avuto meno ordini dalla Germania, uno dei nostri principali Paesi importatori.
La campagna egiziana copre una finestra sempre più ampia perché grazie a nuove varietà tardive è riuscita a coprire le ordinazioni fino ad agosto. Il mercato inglese, a differenza di altri Paesi UE, non è legato alla provenienza; elemento importante per Germania, Austria e Belgio. Questi Paesi aspettano la merce italiana. Il Regno Unito, invece, importa frutta che rispetti i loro standard qualitativi, poco importa che l’uva sia italiana, spagnola o egiziana.
Dobbiamo sempre tenere presente, inoltre, che di anno in anno diminuiscono i consumi di uva con seme. Questo vuol dire che chi produce varietà con seme ha patito doppiamente il problema.
Qualità e clima
Altro tasto dolente è legato alla qualità delle prime spedizioni. Non è raro, purtroppo, che a inizio stagione inviamo grappoli con °Brix al di sotto dei 13-14 ( il minimo per le norme di commercializzazione per le uve con seme). Ciò fa sì che il consumatore non ritorni nel punto vendita per riacquistare il prodotto. Questo fattore fa slittare di 15 giorni l’ordine successivo. Bisognerebbe essere un po’ più rigidi e programmare meglio, monitorando i campi all’inizio della stagione.
Uve con il seme sempre più in sofferenza, qual è il tuo punto di vista a riguardo?
A mio avviso l’uva con il seme non sparirà dal mercato, ma diventerà un prodotto di nicchia, come la Pizzutella. Dobbiamo sempre tenere a mente la massima che recita: “Non si vende ciò che si produce, ma si produce ciò che si vende”. I consumi di uva Italia sono indubbiamente diminuiti in favore delle senza semi, preferite dal consumatore. I produttori che hanno capito queste nuove esigenze di mercato hanno cominciato il rinnovo varietale anche agganciandosi a strutture commerciali. Il consumatore non richiede più uva con seme, perché continuare a coltivarne così tanti ettari? I costi sempre più elevati di energia, gasolio, manodopera e irrigazione dovrebbero farci ripensare alla gestione delle nostra aziende agricole. Dobbiamo coltivare sulla base delle richieste di mercato e sapendo già in partenza a chi vendere.
A proposito di accaparramento, è vero che durante la scorsa stagione, anche questo modo di fare è cambiato.
Questo fenomeno si è verificato perché è complesso trovare manodopera. Inoltre l’incertezza delle condizioni atmosferiche del 2022 ha avuto la sua influenza sulla questione. Ci sono state grandinate che hanno devastato le strutture, siccità e troppo caldo.
Torniamo a noi e alla stagione commerciale dell’uva, cosa è successo nei mesi di settembre e ottobre ?
Ad ottobre abbiamo registrato un incremento di richiesta di uva bianca senza semi, perché la Spagna ha avuto problemi di qualità. Da fine settembre a inizio novembre l’Europa chiedeva uva. Dopo i primi ritardi delle navi (ovvero nei primi giorni di novembre) l’uva d’oltremare ha cominciato a giungere in Europa con regolarità e ciò ha fatto sì che l’uva italiana venisse messa da parte, pioggia e nebbie avevano compromesso gran parte del prodotto. I fattori climatici hanno inciso sulla qualità e sulla shelf life del prodotto.
C’è chi diceva che quest’anno i consumi bassi hanno coinvolto anche le uve senza semi.
Ci sono state varietà senza semi che hanno sofferto molto sul mercato. Altre varietà, invece, hanno retto nel 2022 perché – di fatto – sono più buone e resistenti in post raccolta. Confrontando, per esempio, Autumncrisp con Regal la differenza “salta” al palato. Questo spiega perché la GDO preferisce le uve brevettate. Si tratta di cultivar con caratteristiche studiate per il mercato e si possono reperire sul mercato internazionale 365 giorni l’anno. Inoltre per la GDO scarti e invenduti sullo scaffale rappresentano un costo e vorrebbe ridurli.
Quale sarà dunque, a tuo avviso, il destino delle varietà italiane autoctone?
L’uva Italia perde di anno in anno consensi ma gode comunque di apprezzamento nei Paesi dell’Est e in Germania, dove c’è una nicchia di consumatori. Le nostre superfici coltivate ad uva Italia sono decisamente troppe rispetto alla domanda, dovremmo ridurre le superfici. Lo Stato dovrebbe incentivare l’estirpazione, come accaduto per le uve da vino in passato. Il passo successivo dovrà essere ottenere un prodotto di qualità eccelsa. Raccogliere uva Italia di altissima qualità ci permetterebbe di aumentare il valore, realizzando dei protocolli e dei marchi territoriali ben precisi.
Quali sono i tuoi “consigli per il futuro” per affrontare al meglio l’imminente stagione 2023?
Industrializzare la produzione
Innanzitutto potrebbe esserci d’aiuto “spiare” come lavorano i nuovi Paesi produttori, essi intendono l’uva da tavola come un’industria. Sanno cosa e quanto coltivare grazie ad una produzione standardizzata e a programmi ben definiti. Raccolgono grappoli da 500 gr che vengono immediatamente riposti nelle carry bag. Ciò velocizza le operazioni di raccolta e confezionamento.
Non più prodotto alla rinfusa
Anche la GDO dovrà partecipare al rinnovamento, ripensando magari al modo in cui presenta il prodotto al consumatore; non è possibile che l’uva sia ancora venduta alla rinfusa. I cestini invogliano di più gli acquisti.
Ognuno il suo ruolo
Ognuno dovrà fare il suo, è indubbio che stiamo vivendo un periodo di crisi, ma questo dovrà ancora di più spingere produttori e commercianti a collaborare.
Produrre meno e meglio
Soffriamo la concorrenza egiziana, spagnola e greca nei mesi di luglio e agosto; è un dato di fatto e non potremo mai competere con i loro prezzi. Allo stesso tempo la riduzione dei consumi è un dato oggettivo con cui avremo a che fare anche durante la prossima campagna. Come far fronte a queste situazioni? A mio avviso – per quei due mesi in particolare (luglio e agosto) – dovremmo diminuire la quantità ed elevare la qualità delle produzioni Made in Italy. Venderemo meno, ma il prezzo sarà giusto. Il consumatore ricompra con piacere un prodotto di qualità. Uve con caratteristiche ben precise hanno ancora una richiesta.
Q U A L I T À
Il mercato sta soffrendo per una riduzione dei consumi e declino delle vendite effettuate dai mercati generali. L’Italia non può permettersi, però, di concentrare in un solo mese e mezzo un’intera campagna. Al momento la qualità rappresenta l’unica leva che noi italiani abbiamo per differenziarci.
Autrice: Teresa Manuzzi
©uvadatavola.com