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Attualità

Uva da tavola a Residuo Zero: la sfida è aperta

da Redazione uvadatavola.com 16 Marzo 2021
16 Marzo 2021
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Angelo Gasparre, agronomo di campo per Food Agri Service Srl ed esperto di certificazioni, racconta a “Uva da Tavola Magazine” la sua sperimentazione: produrre uva da tavola a Residuo Zero. Sfida ardua, ma non impossibile, che innalza ancora di più l’asticella della qualità del prodotto.

Il Residuo Zero è l’ultima frontiera delle certificazioni. L’idea che sottende la certificazione è quella di creare una nuova nicchia di mercato con un marchio capace di valorizzare maggiormente il prodotto. La nuova certificazione, infatti, consente di utilizzare alcune sostanze chimiche solo fino a una determinata fase fenologica.

L’intento è quello di ottenere un prodotto con residui al di sotto della rilevabilità attraverso il metodo sostenibile della produzione integrata. A tal proposito, ad oggi, sono diverse le esperienze che hanno avuto successo soprattutto per la GDO in Italia: la filiera delle patate, delle fragole, fagiolini, albicocche, carciofi.

L’agronomo di campo Angelo Gasparre ha però cercato di applicare questo concetto anche alla conduzione di due ettari di vigneto a uva da tavola – posto in agro di Noicattaro (Ba) – della varietà Italia. La prova è stata svolta nel corso della stagione 2020 all’interno dell’Azienda Agricola Supreme di Didonna Michele e Figli.

Lo scorso anno hai provato a ottenere uva da tavola a Residuo Zero: raccontaci la tua esperienza.

Io per primo, all’inizio, ero molto scettico. Conosciamo bene l’uva da tavola e tutte le difficoltà legate alla conduzione della coltura già in integrato. La protezione in campo è sempre più difficile; inoltre, abbiamo sempre meno prodotti a disposizione e la GDO ha richieste sempre più stringenti. Per un senso di responsabilità, però, mi sono detto: bisogna provare. Per me è stata una sfida.

Ovviamente prima di intraprendere questo percorso è necessario conoscere a fondo tutte le molecole, il loro comportamento e la loro residualità. Oltre al sapore della sfida, ho intravisto nel Residuo Zero la naturale evoluzione del sistema di produzione integrata al quale lavoriamo da lungo tempo. Questa tipologia di approccio è possibile solo se dapprima si comprende quali sono le sostanze che potrebbero residuare e quali invece no, se utilizzate fino a un certo momento.

Ciò permette di assicurare la sanità della pianta quasi fino a inizio allegagione, fase molto delicata. Dopo di che ci si deve orientare solo con sostanze naturali. Avere un prodotto sano fino a post-fioritura specialmente per Frankliniella, peronospora, oidio e altro, rende più gestibile la linea di difesa.

Un altro elemento che mi ha spinto a sperimentare questa nuova conduzione è stato il fatto che, la stessa dicitura Residuo Zero, certificata e con marchio riconoscibile – potrebbe diventare uno “strumento” capace di arrivare più facilmente al consumatore e quindi comunicare già al primo sguardo le qualità del prodotto. Il Residuo Zero ha tutte le prerogative divenire una nuova strada sostenibile, per l’operatore e l’ambiente, e sicura per il consumatore. A mio avviso con l’esperienza riusciremo poi ad affinare al meglio la tecnica di conduzione.

Immagino che in campo sia difficoltoso giocare su più tavoli e muovere sempre le leve giuste; come hai lavorato concretamente?

Innanzitutto la prova è stata realizzata a Noicattaro (Ba), su di una superficie di due ettari di vigneto della cv Italia dell’Azienda Agricola Supreme di Didonna Michele e Figli. Per prima cosa ho selezionato e isolato quelle molecole che si sarebbero degradate e che quindi avrei potuto utilizzare fino a prima dell’allegagione. Logicamente, prerequisito per questo tipo di conduzione è l’utilizzo della confusione sessuale per lobesia e cocciniglia.

Inoltre anche la strategia nutrizionale messa in atto è stata programmata nei dettagli. Si comprende facilmente che è impensabile l’utilizzo di forzature e di ormoni di sintesi per questo tipo di conduzione. La gestione sostenibile del terreno e dell’acqua hanno ricevuto molta attenzione. Il prodotto – in fase di crescita e quindi in piena allegagione/inizio invaiatura – si presentava molto diverso se confrontato con quello di altri appezzamenti. Dalla fase di allegagione in poi ho utilizzato Bacillus pumilus, Bacillus amyloliquefaciens, chitosano, bicarbonato di potassio. Quest’ultima sostanza è stata in grado di generare ottimi risultati nella difesa della vite dall’oidio.

Fortunatamente non ci sono stati forti attacchi da parte dei tripidi, a mio avviso perché con questa conduzione abbiamo rispolverato “vecchie tecniche” come i trattamenti a secco. Più precisamente, in campo abbiamo adoperato zolfo giallo con zeolite, sostanze che hanno avuto effetti “collaterali” anche sui tripidi. La botrite, invece, è stata gestita attraverso terpeni e Bacillus subtilis. In un anno in cui non sono mancate diverse problematiche fitosanitarie per le uve condotte in integrato, questa esperienza ci ha mostrato un risultato eccellente dal punto di vista qualitativo e di sanità del prodotto.

A mio avviso i risultati ci hanno ricompensato, perché sono stati sfoderati e utilizzati in maniera sinergica tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione. La verità è che abbiamo potuto davvero alternare le sostanze. A differenza dell’integrato, dove per garantire i cinque residui si fatica ad alternare i principi attivi.

Indubbiamente è sempre possibile fare ricorso a sostanze naturali, quindi utilizzare metodi naturali mentre si ha una linea di difesa altamente impostata sulla chimica non darà risultati. Il prodotto raccolto, in conclusione, è stato un prodotto “diverso”, raccolto lentamente per più di un mese. L’uva ha restituito un colore giallo intenso – perché non trattata con ormoni – e ha raggiunto mercato in particolare. Cosa incredibile è che quest’uva – nonostante fosse stata seguita la linea del Residuo Zero – è riuscita a resistere per più di 30 giorni sulla pianta senza alcun tipo di trattamento.

Questa è stata la prima esperienza di Residuo Zero per uva da tavola. Quali problemi avete riscontrato?

Sì, è stata la prima esperienza e i risultati sono stati davvero ottimi. Il problema che abbiamo avuto, e che purtroppo ci ha impedito di certificare il prodotto come “uva da tavola a Residuo Zero”, è stata la presenza nell’analisi residuale finale – che non presentava nessuna sostanza attiva – di fosetil d’alluminio. Molecola che residua molto e che non era nelle linee di difesa dell’annata produttiva in questione.

 

Possiamo quindi immaginare che in futuro, per chi volesse intraprendere la strada del residuo zero, sarà obbligatorio, come accade per il Bio, un periodo di “conversione”?

Certo o almeno un periodo di “bonifica” da questa sostanza, che è una sostanza tra le più utilizzate. Sicuramente talvolta ci sono anche dei falsi positivi perché le residualità possono provenire anche da alcuni concimi. Il grosso punto interrogativo, nonché la grande delusione, è stato proprio questo. Io mi auguro che il fosetil degradi del tutto entro un paio di anni. Le basi ci sono, quindi attendiamo con ansia la prima uva a Residuo Zero. La sfida è aperta e durante questa nuova annata produttiva realizzeremo delle prove in appezzamenti privi di fosetil o prodotti simili. La prima prova ci lascia presagire un buon esito.

Il concetto importante che vorrei che passasse da questa nostra chiacchierata è che ovviamente non immagino e non desidero che, in futuro, il Residuo Zero sostituisca l’integrato. Così come oggi ci sono delle quote in Bio, sarà possibile acquisire nuove quote di mercato grazie alla certificazione Residuo Zero. Indubbiamente si tratta di una conduzione complessa e io per primo non mi lancerei in questa esperienza coinvolgendo tutta la produzione, ma partirei con alcuni appezzamenti. All’interno delle aziende deve cominciare a farsi largo l’idea che c’è una nuova possibilità ed è anche riconosciuta con un brand.

L’integrato resta la soluzione scientificamente più importante, ma di anno in anno presenta sempre più problemi: non riusciamo a comunicare il concetto, le restrizioni sono sempre maggiori e per adempiere alle richieste della GDO si fatica ad alternare le sostanze. Certo è una decisione rischiosa, ma mi aspetto che le aziende più grandi possano fare il primo passo. Ottenere la prima uva da tavola italiana certificata Residuo Zero ci consentirà di capire come risponde la GDO e il mercato e questo stimolerà sempre più aziende agricole a produrre uva con questo marchio.

Grazie mille, Angelo, per aver condiviso con noi la tua esperienza, tienici aggiornati circa questa nuova annata all’insegna della ricerca del residuo zero su uva da tavola.

 

 

Autore: Teresa Manuzzi


Foto: Prima foto con Angelo Gasparre scattata da Teresa Manuzzi
Si ringrazia l’Azienda Agricola Supreme di Didonna Michele e Figli per le foto poste all’interno dell’articolo.


Copyright: uvadatavola.com

 
 
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