Uva da tavola siciliana, il comparto fa squadra

A favorire occasioni di aggregazione e nuove prospettive l'attività dell’Associazione Uva da tavola Siciliana che, nata tre anni fa, è oggi un punto di riferimento per il comparto

da uvadatavoladmin
VINCENZO DI PIAZZA - Presidente Associazione Uva da tavola Siciliana

Era il giugno 2021, quando in Sicilia iniziava a prendere forma l’Associazione Uva da tavola Siciliana. L’obiettivo? Favorire una collaborazione attiva all’interno del comparto viticolo siciliano al fine di condividere problematiche, opportunità e strategie. A distanza di tre anni, analizziamo sviluppi e risultati ottenuti attraverso le parole del Presidente Vincenzo Di Piazza.

La storia dell’Associazione Uva da tavola Siciliana inizia tre anni fa in Sicilia dal desiderio di produttori e tecnici di costituire una realtà sul territorio che potesse occuparsi di viticoltura da tavola.

Dalle problematiche alle esigenze commerciali, dalle avversità climatiche o agronomiche alle possibili strategie da adottare: l’associazione ha così preso forma e oggi è pronta a scendere in campo, offrendo il suo contributo a livello regionale e prendendo parte al comitato organizzatore di LUV, la prima fiera di filiera dell’uva da tavola in Europa in programma il prossimo ottobre a Bari.
Ne abbiamo parlato con Vincenzo Di Piazza, agronomo e presidente dell’Associazione Uva da tavola Siciliana.

Come nasce l’Associazione Uva da tavola Siciliana?

Prima di rispondere alla domanda, è doveroso fare una breve premessa. In Sicilia è possibile individuare due poli produttivi di uva da tavola, entrambi caratterizzati dal marchio di identificazione geografica protetta (IGP): l’area cosiddetta di Mazzarrone, che comprende i comuni delle province di Catania e Ragusa, e l’area di Canicattì che coinvolge le province di Agrigento e Caltanissetta. Dal punto di vista della produzione di uva da tavola, queste realtà sono ben distinte: se la zona di Mazzarrone è più precoce in termini di epoca di maturazione, con varietà che vengono raccolte già a metà maggio, quella di Canicattì – fatta eccezione per la fascia costiera dell’agrigentino e del nisseno – è nota per la produzione tardiva, al punto che in passato le operazioni di raccolta venivano effettuate anche verso fine dicembre/inizio gennaio.
Dunque, due realtà ben distinte e che, tuttavia, condividono punti di contatto. Da qui l’idea di avviare qualcosa che favorisse una collaborazione all’interno del comparto viticolo siciliano. L’idea di un’associazione di operatori di settore nasce così, con l’obiettivo di provare a creare un soggetto che potesse parlare e occuparsi di uva da tavola, al di là di una visione territoriale e di ogni campanilismo. Si è quindi chiesto a diversi produttori e operatori commerciali di avviare questa associazione, con i due comuni di Canicattì e Mazzarrone soci onorari.
Dalla sua costituzione, l’associazione è diventata un riferimento per il comparto, dove incontrarsi, discutere e confrontarsi su problematiche riscontrate o necessità condivise. Per esempio, un anno fa abbiamo organizzato un interessante convegno, molto partecipato, presso il teatro sociale di Canicattì dove produttori, tecnici e commercianti si sono ritrovati per discutere i problemi del comparto, anche a seguito di una campagna come quella 2022 ricordata tra le più disastrose degli ultimi cinque anni.

Associazione Uva da tavola Siciliana

L’associazione è quindi diventata una possibilità di risposta a quelle problematiche che stanno interessando il comparto e che – sempre più grandi e complesse da gestire in autonomia – possono essere meglio affrontate se riuniti in una realtà come questa.

Esattamente. La necessità di fare squadra è sempre più impellente, specialmente oggi, nel 2024, con le problematiche del mercato, la globalizzazione, il clima e soprattutto una serie di cambiamenti strutturali all’interno del comparto viticolo. In particolare, penso alla riduzione della superficie coltivata a uva da tavola che, rispetto al passato in cui arrivava a ricoprire 70 mila ettari, oggi si attesta a 46 mila, e all’evoluzione del panorama varietale con l’introduzione sempre più rapida di nuove varietà apirene. Penso sia ormai evidente che il trend commerciale e i gusti del consumatore siano cambiati, rendendo quasi inevitabile la scelta di produrre varietà senza semi. D’altra parte, ritengo che in alcuni territori – come l’area del canicattinese, per fare un esempio – dove esiste una tradizione consolidata con varietà come l’Italia, pensare a una sostituzione non sia la scelta migliore. A mio parere, quello che andrebbe fatto, è invece un confronto, un’analisi e – se vogliamo – anche una pianificazione coerente per individuare una strategia condivisa che tenga conto di tutta una serie di informazioni tecniche, dati scientifici e aspetti legati alla territorialità e alla produttività. In questo senso, per esempio, fondamentale è l’iniziativa portata avanti dalla CUT e dal CSO di creare un catasto viticolo dell’uva da tavola, poiché – proprio partendo dai dati – si potrebbero aiutare i produttori a fare delle scelte più consapevoli e mirate e, al contempo, dare valore a quello che hanno già. E in questo si rende decisiva una componente che spesso passa in secondo piano che è quella culturale, fatta di capacità imprenditoriale e di valorizzazione del prodotto: in una nuova visione, dobbiamo cioè provare a garantire quel valore aggiunto che permetta di distinguere le produzioni viticole italiane, caratterizzandole e rendendole ancora più identificative di un territorio, una storia e una tradizione.

Per poterlo fare, però, sarà indispensabile presentarsi compatti a livello di comparto, oltre che di territori.

Fare rete è una prerogativa imprescindibile e dobbiamo accogliere con entusiasmo tutte le iniziative che si stanno portando avanti: penso alla CUT, ma anche al lavoro instancabile delle vostre testate o a LUV, la prima fiera di filiera di uva da tavola in Europa. Non a caso l’associazione sin da subito è entrata a far parte del comitato organizzatore della fiera: è stato bello vedere quanta apertura e quanto interesse c’è rispetto al passato. La strada che si sta cercando di tracciare poi si sposa con quella pensata dalla nostra associazione, dove l’obiettivo è scendere in campo insieme, come squadra, al fine di portare il comparto ad avere una visione nuova, capace di andare oltre sterili campanilismi, e a presentarsi sul mercato in maniera più vincente.
La posta in gioco è molto alta. Specialmente se si considera un aspetto come l’aleatorietà del risultato economico. Ma noi, come comparto dell’uva da tavola in Sicilia, dobbiamo ridurre il margine di rischio il più possibile: i costi di produzione, le difficoltà commerciali, la concorrenza sono dinamiche talmente complesse che divisi non si possono più affrontare. Senza tralasciare il cambiamento climatico che impone l’urgenza di collaborare, confrontarsi e individuare strategie comuni.
L’associazionismo può fare la differenza, ma è bene darsi da fare. Le premesse non mancano, come pure la qualità delle produzioni viticole italiane. Non resta che unirsi e individuare la via migliore per preservare e far crescere un comparto simbolo dell’agricoltura italiana come la viticoltura da tavola.

 

Ilaria De Marinis
© uvadatavola.com

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