Potatura in vigneto: come farla?

Con Andrea Calzolaio, imprenditore e agronomo, approfondiamo le operazioni di potatura dalla tecnica alle fasi successive, come la gestione dei residui.

da Silvia Seripierri

Con Andrea Calzolaio, imprenditore e agronomo presso aziende di uva da tavola delle zone di Taranto e Grottaglie (Ta), approfondiamo i fondamentali della potatura, con una visione completa sulle caratteristiche della tecnica e sulle fasi successive alla potatura, come la gestione dei residui.

Andrea, sei un appassionato di potatura, dunque quali ritieni siano gli obiettivi di questa tecnica?

“La potatura della vite è una pratica colturale molto importante che ha gli obiettivi di:

  • definire la forma di allevamento della pianta;
  • contenere lo sviluppo della porzione permanente nel tempo;
  • regolare l’equilibrio tra attività vegetativa e riproduttiva.

Il mantenimento della struttura permanente della pianta, ovvero tronco e branche primarie, dipende dal sistema di allevamento e dal sesto di impianto adottati con l’obiettivo di utilizzare in modo ottimale lo spazio disponibile e favorire uno sviluppo omogeneo delle piante, evitando squilibri a favore del vigore o della fertilità.
Le operazioni di potatura, mirate a equilibrare l’attività vegetativa e riproduttiva della pianta, garantiscono un’efficace circolazione del flusso xilematico adibito al trasporto della linfa grezza dalle radici alle foglie. L’ascesa della linfa grezza avviene grazie all’evapotraspirazione, che si verifica a livello delle foglie e che crea una “pressione negativa” favorevole alla risalita della linfa dalle zone più basse della pianta fino alle foglie.

potatura

Perché il flusso linfatico sia uniforme è di fondamentale importanza considerare la distribuzione verticale delle branche primarie.

Le branche, infatti, non giacciono tutte sullo stesso piano, ma si susseguono dal basso verso l’alto, disposte sui lati opposti del tronco. Considerando un modello semplificato di pianta con solo tre branche, infatti, è possibile distinguere un primo, un secondo e un terzo piano (branca secondaria derivante da quella del secondo piano). Affinché questo modello di pianta sia equilibrato, il carico gemmario, definito dal numero di capi a frutto e dalla loro lunghezza, deve essere suddiviso in modo proporzionale tra i tre piani, lasciando cioè il 25% delle gemme sul primo piano, il 25% sul secondo piano e il restante 50% sul terzo piano.
Così facendo è possibile assicurare un adeguato rifornimento di linfa nella parte più alta della pianta, perché alla ripresa vegetativa il maggior numero di germogli del terzo piano produce un tasso di traspirazione più alto. Il maggiore tasso di traspirazione del terzo piano richiama una quantità di flusso xilematico maggiore rispetto a quella degli altri due piani, che vengono così interessati fisicamente dal passaggio di linfa ascendente e la assorbono.
Ricordando che il flusso xilematico è deputato al trasporto dell’acqua e dei soluti (elementi nutritivi) in essa disciolti, una corretta gestione di questo flusso può garantire un’equilibrata distribuzione idrica e nutrizionale nella pianta, il che è a sua volta utile per la gestione di alcune fisiopatie della vite come il disseccamento del rachide”.

Qual è il periodo migliore?

“Il periodo più indicato per le operazioni di potatura è il riposo vegetativo. Una potatura troppo precoce, infatti, può determinare uno scarso accumulo delle sostanze di riserva e causare quindi un leggero deperimento della pianta negli anni. È facile poi che la potatura precoce induca il potatore a commettere scelte sbagliate nel momento di selezione dei capi a frutto, adibiti alla produzione dell’anno successivo, scegliendo quelli non perfettamente lignificati. La potatura tardiva, a sua volta, non presenta particolari problemi per la pianta, ma può indurre un germogliamento ritardato, che non necessariamente è un aspetto negativo soprattutto per quelle varietà precoci nelle zone soggette a gelature primaverili”.

Secondo te quali elementi differenziano una buona da una cattiva potatura?

“Mentre la potatura è la pratica colturale che consente di mantenere nel tempo l’equilibrio tra attività vegetativa e riproduttiva, la buona potatura è quella che arreca il minor numero possibile di tagli grossi. Quanto più è grosso il taglio, maggiore è la superficie di ingresso per agenti patogeni responsabili di deperimento delle piante, come mal dell’esca ed eutipiosi. Effettuare il minor numero possibile di tagli e di piccole dimensioni, quindi, è possibile, se si pratica la potatura tutti gli anni con una certa scrupolosità e ricordandosi che recuperare gli errori commessi è un’operazione molto difficile, che richiede almeno due anni per ristabilire le condizioni ottimali”.

Come si dovrebbe effettuare il taglio?

“La modalità con cui effettuare correttamente il taglio prevede l’uso delle forbici in orizzontale e nella parte superiore delle branche, affinché il taglio non sia interessato dal passaggio di linfa. I tagli effettuati in verticale (tagli frontali), infatti, causano ferite nella porzione inferiore delle branche e generano una inutile dispersione di linfa”.

Abbiamo visto che la potatura dovrebbe essere effettuata in funzione del vigore e della fertilità della pianta. Come gestire questi due fattori?

“Considerando l’ampio panorama varietale e la sempre maggiore diffusione di cultivar apirene, è facile capire che ogni varietà è diversa e ha bisogno di una specifica potatura. Nel tentativo di semplificare l’argomento, è possibile distinguere le varietà in base al loro vigore e fertilità. In funzione del vigore si distinguono piante con vigore modesto e piante con vigore elevato, mentre in funzione della fertilità si distinguono quelle più fertili e quelle meno fertili. Nonostante tale distinzione, però, possiamo affermare che sia le nuove che le meno nuove varietà mostrano buoni valori di fertilità, talvolta anche eccessiva, con valori compresi tra 1 grappolo per germoglio uvifero e 2-3 grappoli per germoglio.

Nello specifico le varietà più fertili richiedono potature più semplici e che meno capi a frutto siano lasciati con un totale di 25-40 gemme per pianta; viceversa per le varietà meno fertili. Discorso a parte è quello per il vigore. Per le cultivar con vigore elevato, che pur presentano una buona fertilità, bisogna prevedere potature più ricche, lasciando 70-90 gemme per pianta. In questo caso l’obiettivo è di distribuire e smorzare la vigoria della pianta evitando fenomeni spiacevoli, come la colatura in fioritura. Sicuramente la potatura da sola non garantisce l’eliminazione del problema, ma è una delle prime cose da prendere in considerazione quando ci troviamo di fronte a questo tipo di varietà, come Sweet Celebration e Melissa”.

Quali accortezze consiglia di adoperare per evitare la trasmissione di malattie durante la potatura?

“La prima accortezza da adoperare è sicuramente quella di segnalare all’interno del vigneto le piante con sintomi di malattie del legno e di malattie virali (come GFLV “Grapevine Fanleaf Virus”). Per fare ciò è necessario operare durante la fase vegetativa delle piante, perché durante il riposo vegetativo è molto difficile, se non impossibile, distinguere gli individui con anomalie.
Qualora si decida di eliminare le piante sintomatiche, è bene farlo durante il riposo vegetativo, mentre se si decide di non estirpare, è indispensabile fare attenzione alla potatura avendo cura di disinfettare le forbici con ipoclorito di sodio prima di passare alla pianta successiva”.

Come gestire i residui di potatura?

“Successivamente alla potatura, è bene occuparsi della gestione dei residui di potatura. In una condizione ottimale i residui devono essere allontanati dal vigneto per evitare la propagazione di agenti patogeni. Purtroppo, nella pratica, tale operazione è economicamente insostenibile e i più preferiscono trinciare in loco i residui apportando così una significativa quantità di sostanza organica. Allo stesso tempo, però, vengono lasciate in vigneto anche le spore dei vari patogeni fungini”.

Ci sono delle considerazioni personali che desidera rilasciare a riguardo?

“Per concludere mi sento di dire che la mancanza di manodopera, soprattutto di quella specializzata, sta incidendo negativamente sulla qualità delle operazioni di potatura nei vigneti pugliesi. L’adozione di sistemi di potatura, che richiedono manodopera non necessariamente specializzata, come il cordone speronato, rappresenta oggi una valida alternativa sempre a patto che la varietà ben si presti a tale tecnica, ovvero se la varietà è dotata di una buona fertilità per le gemme basali.
Ad ogni modo ritengo sia un vero peccato perdere le tecniche di base della “scuola” di potatura pugliese, che oggi non sono più tramandate di generazione in generazione, così come ritengo che i metodi “industrializzati” di oggi rappresentino, più che un’innovazione, un adeguamento alle condizioni socio-economiche del nostro tempo”.

 

Autrice: Silvia Seripierri

©uvadatavola.com

Articolo pubblicato sul n°5 – 2022 del bimestrale “Uva da Tavola – magazine”

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