Viticoltura bio: il ruolo dei microrganismi nel suolo

Un suolo vivo può contribuire a difendere la salubrità delle piante e della produzione, ancor di più nella viticoltura bio

da uvadatavoladmin

Nella gestione di un vigneto a uva da tavola, soprattutto se condotta in biologico, è essenziale andare oltre l’osservazione superficiale della chioma e degli organi epigei delle viti. La salute e la produttività delle colture dipendono, infatti, in modo significativo anche da una gestione accurata del suolo e quindi delle radici. Questi organi svolgono un ruolo cruciale nell’assorbimento di nutrienti, nella resistenza alle malattie e nella regolazione idrica. Pertanto, una conoscenza approfondita delle condizioni radicali e della relativa rizosfera costituisce un pilastro fondamentale in viticoltura bio al fine di agire in modo preventivo rispetto alla manifestazione dei sintomi sugli organi epigei, destinati alla produzione.

Se si riesce a lavorare su un suolo sano, equilibrato e ricco di microrganismi sarà possibile contare anche sul supporto del suolo stesso per ridurre la pressione delle infezioni di partenza, specialmente nel caso di una gestione del vigneto in biologico.

Per produrre in bio è infatti essenziale far affondare le radici del proprio vigneto in un suolo vivo, cioè ricco di microrganismi. A tal fine è importante ottenere dei sistemi in equilibrio e quindi facilmente controllabili, sia da un punto di vista nutrizionale che fitosanitario; questo è possibile solo attraverso un lavoro pluriennale. Per tale ragione un’azienda agricola che ha avviato un processo di conversione al biologico, dovrà attendere almeno tre cicli colturali per potersi considerare a tutti gli effetti biologica.

Durante questo periodo, particolare attenzione deve essere rivolta alla gestione del suolo in viticoltura che deve mirare ad aumentare il contenuto di sostanza organica. A tal fine, risulta fondamentale intervenire con apporti di compost, stallatico, letame maturo, oltre che con la pratica colturale dell’inerbimento. Un aiuto per aumentare la percentuale di sostanza organica nel suolo è poi dato dalla stessa fauna terricola presente all’interno del terreno, come i piccoli artropodi, i collemboli e i nematodi. All’interno del suolo è bene inoltre avere funghi e batteri “buoni”, che da un lato forniscono alle piante nutrienti e sostanze utili, e dall’altro trasmettono input alle viti che possono aiutarle a difendersi con più facilità dalle malattie (attraverso l’attivazione della SAR – Resistenza Sistemica Acquisita).

Viticoltura bio: aumentare la sostanza organica nel terreno non basta. Bisogna agire (o non agire) per preservarla.

Se si vuole lavorare per preservare il suolo, è opportuno ridurre al minimo le arature: attraverso il rovesciamento della fetta di terreno, infatti, gli strati inferiori di terreno vengono esposti all’aria determinando l’ossidazione della sostanza organica e la morte dei microrganismi presenti nel terreno. Si tratta di operazioni colturali che, congiuntamente al compattamento determinato dal passaggio dei mezzi agricoli in vigneto, oltre a deturpare gli equilibri appena descritti, comportano anche la perdita della struttura originale del suolo. Nel caso dell’aratura, inoltre, un altro aspetto da considerare, soprattutto nella gestione biologica, è quello relativo all’umidità del suolo. Per prevenire la proliferazione di funghi patogeni e insetti è dunque fondamentale tenere sotto controllo questo parametro, mettendo in atto una serie di accorgimenti tecnici. Tra questi, allargare i sesti d’impianto, effettuare defogliazioni per agevolare l’arieggiamento e l’ingresso della luce (i raggi UV contribuiscono a ridurre il numero dei patogeni presenti all’interno del vigneto) e inerbire la zona interfilare (non arare). Inoltre, in viticoltura occorre disporre coperture attraverso l’utilizzo di teli, la cui assenza comporterebbe la proliferazione di numerose malattie, come la peronospora.

Viticoltura

Un suolo “vivo” è dunque capace di difendere il vigneto. Ma come si può quantificare la vita del suolo?

Per capire se un suolo è dotato di una consistente popolazione di microrganismi, un indicatore a cui possiamo ricorrere in modo empirico è l’odore. Se, infatti, il terreno del vigneto in esame odora come quello di un bosco allora al suo interno ospita vita.

Accanto a questo, esistono tuttavia metodi più razionali per quantificare la presenza di microrganismi nel suolo. Le analisi sono di tipo quantitativo e riguardano nello specifico la quantità di sostanza organica (più precisamente di carbonio organico) presente nel terreno. Esistono anche altri indicatori che aiutano a stimare il quantitativo di microrganismi presenti nel suolo, come per esempio la respirazione del suolo. Questa viene misurata attraverso la concentrazione di anidride carbonica presente nel terreno che, a sua volta, è direttamente correlata alla quantità di microrganismi presenti, per cui: tanto più elevata è la biomassa microbica, tanto più alta sarà la quantità di CO₂ rilevata.

Uno degli errori più comuni da evitare è quello di immettere nel terreno microrganismi che non fanno parte di quell’habitat. Questo tipo di azione, infatti, si rivelerebbe nullo sia in termini di arricchimento del suolo, che per il controllo dei patogeni. Al fine di trarre tutti i vantaggi citati e ottenere un terreno equilibrato, è dunque fondamentale porre attenzione anche sulla scelta dei microrganismi da immettere nel suolo e sulle relazioni che questi possono poi sviluppare con i microrganismi già presenti.

 

Donato Liberto
©uvadatavola.com

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