Comincia qui un immaginario viaggio in viticoltura che si potrebbe chiamare “Grape World Tour”: lo scopo di questo approfondimento non è solo quello di osservare l’impostazione agronomica, ma anche conoscere in che modo si articola l’organizzazione commerciale e produttiva dell’industria dell’uva da tavola nei più importanti Paesi Produttori.
Comincia oggi il “Grape World Tour”: viaggio alla scoperta delle diverse declinazioni che assume la viticoltura da tavola nel mondo. Passeggeremo idealmente al fianco di agronomi esperti all’interno dei vigneti siti nei più importanti Paesi produttori di uva a tavola. Lo scopo? Conoscere altri modi di produrre, gestire e vendere l’uva da tavola. È giunta l’ora di allacciare le cinture; sul nostro primo “biglietto” la destinazione prevista è il Sudafrica. Per l’occasione il nostro Virgilio sarà l’agronomo Michele Melillo, Vice Presidente del Global technical service di Sun World International.
Michele, cominciamo dalla forma di allevamento in viticoltura da tavola. Ci sono delle differenze tra Italia e Sud Africa?
La viticoltura da tavola in Sudafrica risale agli anni ‘60 – ‘70 (la vite si coltiva lì sin dall’800), le loro produzioni erano destinate al Regno Unito in quanto lo Stato è membro del Commonwealth. Tale legame ha mantenuto intatti i rapporti commerciali con l’Europa fino ai giorni d’oggi. Altri Paesi in cui oggi giunge l’uva sudafricana sono: Nord America e Asia. In Sudafrica si usa il cosiddetto South African Gable, si tratta di un sistema che nasce dalla nostra tradizionale “pergola trentina”. Sistema adoperato in Trentino e in alcune zone del Veneto per la coltivazione dell’uva da vino. Si tratta del sistema che in Italia viene comunemente chiamato “Y”, ma con un’altezza inferiore, grazie ad una differente inclinazione. Ciò permette alla vegetazione e ai grappoli di stare tutti su di uno stesso piano, più in basso rispetto alla nostra altezza media. Lavorare con i grappoli ad altezza del petto è più facile per l’operatore. Questa forma di allevamento, inoltre, permette ai grappoli di intercettare meglio i trattamenti. Devo però aggiungere che negli ultimi anni anche in Sudafrica si sta lavorando per inclinare meno e portare più in alto i grappoli. Ad oggi il 95% dei vigneti sudafricani adotta il South African Gable. Negli ultimi 15 anni, grazie all’introduzione di varietà che richiedono molta meno manodopera e manipolazione (in confronto alle cv Thompson e Flame) i produttori stanno alzando la “Y” per portare il grappolo un po’ più in alto. Un grappolo più basso, infatti, è molto vicino all’umidità del terreno, si bagna più facilmente in presenza di umidità e si riscalda molto più velocemente.
Spostiamo l’attenzione ai sesti, le coperture e l’ irrigazione
Potrebbe sembrare strano, ma i sesti sudafricani sono più stretti di quelli italiani, che già non sono famosi per la loro larghezza. Tra le file troviamo 3 metri, ma sulla fila il sesto diventa di 1,50 – 2 metri (con il South African Gable è possibile stringere sulla fila). La forma di allevamento sudafricana consente di inserire qualche pianta in più per ettaro rispetto al tendone pugliese. Mentre il nostro classico vigneto presenta 1600 piante per ettaro, il vigneto sudafricano tradizionale raggiunge – in media – 1850 piante per ettaro.
I coltivatori sudafricani non fanno ricorso ai teli così come li conosciamo noi. Essi usano dei teli molto sottili e leggeri, che posizionano direttamente sulla vegetazione solo in caso di rischio pioggia. Negli ultimi anni, però, sono cambiate molte cose. Si fa molto ricorso alle reti per inglobare totalmente il vigneto. Non come in Italia, dove la rete viene tesa solo sulla fila. I fattori che spingono i viticoltori sudafricani ad adoperare le reti sono principalmente due:
- la necessità di proteggere il vigneto dal vento, fattore climatico che contribuisce a ridurre notevolmente la qualità dell’uva,
- il bisogno di difendere la produzione dagli uccelli. Questi animali danneggiano le produzioni comportando gravi perdite di prodotto.
Studi recenti stanno valutando l’uso dei teli “all’italiana”, ma per poterli adoperare si dovrebbe modificare notevolmente la struttura del vigneto.
Passando ai sistemi di irrigazione, invece, nel Sud dello stato e nel “Western Cape” i sistemi di irrigazione sono simili ai nostri. Presentano ali gocciolanti e gocciolatori. Nel Nord, invece, utilizzano molto l’irrigazione per aspersione sotto chioma. Bagnando la totalità del terreno, senza localizzare il getto, cercano di abbassare la temperatura durante le giornate più calde. Si tratta di un sistema che simula la pioggia, ma che aumenta significativamente l’umidità interna al vigneto.
A proposito di umidità, di che tipo di clima gode la viticoltura Sudafricana?
Gli areali maggiormente vocati alla viticoltura da tavola in Sudafrica si dividono principalmente tre regioni:
- Northern Province, a Nord della città di Johannesburg, zona molto umida con clima subtropicale e terreni pesanti;
- Orange River, zona nella quale si raccoglie il 30% della produzione nazionale. si tratta di un areale molto precoce e che potrebbe essere assimilata al Nord Africa per le condizioni climatiche molto secche con piogge improvvise di carattere temporalesco. Le piogge si affacciano sulla zona solo nella parte finale della stagione, ovvero a partire da dicembre/gennaio. In questo areale si superano abbondantemente i 35/40°C in piena stagione;
- Western Cape, zona comprensiva del Trawal Olifants River, Berg River e Hex River. Qui si raccoglie più o meno il 60% della produzione globale del Paese. Il clima è temperato e molto simile a quello italiano ma molto più secco, vista l’altitudine è come se fosse una media tra Sicilia e Puglia. Si tratta di un areale secco, con piogge che si affacciano solo durante la fase più tardiva della stagione.
In Sudafrica l’approvvigionamento idrico è un nodo molto importante, circa 4 o 5 anni fa, in seguito ad una siccità prolungata si è vista una contrazione degli impianti e delle produzioni ad uva da tavola. Adesso però la situazione è tornata ad essere quella pre-siccità.
La vite è una pianta molto resiliente e ben si adatta ai climi caldi, a patto che il vigneto sia irrigato. A tal riguardo vorrei aggiungere che non ho mai visto un vigneto sudafricano sprovvisto di sistemi di monitoraggio dell’umidità del terreno. Essendo una terra che soffre molto la siccità, cerca di mettere in campo tutte le tecnologie per monitorare il suolo, le radici e razionalizzare i volumi di acqua per l’irrigazione.
Quali cultivar di uva si producono in Sudafrica?
L’unica varietà comune, un tempo, era la Vittoria: non era diffusa così come in Italia, ma aveva un suo mercato. Venti anni fa le varietà con seme coltivate in Sudafrica erano il 60%. Questo vuol dire che già 20 anni fa il 40% della produzione consisteva in varietà apirene. Con l’avvento dei breeder internazionali il panorama varietale, di fatto, è diventato molto simile a quello italiano. Sono molto presenti alcune varietà estremamente anticipate come Prime e Starlight – negli areali precoci dell’Orange River – con l’intento di aggredire il mercato il prima possibile. Ci sono poi tutte le varietà dei 4 maggiori breeder internazionali. Essendo partiti prima con il ricambio varietale, il numero di ettari interessati dalle senza semi è preponderante. I volumi di uve con seme sono del tutto irrilevanti ormai.
Esistono delle avversità particolari a cui i produttori sudafricani devono badare?
Fondamentalmente le malattie fungine sono le stesse. Grande è l’incidenza dell’oidio e della botrite. Un po’ meno quella della peronospora. Quest’ultimo patogeno si è imposto all’attenzione dell’industria sudafricana soprattutto negli ultimi due anni a causa delle piogge che hanno colpito le zone produttive al di fuori del classico ciclo stagionale.
Spostando l’attenzione sugli insetti troviamo anche qui tripidi, cicaline e cocciniglie, ma si tratta di specie differenti rispetto alle nostre.
Il clima locale favorisce alcune situazioni critiche, come improvvisi innalzamenti delle temperature con forte calore e vento caldo che, talvolta, disidratano il prodotto.
Dal punto di vista organizzativo come funziona la catena di produzione e distribuzione?
L’organizzazione dell’industria sudafricana dell’uva da tavola è molto particolare ed interessante per noi italiani. Innanzitutto il tessuto produttivo è costituito da piccoli e medi produttori. Il viticoltore medio gestisce dai 20 ai 50 ettari o poco di più. Tutti i viticoltori possiedono un proprio magazzino, dove lavorano e confezionano il prodotto appena dopo la raccolta. In Sudafrica anche il più piccolo produttore possiede celle per la frigo conservazione e il magazzino per il confezionamento. Il comparto è organizzato a seconda della scalarità della raccolta varietale e così gestiscono anche il confezionamento e la distribuzione attraverso l’esportatore. La figura dell’esportatore, in Sudafrica, non si occupa nella maniera più assoluta del taglio e dell’impacchettamento, ma gestisce unicamente l’aspetto logistico e commerciale.
Di base accade questo: durante l’anno l’esportatore e il produttore pianificano il calendario dei tagli sulla base delle varietà da commercializzare. Il calendario è realizzato in virtù della qualità e alle caratteristiche delle uve.
L’esportatore indica a priori il mercato nel quale commercializzare il prodotto. Si tratta di un’organizzazione che pianifica e gestisce l’esportazione. A fronte di questo la figura dell’esportatore guadagna una percentuale sulla base del valore finale del prodotto. La gestione è molto trasparente, tutti i produttori e gli esportatori, anonimamente, comunicano i prezzi spuntati e i volumi tagliati. I dati vengono poi elaborati e resi pubblici. Così facendo ognuno è in grado di comprendere la propria performance e capire su cosa dovrà lavorare in futuro per migliorare dal punto di vista dei prezzi, delle varietà, della finestra di raccolta e così via. Tutto questo nonostante, ripeto, le aziende agricole siano decisamente piccole. Sono molto molto rare le aziende con 300/600 ettari. Nonostante ciò il produttore ha la possibilità di verticalizzare la produzione, conosce la destinazione del proprio prodotto e riceve input per migliorare.
Esistono grossi esportatori che, allo stesso tempo, possono anche produrre uva, ma per lo più si tratta di “esportatori puri”, con un ufficio commerciale impegnato a piazzare il prodotto.
Il Sudafrica si trova a 14 giorni di nave dal mercato europeo; pertanto è impossibile immaginare una vendita giornaliera della frutta fresca. Occorre programmare tutto anticipatamente curando i dettagli. A inizio stagione già si sa che in quella determinata settimana partirà un numero specifico di box con all’interno una precisa varietà di uva con un preciso standard qualitativo. L’industria sudafricana dell’uva da tavola è un settore molto organizzato, questo rende il lavoro molto più semplice senza lasciare spazio all’improvvisazione.
Disponibilità e costo della manodopera
Il costo della manodopera, ad oggi in Sudafrica, è ancora molto basso rispetto a quello europeo. Vi è, inoltre, ampia disponibilità di operai agricoli. Anche se qualcosa sta cambiando: la politica preme per aumentare il salario medio. Ciò, ovviamente, sta avendo delle ricadute: aziende abituate a poter contare su manodopera disponibile a basso costo sono costrette a fare i conti con l’esigenza di razionalizzare i costi e le operazioni colturali. Il trend segna un aumento del costo della manodopera, ma siamo a livelli che nulla hanno a che fare con quelli europei.
I costi di produzione medi come si collocano rispetto all’Europa?
I costi di produzione medi sono molto simili a quelli europei, difatti è una nazione che importa tutto, inoltre è lontana dai mercati di sbocco. Antiparassitari, macchine agricole, materiali per l’imballaggio e concimi costano in media di più rispetto all’Europa. A tutto questo vanno aggiunti i costi di spedizione. Certo, trattandosi di un prodotto che giunge in Europa “fuori stagione” spunta prezzi più alti rispetto al nostro. Essendoci meno uva, per le leggi del mercato, è più facile contare su prezzi più alti. Inoltre possono contare su di un’organizzazione dei produttori molto efficace.
L’uva sudafricana impiega 14 giorni per giungere in Europa. Come viene gestito il post raccolta?
I sudafricani sono più organizzati di noi in tal senso, ma non arrivano ai livelli del Cile. Questi ultimi, infatti, storicamente hanno maggiore cura per il post raccolta, proprio per la grande distanza che li divide dal mercato europeo. In Sudafrica – di fatto – l’uva viene tagliata in campo, portata in magazzino, lavorata e messa giornalmente in stoccaggio. Questi passaggi, effettuati in tempi ristretti, sono già molto importanti per la tenuta del prodotto in post raccolta. Emerge così una superiorità della gestione del post raccolta rispetto all’Europa, e per Europa intendo sia Italia che Spagna.
I sudafricani adoperano tecnologie innovative? Sono riusciti a meccanizzare alcune operazioni colturali?
Avendo a disposizione molta manodopera a basso costo non hanno investito molto nella meccanizzazione. Ad un produttore italiano salta subito all’occhio l’estrema pulizia del vigneto sudafricano. I produttori locali non fanno ricorso ad aratri o a macchine per il movimento della terra, ma adoperano inerbimenti e insetti utili. Su questi temi i produttori locali sono molto coscienti.
Ci sono dei punti di contatto tra Italia e Sudafrica?
Molti dei produttori sudafricani odierni rappresentano la terza generazione di viticoltori da tavola. Il Sudafrica colpisce per il legame molto forte che il produttore ha con la propria terra e con i frutti da essa generati. In questo assomigliano molto ai produttori italiani. Questi tratti sono fondamentali, soprattutto quando si attraversano momenti di difficoltà. L’attaccamento alla terra e la perenne voglia di migliorare si trasformano in risorse durante i periodi più bui.
Autrice: Teresa Manuzzi
Foto: Michele Melillo
©uvadatavola.com