Tra gli acari della vite il ragnetto rosso comune (Tetranychus urticae) e il ragnetto rosso della vite (Panonychus ulmi) non sono generalmente dannosi in viticoltura, ma al verificarsi di particolari condizioni possono arrecare danni importanti.
I danni si verificano per lo più a carico delle foglie, conseguentemente all’attività trofica di questi tetranichidi: le punture di alimentazione, infatti, causano una riduzione dell’attività fotosintetica che incide poi diminuendo il tenore zuccherino delle bacche e riducendo la differenziazione delle gemme. Le foglie della vite interessate, dunque, presentano delle clorosi puntiformi che, nel caso delle varietà di uva a bacca rossa, evolvono in arrossamenti.
Durante l’estate, poi, le foglie colpite possono anche mostrare bronzature diffuse. Verificare e accertare la presenza di acari della vite tetranichidi non è semplice, soprattutto se desideriamo identificare la specie.
A grandi linee, però, possiamo dire che le due specie, Tetranychus urticae e Panonychus ulmi, presentano delle differenze. Mentre T. urticae forma colonie più numerose e localizzate sulla pagina inferiore delle foglie, provocando decolorazioni a macchie, P. ulmi si distribuisce in modo più uniforme con sintomi più omogenei su tutta la lamina fogliare.
Sebbene negli anni l’interesse per il ragnetto rosso sia andato diminuendo, quest’anno il tetranichide è tornato a destare preoccupazioni presso alcuni areali viticoli del Sud Italia, dove il verificarsi di temperature anomale è stata condizione predisponente.
Oltre all’innalzamento eccessivo delle temperature, però, LAORE “Agenzia regionale per lo sviluppo in agricoltura” della regione Sardegna riporta anche le altre condizioni che agevolano la presenza di ragnetto rosso in vigneto. Tra le ulteriori cause predisponenti la presenza di ragnetto rosso, dunque, rientrano (1) l’utilizzo di varietà con foglie ricche di peluria sulla lamina inferiore, perché capace di offrire protezione agli acari e (2) la presenza di squilibri vegeto-produttivi delle piante. La non razionalizzazione delle pratiche colturali, irrigazioni e fertilizzazioni azotate lussureggianti favoriscono squilibri a favore dell’apparato vegetativo e incrementano la suscettibilità delle piante. Nei vigneti con suolo inerbito e nei vigneti in cui si pratica lo sfalcio dell’erba in epoca tardiva, il controllo di acari è più semplice poiché l’inerbimento offre riparo ad acari predatori e insetti utili. Anche la presenza di siepi e di terreni incolti intorno al vigneto fornisce ricovero agli antagonisti naturali degli acari dannosi.
La salvaguardia della presenza degli acari fitoseidi, naturalmente presenti, è il metodo più efficace per il controllo degli acari tetranichidi.
Nel caso in cui determinate pratiche agronomiche o fitosanitarie riducono la presenza di acari fitoseidi utili, si può intervenire con una tecnica di reintroduzione. Questa consiste nella distribuzione in vigneto infestato di tralci di potatura di 1-2 anni, prelevati da vigneti “donatori”, in cui i fitoseidi sono presenti e abbondanti.
Altre strategie di intervento includono i trattamenti a base di zolfo, mirati al controllo dell’oidio, e quelli a base di rame, per il controllo della peronospora. La necessità di intervenire con prodotti chimici deve essere ovviamente giustificata, per cui si effettua il monitoraggio (idealmente su un campione visivo di 100 foglie prese casualmente, una per pianta). Si definisce, poi, la percentuale di infestazione e quando, in piena estate il 35-40% delle foglie è infestato, si ricorre all’uso di insetticidi selettivi. Infatti è bene evitare il più possibile l’impiego di prodotti nocivi per gli acari utili.
A tale scopo è bene monitorare il vigneto quando le condizioni climatiche e il vigore vegetativo delle viti agevolano la presenza di acari. Il loro contenimento, infatti, quando la popolazione raggiunge una certa intensità, può destare grandi preoccupazioni per i viticoltori, soprattutto nel caso in cui si dovessero verificare i sempre più frequenti fenomeni di resistenza.
Silvia Seripierri
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