Fino a qualche anno fa era impossibile immaginare di produrre uva da tavola in biologico. Oggi, invece, sono sempre più numerose le aziende che decidono di seguire questa strada o che riescono ad integrare perfettamente diverse pratiche, come la confusione sessuale o l’uso di formulati Bio, all’interno della propria conduzione in integrato.
É il caso dell’illuminato produttore di uva da tavola di Rutigliano (Ba) Stefano Borracci. Ho appuntamento proprio con lui, per scattare qualche foto durante il lancio degli insetti utili.
L’azienda di Stefano Borracci
Seguo il navigatore, ma il GPS ha improvvisamente dei problemi. Però mi basta alzare lo sguardo dallo schermo del cellulare e guardare dal finestrino per individuare l’azienda Borracci con facilità. È primavera e tra i tantissimi vigneti che costellano la strada di campagna che sto percorrendo una sola azienda mostra orgogliosamente un tappeto di malva, papaveri, camomilla e senape in piena fioritura, già dal cancello d’ingresso. All’interno i vigneti sono circondati da una siepe formata da alberi e piante di diverse tipologie. Sbirciando un po’ oltre la rete, sotto i filari, si notano file alterne con inerbimento e sovescio. Si tratta di trifoglio incarnato, favino e facelia.
Sì, l’azienda è indubbiamente questa, ho visto alcune foto e la riconosco. Attendo, quindi, che Stefano mi raggiunga. Arriva pochi minuti dopo. Noto che la sua auto è occupata da alcune scatole di cartone. Al loro interno sono custodite diverse tipologie di insetti utili. Si tratta di minuscoli collaboratori che lo aiuteranno a proteggere la sua produzione di uva da tavola.
Orius laevigatus
Dopo i saluti mi presenta gli insetti come se fossero dei suoi vecchi amici: “Lui è Orius laevigatus, è un emittero ed è giunto fin qui viaggiando all’interno di una piccola bottiglietta grigia con del polline. C’è sempre del cibo all’interno dei contenitori degli insetti utili per permettere loro di affrontare il viaggio con il più basso livello di stress possibile”.
Le siepi
Stefano fa cadere alcuni insetti sulle infiorescenze delle siepi e delle essenze che circondano i vigneti. “La siepe – mi spiega – è lunga un chilometro, larga più di un metro e alta due; è composta da piante mediterranee (lentisco, prugnolo, alloro, lavanda, rosmarino, fillirea, corbezzolo, rosa canina e biancospino). Di fatto è un corridoio ecologico e svolge la stessa funzione dei muretti a secco: offre riparo agli insetti durante i mesi in cui la vite è in dormienza. Orius laevigatus è ghiotto di diverse specie di tripide, ma tra tutti predilige un tripide che crea molti danni all’uva: la Frankliniella occidentalis“.
“O. laevigatus, però, in mancanza di prede non disdegna il polline, per questo motivo distribuisco l’insetto sui fiori. L’adulto è molto mobile e nel momento in cui la Frankliniella dovesse affacciarsi in vigneto sarà lo stesso O. laevigatus a volare di grappolo in grappolo per cibarsene”.
Cryptolaemus montrouzieri
In un vasetto, invece, assieme a delle striscioline di carta, ci sono degli insetti molto simili a delle coccinelle, ma con la testa e le elitre di colore marrone-arancio. Il resto del corpo, invece, è nero. Si tratta di Cryptolaemus montrouzieri. Un coccinellide, per l’appunto, di circa 5 millimetri, che si ciba di cocciniglia cotonosa. Per questo motivo il viticoltore scorteccia le viti in cerca di cocciniglia e dopo averla trovata lascia che i piccoli insettini passino dal barattolo al fusto delle viti dove in bella vista c’è l’ospite indesiderato. Stefano Borracci cerca di avvicinare il più possibile i piccoli amici al fitofago per far sì che il controllo avvenga con facilità.
Alcuni esemplari del C. montrouzieri sono in fase di accoppiamento e Stefano spiega: “Con il tempo ho notato che se in vigneto riesco a mantenere le condizioni ottimali per la vita di questi insetti, essi potranno riprodursi. Una femmina depone fino a 120 uova, questo vuol dire che il prossimo anno mi ritroverò già un buon numero di predatori di cocciniglie in campo e dovrò acquistarne meno. La loro azione è così efficace che non uso più insetticidi chimici da cinque anni. Per il controllo della cocciniglia integro il lancio del coccinnellide, solo sulle viti che nel corso dell’anno passato ospitavano l’insetto, con il metodo della confusione sessuale per cocciniglia della vite (Planococcus ficus)”.
Amblyseius andersoni e Amblyseius cucumeris
Il viticoltore estrae ora dai cartoni qualcosa di molto simile a delle bustine di tè con dei gancetti: “Qui dentro ci sono due tipologie di acari predatori Amblyseius andersoni e Amblyseius cucumeris. Il primo si ciba di altri acari, mentre il secondo si nutre di tripidi come Frankliniella occidentalis, Thrips tabaci ed altri”.
I due sono quasi invisibili ad occhio nudo. I sacchetti che li contengono saranno appesi all’interno del vigneto. Attraversando un foro presente sul sacchetto i “piccoletti” potranno fare un lauto pranzo, nutrendosi delle loro prede preferite. Inoltre, se queste ultime dovessero scarseggiare, ci sarà polline a volontà anche per loro.
Cambiare approccio
Stefano, a conclusione dei diversi lanci spiega: “Adottare in vigneto strategie di biocontrollo implica un totale cambio di marcia e di approccio produttivo. Per approccio intendo soprattutto tempistiche, oltre che aspettative. Questa ottica si fonda sulla prevenzione. Venti anni fa la presenza anche di un solo insetto in vigneto era percepita come dannosa per la produzione. Oggi non è più così, e vorrei che questo concetto arrivasse a tutti i produttori di uva da tavola. Aumentare la biodiversità in vigneto produce solo effetti positivi. Aumentare la biodiversità è la chiave di volta per raccogliere uva, sana, buona e prodotta in modo sostenibile e con un impatto ambientale bassissimo”.
Stefano, sono curiosa, quando hai cominciato per la prima volta a cambiare il tuo approccio?
Durante la stagione 2014 vennero giù oltre 100 mm di acqua nell’arco di 3 giorni. I vigneti erano in fase di ingrossamento acino e io avevo anche irrigato. Nel corso di un solo pomeriggio, parlo di 3/4 ore, si registrarono oltre 50 mm di acqua. Quell’anno la tragedia si compì per mano della peronospora larvata. Persi il 50% del prodotto. A causa della pioggia eccessiva il vigneto era allagato ed io non vi potevo entrare per effettuare – nei tempi – i trattamenti anticrittogamici. Alla luce di tutto questo ho preso una decisione drastica; ho detto a me stesso: “Se non cambio il modo di produrre sarò costretto a chiudere l’azienda. Quindi ho cominciato ad inerbire e da lì mi si è aperto un mondo nuovo. Immagina che grazie ad alcune essenze che semino al di sotto dei vigneti non solo miglioro la struttura del terreno e riesco ad effettuare trattamenti di soccorso anche subito dopo piogge incessanti, ma riesco a proteggere l’uva dagli insetti”.
In che modo?
La facelia (Phacelia tanacetifolia) fiorendo sulle file del vigneto contemporaneamente alla vite, attrae su di sé i tripidi. In questo modo “piloto” l’attenzione dei fitofagi lontano dalla vite. Anche grazie a questo stratagemma ho eliminato l’uso di insetticidi dall’intera campagna dell’uva da tavola”.
Stefano mi saluta con queste parole: “Per me la vittoria più importante sarebbe vedere sempre più viticoltori adottare i miei stessi metodi produttivi. A mio avviso in questo modo potremo aumentare il valore del nostro prodotto e del territorio”.
Sorrido, perché mi ritrovo in molte delle sue riflessioni. Inoltre anche per me scoprire gli inerbimenti è stato come scoprire un continente nuovo. A parlarmi inerbimento è stato, per primo, l’agronomo Giacomo Mastrosimini.
Inerbimenti: un mondo nuovo
Giacomo Mastrosimini oggi è un punto di riferimento per la conduzione in Bio di vigneti e frutteti. L’agronomo, afferente allo studio agronomico Graper Srl, durante la Biocontrol Conference (evento svoltosi a Bari il 9 e il 10 novembre 2021) ha illustrato alla platea in che modo gli inerbimenti potrebbero contribuire al controllo non solo dei fitofagi, ma anche di alcuni patogeni fungini, dei nematodi e dei patogeni tellurici. Sulla base di studi e osservazioni l’agronomo oggi può con tranquillità asserire che: “Gli inerbimenti aumentano la biomassa microbica del terreno, ma potrebbero anche rendere il suolo “soppressivo”.
Aumentare la biodiversità per scoprire un nuovo modo di produrre
Anche per l’esperto l’aumento della biodiversità negli agro ecosistemi è la chiave di volta per un nuovo modo di produrre:
“L’inerbimento è uno strumento fondamentale per aumentare la biodiversità in campo. Quanto più saremo in grado di aumentare la biodiversità, tanto più essa ci aiuterà a prevenire i problemi”.
Giacomo, volendo cominciare dalle basi, quanti tipi di inerbimenti esistono?
“Gli inerbimenti sono di diverso tipo: permanenti o temporanei (ovvero sovesci); monofiti (con una sola specie vegetale) o polifiti (con diverse specie vegetali). A seconda delle esigenze aziendali e delle caratteristiche del terreno su cui sorge il nostro impianto sceglieremo l’inerbimento più idoneo. Un vigneto molto vigoroso – ad esempio – avrà bisogno di un inerbimento monofita con graminacee, piante nitrovore; capaci di eliminare l’azoto dal terreno. In caso contrario, invece, possiamo usare inerbimenti monofiti e seminare leguminose per aumentare la dotazione azotata del terreno e indurre quindi maggiore vigore alle nostre piante”.
Quale tipo di inerbimento è più utilizzato?
“Indubbiamente gli inerbimenti polifiti con graminacee, avena e orzo sono i più utilizzati, perché riescono ad aumentare la biodiversità nel frutteto. Queste piante sono in grado di strutturare meglio la parte più superficiale del terreno, attraverso il loro apparato radicale molto fascicolato. Inoltre se si riesce a sovesciare, trinciando queste piante in fase avanzata, la loro grande quantità di lignina si rivelerà fondamentale per la produzione di sostanza organica e humus. Nei miscugli polifiti inoltre si utilizzano anche brassicacee (senape, rafano e ravizzone) piante, che, per mezzo dell’apparato radicale fittonante riescono a strutturare il terreno in profondità. Un buon inerbimento polifita vede anche la presenza di leguminose (veccia, pisello proteico, trifoglio incarnato) capaci – come anticipato – di apportare azoto. Ci sono poi essenze secondarie. La facelia ad esempio, anch’essa capace di assorbire una notevole quantità di azoto grazie al suo apparato radicale molto fascicolato”.
Quando sento parlare di inerbimento monofita con brassicacee non posso non pensare alla “biofumigazione”.
La biofumigazione è una tecnica che consiste nel sovesciare e interrare alcune piante (brassicacee, leguminose e graminacee) capaci di rilasciare molecole biocide nel suolo. La tecnica è conosciuta e utilizzata in agricoltura da oltre vent’anni: “Vent’anni di studio – si legge in un paper realizzato dal CREA – hanno messo in luce i benefici derivanti dall’uso di Brassicacee nella cosiddetta tecnica della Biofumigazione. Biofumigazione vuol dire la capacità di sopprimere parassiti e malattie attraverso l’uso di alcune piante contenenti glucosinolati”.
Dopo questo flashback torno a Giacomo Mastrosimini. Giacomo, oltre alla biofumigazione, quali sono i benefici che l’inerbimento e il sovescio apportano?
“L’inerbimento migliora la struttura del terreno potenziando la capacità di assorbimento dell’acqua, arieggia il suolo, evita ristagni idrici e asfissia radicale. In questo modo si riduce anche la sensibilità delle piante agli agenti che causano marciume radicale. Per mezzo degli inerbimenti è inoltre possibile abbassare il tasso di umidità in vigneto. Un suolo inerbito ci consentirà anche, in caso di piogge eccessive, di entrare con le trattrici in vigneto. Non poter entrare in campo al momento giusto significa non riuscire ad effettuare un trattamento nel momento più opportuno. Talvolta questo apparentemente piccolo problema potrebbe comportare una rilevante perdita di produzione”.
Quest’ultima affermazione di Giacomo mi riporta all’esperienza di Stefano Borracci e alla pioggia che nel 2014 ha tirato un brutto scherzo al viticoltore. Gli effetti positivi degli inerbimenti (detti anche cover crops) non sono certo finiti qui, i vigneti inerbiti potrebbero essere capaci di “allontanare” gli effetti delle malattie fungine.
“Quando abbiamo effettuato i primi inerbimenti nei frutteti – continua infatti Giacomo – era evidente come, soprattutto in primavera, nelle zone inerbite la rugiada si posava solo in basso, sull’erba, e non sui fiori che erano sugli alberi. Questo significa che tra gli effetti indiretti dell’inerbimento c’è anche una inferiore suscettibilità della pianta alle malattie fungine. Si evince infatti da alcuni studi, che grazie all’inerbimento è possibile ritardare le infezioni fungine primarie anche di 15 giorni, grazie alla capacità della massa erbacea di ridurre la velocità cinetica delle gocce di pioggia”.
Inerbimento come deterrente alle malattie fungine: lo studio dell’Università di Piacenza
La prova scientifica a questa ultima affermazione dell’agronomo giunge dai risultati ottenuti dal progetto di ricerca europeo BIOVINE (finanziato dal CORE Organic Cofund) e coordinato dal Prof. Vittorio Rossi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
La peronospora, uno dei patogeni fungini più dannosi per la vite, sverna nel terreno sotto forma di oospore. A primavera le oospore germinano, rilasciando zoospore. Queste ultime, per mezzo degli schizzi di pioggia, raggiungono la vite e avviano le cosiddette infezioni primarie. I ricercatori hanno dimostrato che in vigneti ad uva da vino inerbiti si registra una minore incidenza di infezioni di peronospora.
Il gruppo di ricerca dell’Università Cattolica di Piacenza ha anche osservato cosa accade con diversi livelli di copertura del suolo e ne è comunque emerso che l’inerbimento – sia del sotto fila che dell’interfila – ha limitato o smorzato gli schizzi prodotti dalla caduta delle gocce di pioggia. Queste sono, infatti, uno dei principali veicoli capaci di condurre le zoospore di Plasmopara viticola sulla vegetazione. Esperimenti simili sono in corso anche per osservare quanto accade per le malattie del legno e la muffa grigia.
Inerbimento come rifugio per insetti utili: le banker plant
Torniamo però a Giacomo Mastrosimini, perché gli effetti positivi dell’inerbimento non sono ancora terminati. L’esperto, infatti spiega come le essenze seminate in vigneti e frutteti potrebbero trasformarsi in “rifugio” invernale per gli insetti utili: “L’inerbimento potrebbe costituire una zona “banker plant” (che potremmo tradurre come “piante rifugio”). Grazie alle piante seminate, infatti, è possibile mantenere in vigneto, in frutteto o in serra una sorta di comunità stabile di insetti antagonisti, o di alcuni dei suoi componenti”.
In campo è quindi possibile seminare delle essenze non produttive che però, crescendo, potranno diventare il luogo perfetto per ospitare, nutrire e far riprodurre quegli insetti utili (entomofagi) che abbiamo lanciato in vigneto e che, diversamente, potrebbero disperdersi. Riuscire a mettere in atto questo tipo di pratica ci aiuterà a salvaguardare la nostra produzione nel momento in cui, con la bella stagione, giungeranno nuovamente anche i fitofagi (FRANK, 2010). Questo modo di gestire la difesa si chiama Predator-in-First (PIF) ed è una strategia di “difesa preventiva”. Infatti essa mira a far stabilire gli insetti predatori – in campo – ancor prima della comparsa dei parassiti.
Gli acari fitoseidi generalisti, infatti, riescono a nutrirsi anche di polline. Per questo Stefano, il nostro produttore virtuoso, distribuiva gli insetti utili sui fiori. Avere a disposizione già una nutrita popolazione di nemici naturali permette di controllare i parassiti già nelle prime fasi delle “infestazioni”, che sono anche le più importanti.
Inerbimento come strumento di distrazione per i fitofagi
Non possiamo salutare Giacomo, il nostro agronomo esperto di biologico, senza prima approfondire le ultime sfaccettature dell’inerbimento. Dell’inerbimento come “distrattore” di fitofagi. Approfondiamo, dunque, l’argomento già accennato da Stefano Borracci con le parole di Mastrosimini: “Attraverso la semina di alcune essenze è possibile controllare alcuni insetti. Per ottenere risultati in questo senso dobbiamo seminare piante mellifere, come la facelia ad esempio. La Phacelia tanacetifolia è una pianta in grado di nutrire diversi insetti, inoltre ha un’azione definita catch crop, perché riesce ad intrappolare i nitrati evitandone la lisciviazione. La semina di questa pianta è finalizzata anche ad evitare le perdite di azoto minerale dal terreno, inoltre possiede la capacità di competere con alcune infestanti. La sua lunga fioritura, inoltre, consente di “allevare” l’insetto utile Orius laevigatus, e proteggere la vite dai tripidi. Seminando la pianta nel periodo giusto e riuscendo a far coincidere la sua fioritura con quella della vite, infatti, la facelia grazie al suo colore ed al suo sapore attrarrà la frankliniella su di sé”.
La facelia, quindi, offrendo agli insetti una pausa pranzo più gustosa rispetto a quella dei fiori della vite da tavola attrae il tripide dannoso salvando la produzione di uva.
Vi avevo avvertiti, l’inerbimento apre un nuovo mondo per la produzione. Se ben gestito e praticato con degli intenti precisi, potrebbe apportare innumerevoli effetti positivi a vigneti e frutteti. Inerbimenti e sovesci, uniti all’uso di insetti utili e confusione sessuale, rappresentano i pilastri su cui si fonda l’attuale coltivazione di uva da tavola in biologico. Un traguardo che fino a qualche anno fa pareva inarrivabile. Coltivare ortofrutta combinando sapientemente questi strumenti – sia in integrato che in biologico – potrebbe trasformare completamente il panorama produttivo, così come lo abbiamo conosciuto finora.
Autrice: Teresa Manuzzi
Foto: Teresa Manuzzi
©uvadatavola.com