L’agronomo Domenico Abate lavora all’interno dello studio di consulenza agronomica Graper. Domenico negli ultimi anni si è specializzato nella gestione del post-raccolta per le uve da tavola. All’interno del percorso di confronto con i massimi esperti internazionali, ha avuto l’opportunità di conoscere Luis Luchsinger, specialista internazionale di post raccolta che abbiamo intervistato per il secondo numero del bimestrale 2022 “Uva da Tavola – Magazine”. Abate con Luchsinger ha anche compiuto un percorso formativo, affiancando l’esperto per qualche tempo.
Domenico, quali sono le tue impressioni in seguito all’esperienza con Luchsinger?
Ho confermato l’idea che la qualità passa per i dettagli e che sono tante le differenze nella gestione del post raccolta dell’uva da tavola nei diversi territori. Gli obiettivi tecnici da raggiungere sono diversi in base alla distanza che il prodotto deve percorrere. I principali Paesi esportatori al mondo come Cile, Perù, Sud Africa lavorano per curare al meglio il post-raccolta e la qualità nel minimo dettaglio. Questi paesi si organizzano sempre meglio per servire mercati lontani e conquistarne di nuovi: i nostri. Gli italiani, invece, giocano prima di tutto in difesa, cercando di presidiare i cari e vecchi classici sbocchi di riferimento. L’effetto rincorsa è inevitabile. In Italia l’innovazione del comparto che è andata lenta fino agli anni scorsi, oggi sta accelerando il passo. Le varietà senza semi si sono affacciate sui nostri territori da appena un decennio e con loro la necessità di porre maggiore attenzione alle fasi successive al taglio. In tal senso, a mio avviso, i fondi destinati alla “transizione 4.0” potrebbero rappresentare uno strumento molto utile per alcune realtà intenzionate a migliorare le inefficienze del comparto legate a questo passaggio. Abbiamo urgente bisogno di ristrutturare il nostro settore introducendo tecnologie innovative e digitali per gestire il nostro prodotto.
Prima di approfondire ulteriormente chiariamo una cosa: il tema del post raccolta dovrebbe stare a cuore solo ai commercianti e agli esportatori o riguarda tutto il comparto?
Riguarda senza ombra di dubbio tutto il comparto. Gestire al meglio l’irrigazione prima della raccolta è molto importante, così come i trattamenti fitosanitari e nutrizionali adeguati. Tutti gli operatori che raccolgono e trasportano il prodotto in magazzino devono essere adeguatamente preparati e formati per riconoscere e gestire le situazioni critiche. Andiamo sempre più incontro ad una perdita di personale qualificato e questo comporta errori soprattutto nella gestione del post-raccolta. Con l’introduzione delle nuove varietà, e quindi del conferimento, anche i produttori giocano un ruolo da protagonisti. Sono dell’idea che tutti tutti gli operatori coinvolti nella gestione dell’uva da tavola debbano prendere coscienza che è possibile aumentare i volumi di lavoro solo attrezzandosi con gli opportuni mezzi di gestione.
Domenico, tornando al post raccolta, conoscere i propri punti deboli è il primo, fondamentale, passo per migliorare: quali sono i nostri?
Non è semplice parlare dei punti deboli. Mentre il panorama varietale cambia con l’introduzione di sempre nuove e diverse cultivar apirene, la nostra gestione del post raccolta è purtroppo ancora tarata sul comportamento delle vecchie varietà con semi.
Al momento non c’è sul territorio italiano un ente predisposto a fare ricerca sul comportamento delle diverse varietà in post-raccolta e quindi le aziende, sia di commercializzazione che di produzione pagano a proprie spese queste esperienze. Entrando nel concreto direi che il primo punto che si potrebbe migliorare è la gestione del prodotto appena tagliato. Spesso purtroppo le cassette di uva appena raccolta sostano al sole per ore prima di essere caricate e trasportate per il confezionamento o la spedizione. Le alte temperature ed il calore disidratano molto velocemente il prodotto e a patire maggiormente il caldo è soprattutto il rachide, che già in questa fase comincia a disidratarsi.
Altro aspetto di cui tener conto, poi, è la necessità di fare un uso consapevole dell’anidride solforosa per la conservazione dell’uva. Questo passaggio, se effettuato, senza prestare le dovute accortezze, potrebbe addirittura danneggiare il prodotto.
Circa la fase di “spedizioni rapide”, invece, punto debole è il trasporto dell’uva che può essere migliorato ricorrendo all’uso di buste apposite. Luchsinger, infatti, nell’intervista che avete pubblicato parla della “busta camisa” riferendosi appunto alla busta entro cui, in Cile, si inserisce l’uva e che successivamente viene posta all’interno della cassa da spedire. Questa tecnologia in Italia è già adoperata da alcune aziende che si occupano di lavorazioni particolari.
Ci sono delle specifiche operazioni colturali che è necessario effettuare in campo per poter conservare più a lungo e nel migliore dei modi possibili le uve?
Il punto di partenza è sempre la salubrità dei grappoli. L’uva, per poter resistere a lungo nelle celle e durante il trasporto deve essere prima di tutto buona e sana. Non è possibile conservare a lungo dei grappoli che non siano sani. Ripeto, attualmente – per quanto concerne le operazioni colturali effettuate in campo – abbiamo raggiunto livelli di qualità davvero alti. C’è da rilevare, però, che le limitazioni sui residui e quindi le restrizioni sui trattamenti non consentono al prodotto di performare per lungo tempo in post raccolta senza il rischio che patogeni come quelli agenti di muffa si presentino.
Avere cura del post raccolta vuol dire evitare che una parte del prodotto si perda?
Tutto il lavoro è sempre teso a tutelare il prodotto raccolto e ad assegnargli il massimo valore. In questo quadro il calo del peso è un costo che va a carico del commerciante. Sappiamo che le uve perdono circa il 3-5% del loro peso in un intervallo di tempo pari a 7-15 giorni. Il commerciante, quindi, si fa carico di un’importante perdita economica aumentando la quantità di frutta all’interno di cestini e cassette. Ciò è possibile anche perché, a differenza di altra frutta, il cliente non pesa il cestino di uva, ma acquista un prodotto già pesato, confezionato e prezzato. Ciò non accade con tutti i tipi di frutta.
Avere una maggiore cura delle operazioni di post raccolta per preservare il prodotto aiuterebbe gli esportatori a non dover più affrontare perdite di questo tipo?
In un certo senso sì. Una volta che l’uva viene tagliata e messa in cassetta essa avvia un processo di “respirazione” tale che porta il frutto a perdere acqua. Questo processo è molto veloce per il rachide, che è in grado, purtroppo, di perdere molta acqua in poco tempo, mentre è più lento per gli acini che si disidratano in più tempo. Tale processo, ovvero di traspirazione e rilascio di acqua, è influenzato dalla temperatura e dalla umidità. Ottimizzando le condizioni climatiche in cella, tramite una buona gestione del freddo e l’uso di buste di spedizione, è possibile limitare la disidratazione del grappolo e la perdita di peso.
La busta, infatti, è realizzata con una tecnologia tale da mantenere l’ambiente più fresco nel tempo preservando la qualità del prodotto.
Domenico, forse finora abbiamo trascurato un elemento. Nel momento in cui andiamo ad acquistare uva in un supermercato ritroviamo anche uva confezionata. Pensi che anche il packaging possa influire sulla conservabilità del prodotto?
Il packaging è uno degli elementi più importanti in grado di incidere sulla vita del prodotto dalla sua raccolta in poi. Oltre che proteggere e definire un’unità di vendita, il packaging dovrebbe essere maggiormente vocato a prolungare la vita della frutta.
I commercianti italiani vivono spesso sul packaging situazioni schizofreniche. In Italia, infatti, i magazzini d’esportazione sono chiamati a gestire tantissime lavorazioni diverse con packaging differenti, a seconda del mercato di riferimento. Talvolta ci sono dei cambiamenti da apportare sulle confezioni ogni anno, anche all’ultimo momento. La questione degli imballaggi è complessa e, se ben sfruttata, potrebbe aprire molte strade. Attualmente nelle esportazioni si adoperano per lo più confezioni di cartone che, a mio avviso, necessitano di alcune revisioni per favorire il raffreddamento del prodotto. Il cartone, si sa, è un materiale isolante, che non favorisce la penetrazione del freddo, a meno che non venga disegnato appositamente per facilitare il flusso d’aria.
Occuparsi di post raccolta vuol dire anche considerare il miglioramento genetico.
Le nuove varietà create in tutto il mondo esprimono caratteristiche particolari legate anche alle condizioni pedoclimatiche dell’areale nel quale vengono impiantate. Di base, però, tutti i breeder tengono conto di fattori come: la disidratazione, il grado zuccherino, la resistenza al cracking e allo sgrappolamento, la capacità di resistere all’uso dell’anidride solforosa e la perdita di peso. Caratteristiche chiave per poter conservare e trasportare l’uva a lungo. Indubbiamente il rinnovo varietale offre anche nuove possibilità in questo senso.
Infine, riuscire a conservare l’uva più a lungo potrebbe consentirci di commercializzare volumi più importanti su mercati più lontani?
Penso ai dossier di Thailandia e Vietnam, aperti da anni e per i quali è stata sollecitata anche l’azione del ministro uscente Patuanelli per sbloccare l’iter.
Thailandia e Vietnam sono mercati lontani a cui possono ambire con serenità solo aziende molto strutturate. Il comparto italiano per aggredire il mercato asiatico offrendo un prodotto di alta qualità al suo arrivo a destinazione dovrà necessariamente elevare rapidamente il valore assegnato al processo di post-raccolta.
Autrice: Teresa Manuzzi
©uvadatavola.com
Articolo pubblicato sul n°5 – 2022 del bimestrale “Uva da Tavola – magazine”