Post-raccolta, non solo frigoconservazione

Oltre alla corretta gestione della temperatura e dell’umidità con frigoconservazione, una soluzione interessante in post-raccolta è rappresentata dall'utilizzo di anidride solforosa

da uvadatavoladmin
Post-raccolta anteprima

Oltre alla corretta gestione della temperatura e dell’umidità, anche la composizione del gas che circonda il prodotto durante la conservazione è un parametro importante che influenza la qualità post-raccolta dell’uva da tavola. L’uso di fungicidi sintetici convenzionali è sempre più controverso a causa dei potenziali effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente, oltre a essere vietato per le uve biologiche. Numerose strategie sperimentali includono l’utilizzo di soluzioni per sanitizzare le superfici del frutto, come soluzioni di diversi sali di ferro e di sodio, soluzioni di Fluopyram, oppure l’impiego di etanolo nello spazio di testa. In particolare, l’uso di imballaggi attivi che rilasciano etanolo in fase gassosa si è dimostrato efficace nel ridurre l’incidenza di attacchi fungini in uve conservate per un mese, in misura comparabile all’uso di fogli a rilascio di SO2 in buste di polietilene. Altri gas usati efficacemente come trattamenti di fumigazione sono il diossido di cloro o l’ossido nitroso. Anche l’uso di antimicrobici naturali, come estratti vegetali e oli essenziali, in genere incorporati in imballaggi attivi oppure in coating edibili, sono attualmente di crescente interesse, anche a livello di applicazione commerciale. Questi antimicrobici, infatti, hanno dimostrato un grande potenziale nel controllo microbico in fase post-raccolta, sebbene studi sulle caratteristiche organolettiche e sull’accettabilità del consumatore devono confermare la reale possibilità di impiego di queste soluzioni. Un’ampia raccolta di studi sui trattamenti fisici, chimici e biologici per il controllo di Botrytis cinerea è stata redatta da De Simone et al., e pubblicata nel 2020.

Nonostante la varietà di composti chimici proposti, l’utilizzo dell’anidride solforosa (SO2) in post-raccolta rappresenta ancora una delle migliori soluzioni per contrastare lo sviluppo di B. cinerea e per conservare la qualità dell’uva da tavola.

La SO2 è un gas con proprietà antimicrobiche e antiossidanti. Può essere applicata mediante fumigazione in cella, pratica sempre meno adottata a vantaggio dell’utilizzo di imballaggi attivi, sotto forma di tappetini, fogli di carta, o film plastici, in grado di rilasciare SO2 nel tempo. I vantaggi di quest’ultima pratica risiedono nella possibilità di usare l’imballaggio attivo durante tutte le fasi post-raccolta (trasporto, conservazione) e nella facilità di impiego. La presenza di residui di SO2 rappresenta però un limite della pratica, che può causare decolorazioni della buccia in corrispondenza del peduncolo (soprattutto nelle varietà pigmentate) e off-flavour. Al momento, secondo quando indicato dalla direttiva 2003/89/CE, i residui di SO2 presenti sull’uva non devono superare il limite di 10 mg/kg. 

Una valida alternativa all’impiego di SO2 in post-raccolta è la fumigazione con ozono.

L’ozono infatti è un gas ritenuto sicuro, con interessanti attività antimicrobiche dovute al suo forte potere ossidante. Inoltre, si decompone rapidamente senza lasciare residui pericolosi sulle superfici del frutto trattato: grazie all’alta instabilità chimica, le molecole di ozono si trasformano spontaneamente in ossigeno, sia in fase gassosa (tempo di semivita a 20 °C, 3 giorni), sia in fase acquosa (tempo di semivita molto più breve). Diversi sono i trattamenti con ozono ritenuti efficaci, tra cui l’esposizione continua in atmosfera controllata durante la conservazione in refrigerazione, il pretrattamento a 20 µL/L per 30 min, seguito da conservazione in atmosfera modificata. Inoltre, nelle uve conservate in atmosfera di ozono sono stati osservati livelli di prodotti di sintesi ridotti. Infine, presso il Laboratorio post-raccolta dell’Università di Foggia sono attualmente in corso prove sperimentali di generazione di plasma freddo a base di ozono direttamente in uva da tavola confezionata in atmosfera modificata. I risultati ottenuti finora sono promettenti, anche se sono ancora in corso di valutazione per quanto riguarda l’ottimizzazione del trattamento in relazione ai suoi effetti sul materiale di imballaggio.

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Prove sperimentali di generazione di plasma freddo di ozono in confezioni di uva da tavola (Foto D. Fatchurrahman).

Post-raccolta e modificazione dell’atmosfera

La tecnologia di modificazione dell’atmosfera durante la frigoconservazione, che prevede la diminuzione dell’O2 e l’aumento della CO2, o l’associazione di entrambe le condizioni, consente di preservare lo stato fisiologico dei prodotti ortofrutticoli. Questa tecnica riduce l’intensità dei processi fisiologici, dei fenomeni ossidativi e più nel complesso la perdita di qualità, prolungando la vita commerciale e migliorando la qualità del prodotto. Per l’uva da tavola, l’applicazione di atmosfere modificate arricchite di anidride carbonica risulta finora una delle più valide alternative all’uso di anidride solforosa, soprattutto per i prodotti ottenuti con disciplinari che vietano l’uso di quest’ultima. Tale tecnologia sfrutta l’attività fungistatica della CO2 a livelli superiori al 10%, oltre a influenzare positivamente la fisiologia del prodotto. In particolare, la CO2 rallenta la degradazione della clorofilla, contribuendo al migliore mantenimento del colore del rachide. La modificazione dell’atmosfera può avvenire anche direttamente all’interno  dell’imballaggio, mediante il sistema di Modificazione dell’Atmosfera (MAP). In questo sistema, la concentrazione di gas nello spazio di testa della confezione cambia in seguito all’interazione tra i processi metabolici e biochimici del prodotto nella confezione e il trasferimento dei gas attraverso il materiale di imballaggio. Una volta chiusa la confezione, con un dato film, di una certa superficie e spessore, e con una data quantità di prodotto, a una certa temperatura (generalmente quella di conservazione/trasporto) e volume interno, si raggiunge una condizione di equilibrio dopo un periodo di adattamento più o meno lungo. Questa condizione di equilibrio si definisce fase stazionaria e si verifica quando la produzione di CO2 da parte del prodotto è bilanciata  dalla quantità di CO2 che fuoriesce attraverso il film, e il consumo di ossigeno è bilanciato dall’ingresso dello stesso gas dall’esterno. Un’attenta progettazione dell’imballaggio assicura che le condizioni raggiunte nella fase stazionaria siano ottimali per ottenere i benefici desiderati. Diverse prove sperimentali effettuate su diverse varietà hanno confermato l’efficacia di questa tecnologia, in particolare per quanto riguarda la riduzione dell’incidenza di muffe e marciumi

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Confronto fra grappoli di uva Scarlotta conservati per 40 giorni in condizioni normali di frigoconservazione e in MAP (Foto G. Colelli).

Se ben progettate, le condizioni di imballaggio MAP, oltre a garantire livelli gassosi ottimali per il prodotto, creano livelli igrometrici molto alti che contribuiscono a ridurre al minimo il calo di peso (meno dello 0,5%, molto inferiore rispetto al prodotto confezionato in busta forata) e soprattutto limitano la disidratazione del raspo che si mantiene verde, grazie ai benefici ottenuti dalla modificazione gassosa. 

Come accennato in precedenza, al fine di ottenere le condizioni gassose ottimali nello spazio di testa, l’imballaggio MAP deve essere correttamente progettato e dimensionato.

Tuttavia, a maggiori praticità e flessibilità di applicazione di tale tecnologia corrisponde un minore controllo dei livelli gassosi, la cui evoluzione dipende anche da numerosi fattori esterni, tra cui il rigoroso mantenimento della catena del freddo, oltre alla necessaria verifica della tenuta ai gas del materiale di imballaggio che deve essere totale. D’altro canto, la tecnologia della conservazione in Atmosfera Controllata in apposite celle frigorifere a tenuta di gas garantisce livelli gassosi costanti e predeterminati. Questo maggiore grado di controllo è però controbilanciato dalla minore flessibilità di impiego in quanto tale tecnologia si applica esclusivamente al prodotto destinato a lunga conservazione. Proprio per tale motivo, l’applicazione di questa tecnologia sull’uva da tavola diventa interessante. Attraverso la puntuale applicazione delle operazioni post-raccolta, inclusa la frigoconservazione in idonee condizioni termo-igrometriche e in atmosfera controllata, si possono raggiungere tempi di conservazione anche superiori alle 6-8 settimane senza l’uso di anidride solforosa. A confermarlo anche una recente sperimentazione condotta dall’Università di Foggia sulle varietà Autumn Crisp®, Scarlotta Seedless® e AllisonTM, tutte condotte in regime biologico: in tutti i casi, la conservazione in atmosfere arricchite del 10 e/o del 30% di anidride carbonica, oltre a ridurre significativamente l’incidenza di marciumi rispetto al relativo controllo conservato in aria, ha favorito un migliore mantenimento dell’aspetto esteriore sia degli acini che del rachide, che – soprattutto nel caso della varietà non pigmentata – ha ottimamente mantenuto il colore verde. 

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Effetto di lunga conservazione di uva da tavola Autumn Crisp® in atmosfera controllata arricchita di CO2 sull’aspetto esteriore del grappolo intero e del rachide (Foto G. Colelli).

Tuttavia, pur avendo determinato il miglior risultato in termini di inibizione dello sviluppo microbico, il trattamento con livelli di anidride carbonica al 30% ha determinato un aumento dell’imbrunimento del rachide nelle varietà pigmentate, e in generale la possibile presenza di off-flavor nel prodotto, soprattutto nelle prime ore seguenti l’apertura della busta. In ogni caso la sensibilità a livelli molto elevati di CO2 (o a bassi livelli di O2) dipende sia dalla tipologia di prodotto che dalla varietà. 

L’anidride carbonica può anche essere applicata come pre-trattamento (più o meno breve) a elevate concentrazioni prima della successiva frigoconservazione; tale tecnologia è stata sperimentata con notevole successo nel controllo di muffe e marciumi in numerose specie ortofrutticole, ma ha dimostrato una minore efficacia nel caso dell’uva da tavola, con risultati spesso non univoci. 

Prodotto a contenuto in servizio

Negli ultimi anni è aumentato il consumo di uva da tavola processata come prodotto di IV gamma, con acini già lavati e pronti per l’uso. L’operazione di separazione degli acini implica comunque uno stress meccanico che limita la shelf-life del prodotto a poche settimane, soprattutto se la separazione avviene causando ferite ai tessuti. Anche in questo caso, in definitiva, l’ottimizzazione delle condizioni di imballaggio del prodotto in atmosfera modificata può rappresentare una strategia vincente per ottenere una shelf-life adeguata alle esigenze della distribuzione, oltre che per mantenere un elevato livello qualitativo del prodotto.

A cura di: Giancarlo Colelli e Sandra Pati
© uvadatavola.com

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