Con il professore Matteo Spagnuolo – professore presso Dipartimento Di Scienze Del Suolo, Della Pianta E Degli Alimenti (Di.S.S.P.A.)dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” – approfondiamo il tema della clorosi ferrica sulla vite ad uva da tavola.
Con l’esperto cerchiamo di focalizzare l’attenzione non solo sulle cause del problema, ma anche e soprattutto, sui possibili rimedi.
Dott Spagnuolo, la sezione di Chimica e Biochimica del DiSSPA ha approfondito il tema della clorosi ferrica in viticoltura ad uva da tavola?
Sì, il nostro gruppo di ricerca della sezione ha lavorato sul ferro e sulla sua distribuzione nelle piante. L’obiettivo è capire i meccanismi che la pianta mette in atto per cercare di superare lo stato di carenza. Per fare questo ci è avvalsi di tecniche spettroscopiche avanzate per valutare la localizzazione di questo elemento nelle diverse parti della pianta.
Quali sono le cause che concorrono a provocare la clorosi ferrica?
La clorosi ferrica, quindi tutti i sintomi visivi di carenza di questo elemento nella pianta, derivano dalle caratteristiche dei nostri suoli che, come noto, sono calcarei per la presenza di carbonati e bicarbonati e hanno per questo un pH elevato, subalcalino, intorno ad 8. In queste condizioni di pH, sebbene il contenuto totale di ferro non sia un fattore limitante, il ferro solubile risulta presente in bassissime concentrazioni.
Perché si verifica questa precipitazione del Ferro?
Perché nelle condizioni di pH dei nostri suoli il ferro precipita e forma ossidi e idrossidi, che sono molto poco solubili. Questo è quello che avviene se consideriamo la sola presenza dei minerali. Per fortuna la concentrazione del ferro nei nostri terreni è un po’ più elevata perché ci sono nel suolo una serie di sostanze complessanti naturali che aumentano notevolmente la concentrazione del ferro solubile.
Ci sono differenze tra i suoli del Sud Est Barese e quelli che si trovano nell’arco Jonico?
Nell’arco Jonico i problemi sono molto meno accentuati rispetto a quello che si osserva nel Sud Est Barese. In linea generale i maggiori problemi si osservano nei cosiddetti suoli chiari, poveri di sostanza organica e molto ricchi di calcare attivo, che è la frazione più fine del carbonato di calcio. Il calcare attivo è relativamente solubile, rilascia con facilità i carbonati, che formano bicarbonati e calcio nel suolo. Tale situazione determina un aumento di pH del suolo che promuove la precipitazione del ferro.
La presenza di tanto calcio nei terreni del Sud Est Barese non è positiva…
La forte presenza di calcio è un problema in quanto l’elemento compete con il ferro nella formazione di complessi con sostanze organiche presenti nel suolo (essudati radicali, sostanza organica solubile, siderofori, ecc.), riducendo ulteriormente la disponibilità di ferro nei nostri suoli.
All’interno della pianta quali sono i meccansmi nei quali il Ferro è implicato?
Il Ferro è un elemento con 2 stati di ossidazione, Fe++ e Fe+++. È importante soprattutto nei citocromi e nelle ferro-zolfo proteine che presiedono al trasporto degli elettroni nella catena respiratoria, nella fase luminosa della fotosintesi, nella riduzione dei nitrati, quindi nel metabolismo azotato della pianta. Considerando queste situazioni si osserva una riduzione notevole del metabolismo proteico e, soprattutto, energetico della pianta. In sintesi una pianta che soffre per carenza di ferro produrrà meno energia (sotto forma di ATP) necessaria per il suo metabolismo. Da ciò deriva la crescita stentata, una scarsa produzione, frutti di dimensioni inferiori. Un altro effetto della carenza di ferro è l’influenza sulla sintesi dei complessi proteina-clorofilla, che non essendo prodotta in modo ottimale si manifesta in forma di clorosi.
Ci sono differenze nella suscettibilità alla clorosi ferrica tra le diverse varietà di uva da tavola?
In generale no, non ci sono grosse differenze. Quello che si osserva invece è la tipologia di suoli che può influenzare notevolmente la clorosi ferrica e le tecniche colturali con cui molti vigneti sono gestiti.
Facciamo qualche esempio…
Per esempio una gestione non ottimale della pianta nelle ultime fasi della produzione, in postraccolta, può provocare una riduzione dell’accumulo di metaboliti, in particolare carboidrati all’interno delle radici. Queste riserve servono per la corretta partenza l’anno successivo. Apportare nutrienti nelle ultime fasi dell’attività vegetativa della pianta è utile per migliorare l’efficienza fotosintetica in chiusura del ciclo, con conseguente accumulo delle sostanze di riserva che serviranno l’anno seguente nella prima fase di sviluppo. Se le uve vengono raccolte tardivamente si crea una forte competizione tra la parte produttiva (i grappoli di uva) soprattutto in situazioni di elevate produzioni, e la parte fotosintetica (le parti verdi della pianta).
Cosa succede invece sulle varietà precoci?
Le foglie, ovvero l’apparato fotosintetico, molto spesso sono lasciate a se stesse per molti mesi dopo la raccolta. In queste fasi occorre gestire in modo opportuno la nutrizione e l’irrigazione, in modo che la pianta si trovi in condizioni ottimali.
L’incisione anulare ripetuta negli anni può accentuare il fenomeno?
Sì, l’incisione e la decorticazione anulare, possono accentuare il fenomeno della clorosi, soprattutto se eseguita in modo non ottimale. Questo perché interrompendo il flusso floematico, si osserva una riduzione dell’accumulo dei carboidrati nella radici. Considerando le strategie che mette in atto la radice per assimilare il ferro, è necessario un dispendio energetico considerevole. Serve pertanto una grossa quantità di carboidrati che derivano evidentemente dall’apparato fogliare. Se la gestione dell’irrigazione e della nutrizione della pianta nelle fasi successive all’incisione anulare non è condotta in maniera ottimale, il ripristino della conduzione floematica non avviene in modo ottimale. In queste situazioni si possono verificare dei problemi di mancato accumulo di carboidrati nelle radici.
Che si intende per incisione anulare eseguita male?
Intendiamo una incisione eseguita in modo troppo profondo, tale da rendere impossibile per la pianta la riformazione del floema nelle fasi successive in modo da permettere a tutti i fotosintetati di tornare ad accumularsi nelle radici.
Esiste una diversa suscettibilità alla clorosi ferrica tra i diversi portinnesti?
Sì, in generale si osservano delle differenze. I portinnesti ottenuti a partire dalla Vitis riparia (34 EM, 157/11, 225 Ru, ecc) hanno una maggiore suscettibilità alla clorosi ferrica rispetto a quelle ottenute a partire dalla Vitis rupestris (140 RU, 1103 P, 779 P, ecc.). Si tratta ad ogni modo di considerazioni che si basano solo su dati raccolti in campo che necessitano di studi dettagliati sui meccanismi coinvolti.
Come è possibile liberare e rendere maggiormente disponibile il ferro nei suoli?
Bisogna fare una premessa. Poiché il Ferro è presente a basse concentrazioni nei suoli, tutte le piante adottano diverse strategie per cercare di superare lo stress da carenza di ferro. La cosiddetta Strategia I riguarda le dicotiledoni, gruppo nelle quali è inclusa anche la vite, mentre le monocotiledoni, in particolare le graminacee, adottano la Strategia II.
In cosa consiste la Strategia I attuata dalla vite?
La prima cosa che fa la pianta è ridurre il pH della rizosfera, laddove per rizosfera si intende il volume di suolo che è in vicinanza delle radici e che è direttamente influenzato dall’attività radicale. Si osserva un maggior pompaggio di protoni verso l’esterno (con consumo di ATP e quindi di energia) con conseguente acidificazione della rizosfera. In condizioni di pH più bassi si ha un aumento della solubilità degli ossidi e idrossidi di ferro. In situazioni di carenza di ferro, si osserva una inibizione della catena respiratoria e della produzione di energia e un aumento della glicolisi. Inoltre, una parte dei prodotti intermedi del ciclo di Krebs vengono essudati dalla radice nella rizosfera. Questo è importante perché questi acidi (come il citrato, il malato e l’ossalacetato) abbassano il pH e complessano il ferro rendendolo più solubile. Il ferro così complessato viene ridotto dalla membrana delle cellule del rizoderma e assorbito sotto forma di Fe2+ da trasportatori specifici.
La pianta acidifica l’ambiente circostante le radici così da permettere al ferro di passare in una forma più solubile; forma che le radici sono in grado di assorbire. Tutto questo “lavoro di acidificazione” costa tanta energia alla pianta?
Sì, per svolgere questo processo come per la riduzione del ferro si ha un dispendio dell’energia che viene prodotta ossidando (“bruciando”) carboidrati. Questo ci fa capire quanto è importante accumulare sostanze di riserva nelle radici.
Qual è il ruolo della sostanza organica presente nel terreno?
I suoli ben dotati di sostanza organica solubile trattengono molto bene il ferro in soluzione. Nella rizosfera di questi suoli inoltre si osserva abbondanza di microrganismi. Molti di questi microrganismi assimilano il ferro e producono i cosiddetti siderofori microbici, agenti complessanti che hanno una elevata affinità per il ferro che viene mantenuto in soluzione per lungo tempo. Ci sono diversi meccanismi che avvengono contemporaneamente nel suolo e bisogna considerare tutto nel complesso. È evidente che suoli ottimali, con buona dotazione di sostanza organica e buona attività microbica, sono meno suscettibili alla carenza di ferro.
Parliamo invece della Strategia II, attuata dalle graminacee.
Questa strategia, propria delle graminacee, interessa i vigneti perchè in questi ultimi può essere praticato l’inerbimento. La strategia II prevede la produzione di fitosiderofori che chelando il Fe3+ facilitano l’assorbimento di ferro all’interno della pianta. La presenza contemporanea di graminacee e vite, comporta un aumento della quantità di rizosfera nel suolo, quindi si osserva una crescita esponenziale di questi meccanismi che portano ad un incremento della disponibilità del ferro per la vite.
Quali altre pratiche agronomiche, se non correttamente attuate, possono provocare una accentuazione della clorosi ferrica?
Le eccessive lavorazioni comportano una riduzione progressiva della sostanza organica nel suolo e un aumento di condizioni ossidanti e quindi della possibilità che il ferro possa precipitare (diventare insolubile, quindi non disponibile per la pianta, n.d.r.). Ecco perché la minima o la non lavorazione e l’inerbimento possono ridurre i fenomeni i clorosi ferrica.
Perché notiamo i fenomeni di clorosi soprattutto nelle prime fasi del ciclo vegetativo?
Perché nelle prime fasi si osserva una temperatura in media più bassa, elemento che determina una riduzione sia dell’attività microbica che di quella radicale; si osserva inoltre un ridotto assorbimento nelle radici dei nutrienti necessari a sostenere la pianta fino a quando le foglie attivano la funzione fotosintetica per la produzione di carboidrati. Per tutti questi motivi la prima fase è critica. Superata la prima fase il problema della clorosi si riduce notevolmente.
Il produttore che deve intervenire per contenere o risolvere il problema, come dovrebbe comportarsi?
Innanzitutto bisogna mettere in atto tutte le operazioni fino ad ora elencate, per cercare di prevenire, per quanto possibile, il problema: inerbimento, riduzione delle lavorazioni, soprattutto nei suoli dotati di elevato calcare attivo. Si può inoltre intervenire con la somministrazione di concimi fertilizzanti a base di ferro per via fogliare e radicale. Per via radicale una delle soluzioni è quella di apportare solfato di ferro. Questa operazione era molto praticata in passato. Ma se le condizioni del suolo non mutano, tutto il ferro apportato precipita immediatamente diventando indisponibile per la pianta.
Che fare allora?
Una soluzione potrebbe essere quella di apportatre il ferro insieme alla sostanza organica. La fase solubile della sostanza organica ha una attività complessante, quindi riesce a mantenere in modo più elevato la solubilità del ferro. La sostanza organica ha anche un effetto sulla rizosfera ed i microorganismi, pertanto migliora la qualità del suolo e tutte le condizioni che portano ad una maggiore solubilità del ferro.
Dopo il germogliamento, nelle prime fasi dopo il risveglio è possibile intervenire in fertirrigazione con dei chelati di ferro di natura differente, di origine sintetica o naturale (questi ultimi hanno una maggiore sostenibilità ambientale) in forma di ligninsolfonati o acidi umici. Oppure per via fogliare con delle applicazioni che danno risultati più immediati.
Esistono differenze tra i diversi chelati di Ferro?
Sì, i chelati di ferro utilizzati per via radicale sono fotolabili e in presenza di luce perdono la propria attività e possono anche produrre sostanze tossiche per la pianta. Per questo motivo i chelanti radicali non possono e non devono essere utilizzati per via fogliare. Bisogna ricordare inoltre che i chelanti da utilizzare per via radicale sono più stabili a pH alcalini e svolgono ottimamente la propria funzione nei nostri suoli.
Insieme al ferro chelato può essere utile apportare altre sostanze in fertirrigazione per migliorare i risultati ottenuti?
Nell’apportare ferro chelato per via radicale può avere una buona utilità l’acidificazione del suolo effettuata con zolfo correttivo, applicato al suolo nella fase che precede il germogliamento, oppure in seguito, acidificando l’acqua di irrigazione. Si può anche utilizzare della sostanza organica solubile che va ad aumentare nel suolo la dotazione di sostanze in grado di complessare il ferro.
Bisogna sempre ricordare però, che l’acidificazione del suolo ha sempre una durata molto breve nel tempo, da poche ore ad uno-due giorni, poiché il potere tampone dei suoli calcarei è tale da andare a ripristinare rapidamente le pregresse condizioni di pH.
Per concludere, che approccio bisogna avere per contenere il problema della clorosi ferrica?
Bisogna permettere alla pianta, e più in generale al vigneto, di lavorare in modo ottimale. In tutti i nostri suoli si verifica sempre uno stress da ferro e le piante devono essere messe in condizione di mettere in atto le opportune risposte per superare lo stress con le modalità che abbiamo riportato.
Se, per motivazioni di natura differente, le piante non sono in grado di svolgere ottimamente questa funzione, si manifestano i problemi che devono essere risolti nell’immediato con applicazioni tempestive di chelati di ferro che, purtroppo, sono poco sostenibili.
Autore: la Redazione
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