Caudio Capitini è vicepresidente della Moviso Fruit, cooperativa piemontese formata da circa 20 soci che producono: mele, pesche, kiwi e uva da tavola. In totale, alle pendici del Monviso, ci sono circa 50 ettari di vigneti che ospitano principalmente la cv Crimson, ma anche Regal e Arra 32. Quest’ultima è un’uva a bacca nera medio tardiva, raccolta nello stesso periodo della Crimson. La maggior parte dell’uva prodotta nella zona del Monviso vola sui mercati del Regno Unito, ma delle quantità raggiungono anche la Germania e i mercati italiani.
Oggi è il primo giorno di raccolta per l’uva del Monviso, la qualità è eccellente, ma anche qui i problemi sono di natura commerciale.
Claudio, raccontami, da quanto tempo coltivate uva da tavola ai piedi del Monviso?
I primi impianti risalgono al 2012, all’epoca si trattava di actinidieti riconvertiti in vigneti. Sono passati ben dieci anni da allora.
Dieci anni sono un bel traguardo!
Certo, ma in questo tempo abbiamo dovuto imparare a gestire innumerevoli difficoltà. Adesso possiamo finalmente affermare di saper coltivare l’uva da tavola in Piemonte, cosa che non è affatto scontata. Le caratteristiche del nostro ambiente, come clima e terreni, sono completamente differenti dagli areali tipicamente vocati a questa coltura (Puglia e Sicilia). Sono stati 10 anni impegnativi, perché siamo stati chiamati ad adattare la storia della coltivazione dell’uva da tavola pugliese alle necessità del territorio piemontese. In questi anni sono emerse diverse difficoltà, talvolta sconosciute al tradizionale mondo dell’uva ad tavola: ad esempio i livelli elevati di umidità e la mancanza di molte ore di luce e di sole. Questa stagione, ad esempio, si è contraddistinta per la siccità. Problema, questo, a cui non eravamo abituati. Fortunatamente i nostri impianti sorgono nei pressi di montagne ricche d’acqua, perciò siamo riusciti a fronteggiare l’imprevisto irrigando con una frequenza maggiore.
I vostri impianti sono coperti?
Noi viticoltori piemontesi posizioniamo le reti antigrandine nel mese di aprile, perché i vigneti insistono su di una zona in cui è molto facile che si verifichino grandinate. Mentre i teli vengono issati quando l’uva è in fase di maturazione per proteggerla dalla pioggia. Quest’anno è stato molto asciutto e personalmente ho coperto con i teli a metà settembre.
Certo, avete dovuto studiare a lungo, ma siete riusciti a raccogliere un frutto di qualità.
Quest’anno per noi è un’annata davvero eccezionale. Forse grazie al cambiamento climatico, di cui quest’anno abbiamo maggiormente subito gli effetti, abbiamo registrato temperature più alte della media per un lungo lasso di tempo. La qualità dei grappoli è forse la migliore di sempre. Essendo stato un anno siccitoso i patogeni fungini, come peronospora e botrite, non sono stati molto pressanti. Quindi anche osservando la stagione dal punto di vista fitosanitario il giudizio è pienamente positivo.
Vendete gran parte dei vostri volumi su uno dei mercati più esigenti: il Regno Unito.
Il nostro prodotto raggiunge standard qualitativi molto alti, ma l’asso nella manica che permette di sbarcare oltre manica è stato il colore. Infatti riusciamo a ottenere una pigmentazione così elevata della cv Crimson che talvolta risulta irriconoscibile perché i grappoli ottenuti qui virano quasi verso il nero. Questa particolare caratteristica ci ha consentito di conquistare una delle nicchie di mercato in cui i prezzi sono un po’ più remunerativi. La colorazione è una caratteristica che contraddistingue la frutta degli areali piemontesi. Nella zona del Monviso, e più precisamente a Cuneo, c’è persino l’IGP della mela rossa. Gran parte dei nostri vigneti, invece, sorgono nella zona del saluzzese. Si tratta di un areale pedemontano dove non ci sono le Prealpi. Il territorio, quindi, passa dai 3800 metri del monte Monviso ai 300 metri della pianura. Questo comporta una conversione termica molto importante durante la notte. Grazie alle escursioni termiche, che possono avere anche una forbice di 25 gradi, registriamo 30 °C durante il giorno e 15°C durante la notte. Questa caratteristica dona alla nostra frutta e alle nostre uve una colorazione perfetta.
Siete soddisfatti, quindi, di quest’annata?
Dal punto di vista qualitativo molto, ma dal punto di vista del mercato molto meno. Quest’anno infatti, i prezzi al produttore non rendono giustizia agli sforzi del comparto produttivo ortofrutticolo italiano. Tutto il settore primario italiano è in sofferenza, le aziende agricole hanno dovuto fronteggiare costi altissimi per riuscire a produrre frutta e verdura quest’anno. Sul nostro portafoglio ricadono gli aumenti di: gasolio, mezzi tecnici ed elettricità. Il mercato, nel migliore dei casi, è disposto a pagare gli stessi prezzi dello scorso anno, se può darci qualcosa in meno, meglio ancora, è più contento. Questo significa che i costi di produzione lievitati ricadranno unicamente sull’azienda agricola. Al contrario, invece, i prezzi al consumatore sono aumentati del 20-30%. Pare che a tutti gli anelli della catena si riconoscano i rincari tranne che ai produttori.
Il paradosso in una annata con frutti di alta qualità
La situazione, ripeto, sta accadendo con qualsiasi prodotto della terra, anche con le mele: lo scorso anno sono state vendute a 40 centesimi di euro al kg. Quest’anno si parla di 20 centesimi, ma al supermercato il prezzo delle mele è superiore del 20-30%. Siamo all’interno di un ingranaggio che non funziona. L’intero comparto ortofrutticolo deve unirsi per lanciare un grido d’allarme, perché se ciò accade vuol dire che c’è qualcuno che vuole guadagnarci troppo a scapito di qualcun altro. Non capisco perché la GDO, che compra frutta a prezzi più bassi del normale, debba rivenderla moltiplicando per tre e non vuole riconoscere ai produttori una piccola percentuale.
Non nego che anche la GDO sia chiamata a fronteggiare maggiori costi, ma non è giusto non riconoscere affatto al produttore il prezzo giusto, è come se costringessero le aziende agricole a rimetterci. Anche noi agricoltori abbiamo bisogno di fare utili, altrimenti non condurremmo delle aziende… agricole.
In tutto ciò, e concludo, lo Stato chiede frutta e verdura “Made in Italy” prodotta attraverso conduzioni sempre più green, elimina principi attivi e impone una serie di normative che, di fatto, contribuiscono ad aumentare i costi di produzione. Oggi produciamo, grazie a mezzi tecnici meno impattanti, prodotti sempre più salubri, ma quando c’è da intervenire per regolamentare i prezzi lo Stato non risponde all’appello. Anzi, si consente l’import e la commercializzazione di ortofrutta non prodotta all’interno dell’Unione Europea. In Paesi in cui tutte queste attenzioni non esistono. Questi meccanismi sono ingiusti.
Autrice: Teresa Manuzzi
©uvadatavola.com