Produrre rinnovando il panorama varietale è un passaggio fondamentale per salvaguardare la competitività delle aziende viticole. Tuttavia, spesso dominano incertezza e confusione e ciò contribuisce a frenare il cambiamento. A parlare della sua esperienza è la produttrice Santa Milillo.
L’azienda Santa Milillo si sviluppa in agro di Conversano (BA) su una superficie di circa 7 ettari, dei quali 5 sono coltivati con uva della varietà Italia e 2 con uva della varietà Crimson Seedless. Il 70% della produzione aziendale, quindi, è di uva con semi, mentre il 30% è di uva apirena a produzione e commercializzazione libera. Fino a qualche anno fa produrre uva da tavola di vecchia generazione era, per Santa Milillo, una scelta che ripagava gli sforzi aziendali dal punto di vista commerciale. Stando alle ultime evoluzioni del mercato e agli esiti della scorsa campagna, però, è crescente la volontà di estirpare i vigneti della varietà Italia. Tuttavia, capire quale varietà impiantare è una scelta difficile per Santa, che non riesce a compiere questo passo, perché non trova risposte alle sue domande su cosa produrre, a chi aggregarsi, cosa e chi le consente un reddito in linea con l’impegno riposto. Con l’intento di fare chiarezza su ciò che guida l’agricoltore nelle sue scelte produttive, la parola a Santa Milillo.
Santa, spiegaci perché la tua azienda non intende produrre varietà di uva da tavola brevettate.
Le varietà di uva apirena regolamentate da brevetto sono, secondo me, interessanti ma mi spaventano e molto. La mia è sicuramente una visione contraddittoria, ma che trova le sue origini nelle severe e stringenti regolamentazioni previste dai licenziatari di queste varietà. Le uve di queste varietà hanno delle caratteristiche organolettiche di pregio, ma le regolamentazioni lasciano pochissima libertà a noi produttori e non danno alcuna garanzia. I costi di impianto sono molto elevati e, poiché a questi non corrisponde alcuna certezza di riuscire a vendere il prodotto, il rischio di non coprire le spese di produzione aumenta. A questi aspetti, poi, si aggiunge che la maggior parte delle varietà in questione sono state sviluppate da breeder non italiani, in Paesi con caratteristiche pedoclimatiche differenti dalle nostre. Impiantare queste varietà, quindi, non ha per me senso, anche da un punto di vista agronomico. Quello che i miei occhi vedono è solo tanta incertezza sia per le varietà regolamentate da brevetto sia per quelle come l’Italia, che sta sempre più perdendo il suo valore commerciale.

Grappolo di uva da tavola a bacca giallo-verde della varietà con semi Italia a maturazione tardiva
L’uva da tavola sta sempre più perdendo di credibilità agli occhi dei produttori. Cosa ritieni sia necessario per ripristinare la fiducia?
Le soluzioni potrebbero essere tante, ma serve collaborazione non solo tra produttori ma anche tra commercianti e GDO. Così come è giusto promuovere le uve apirene regolamentate da brevetto, è giusto promuovere anche l’uva con i semi affinché abbia il suo mercato. Nel primo caso, quello delle uve brevettate, sarebbe necessario riorganizzare il sistema e stabilire accordi di filiera affinché non siano sempre e solo i produttori a subire e rispondere in caso di difficoltà commerciali. Nel secondo caso, invece, sarebbe necessario pensare a una valorizzazione delle varietà con seme e autoctone. Servirebbe aggregarsi per promuovere il prodotto come simbolo di un territorio forte e unito. Come ho accennato prima, varietà come l’Italia stanno perdendo il loro valore commerciale e credo che il motivo di questa situazione sia proprio la mancanza di unione tra noi viticoltori.
Il mio auspicio è che le nuove generazioni siano incentivate a produrre e a fare sempre meglio, soprattutto collaborando tra loro. A riguardo, per esempio, non posso non citare il problema delle uve prodotte illegalmente. Personalmente concordo sul fatto che il sistema proposto dai breeder sia limitante, ma coltivare queste varietà senza dichiararle, in modo illegale, non è certamente la soluzione. Le conseguenze di queste azioni si ripercuotono su tutti, anche su noi produttori che ancora una volta dimostriamo di non essere uniti e collaborativi. Tra le cause per cui alcuni scelgono di produrre illegalmente queste varietà di uva, vi è la volontà di sfuggire al pagamento annuale di royalty. Battersi su questo per ridurre e ripensare i pagamenti cercando accordi con i breeder sarebbe, secondo me, più opportuno e corretto nei confronti di tutti.
Al netto di quanto detto, sulla base di quali criteri pensi si debbano scegliere le varietà da impiantare e produrre?
Scegliere la varietà da impiantare è una delle prime e più importanti cose da fare quando si vuole realizzare un nuovo impianto o innovarne uno. Una scelta del genere non può essere guidata solo dagli aspetti tecnico-agronomici. Difatti, quando si decide di innovare, entrano in gioco anche delle motivazioni commerciali, che spesso prendono il sopravvento. Per questo credo che strumenti come il catasto varietale dell’uva da tavola, presentato dalla CUT durante la fiera Fruit Logistica 2023 a Berlino, sia una buona idea. Disporre di un simile catasto, infatti, consentirebbe ai produttori di conoscere in quale percentuale determinate varietà sono già presenti sul territorio nazionale e più facilmente destinate a essere sovraprodotte. Per concludere, quindi, spero che sempre più realtà e idee concrete come questa vengano portate avanti e messe a disposizione di tutti, per il bene di tutti.
Silvia Seripierri
©uvadatavola.com