Quando parliamo di luce e piante arboree, come per esempio la vite, è necessario comprendere l’importanza della radiazione luminosa. Ne discutiamo con Pasquale Losciale, professore associato di Arboricoltura generale e Coltivazioni arboree presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.
Quando parliamo di luce e vite, solitamente ci riferiamo alla capacità della luce di fornire alla pianta l’energia necessaria per effettuare la fotosintesi. Per garantire un buon tasso fotosintetico sono importanti, quindi, la quantità e la qualità della radiazione luminosa.
“La vite è una specie che si avvantaggia di radiazione luminosa ad intensità elevata, ma non elevatissima. Il suo punto di saturazione si aggira intorno ai 750 – 1.000 micromoli di fotoni per metro quadro al secondo (μmol m2 s-1), perciò oltre questo valore non si registrano ulteriori guadagni fotosintetici. Ciò significa che se la pianta intercetta una maggiore radiazione luminosa, il tasso fotosintetico non aumenta. Allo stesso modo la vite non si avvantaggia di chiome folte che, anzi, sono controproducenti. Chiome troppo ricche, infatti, formano dei palchi che si sovrappongono tra loro e le foglie dei palchi superiori captano tantissima luce, tale da favorire i processi di fotoinibizione a discapito della fotosintesi. Le foglie dei palchi sottostanti, invece, restano completamente in ombra. In quest’ultimo caso si parla di “foglie parassite”, ovvero foglie che, pur avendo un basso tasso fotosintetico, respirano e traspirano consumando zuccheri e perdendo acqua. Per tali ragioni, quindi, è molto importante scegliere, in fase di impianto, la forma di allevamento, la densità di impianto e il portainnesto più idonei, affinché tutta la chioma possa intercettare radiazione luminosa uniformemente e tutte le foglie possano fare fotosintesi”.
Cosa succede in vigneto quando si copre l’impianto con i teli?
“L’apertura dei teli in vigneto non è un fattore limitante per le piante, se effettuata in base alle conoscenze sulla fisiologia della vite. Nonostante queste intercettino una minore radiazione luminosa, non si registrano cali fotosintetici né produttivi. Nei vigneti in cui, in estate, vengono poste le reti antigrandine, il fatto che la vite intercetti meno radiazione luminosa è un aspetto positivo per le piante e non incide negativamente sulla fotosintesi. Le reti antigrandine, infatti, a seconda del loro potere ombreggiante, oltre a proteggere le piante dalla grandine, possono ridurre la radiazione luminosa incidente. Questo favorisce una diminuzione delle temperature e il raggiungimento dei valori di optimum fotosintetico. Si parla di optimum fotosintetico quando il range di temperatura è compreso tra i 25 e i 30 °C. A questi aspetti si aggiunge che il passaggio della luce attraverso le reti genera il fenomeno di scattering (diffusione) – di luce diffusa. La luce, attraversata la rete, si diffonde in vigneto e penetra meglio la chioma delle piante, raggiungendo anche le foglie più in ombra. Talvolta l’uso delle reti risulta fondamentale, ad esempio quando la radiazione luminosa è troppo intensa e le piante rischiano di subire danni da fotoinibizione. Se la pressione fotonica in entrata nelle foglie è sbilanciata rispetto alla capacità della foglia stessa di utilizzare quell’energia, la porzione di energia in eccesso viene dirottata dalla pianta sull’ossigeno. In questo modo vengono avviati i processi di formazione di specie reattive dell’ossigeno e dei radicali liberi: molecole instabili e altamente reattive. Le reti antigrandine, così come i film plastici, riescono a ridurre la radiazione luminosa anche del 20% alleviando i problemi appena descritti. A fare la sua parte, però, è anche la natura. Le piante, dal canto loro, si sono “attrezzate” da sole per adattarsi a radiazioni luminose eccessivamente intense attraverso meccanismi di fotoprotezione e riparazione efficiente dei danni. Ovviamente questi meccanismi di sopravvivenza hanno un costo in termini energetico e produttivo. Maggiore è il rischio di danno, maggiori saranno le risorse allocate a questi processi piuttosto che alla produzione”.
“Anche l’apertura dei teli plastici – a inizio campagna – non arreca danni alla produzione. Il motivo per cui a inizio campagna si aprono i teli, però, è diverso da quello per cui si dispongono le reti antigrandine. Mentre queste ultime sono utili per mantenere la temperatura entro certi valori, i teli plastici servono a innalzare le temperature per creare l’effetto serra e anticipare la produzione. Nello svolgimento di questa operazione, però, è importante che l’apertura dei teli sia fatta nelle fasi comprese tra il germogliamento e la citochinesi. Mentre per le drupacee avviene prima la fioritura e poi il germogliamento, nel caso della vite si verifica prima il germogliamento e poi la fioritura. Durante le fasi di citochinesi e divisione cellulare, il frutto aumenta di volume grazie alla divisione dei nuclei, all’aumento delle pareti cellulari e all’aumento del numero di cellule. Tutti processi che hanno bisogno di azoto e zuccheri. Mentre nelle drupacee gli zuccheri necessari alla formazione e all’accrescimento dei frutti sono quelli ottenuti con la fotosintesi dell’anno precedente, nella vite gli zuccheri sono quelli ottenuti con la fotosintesi dell’anno in corso. Per questi motivi, quindi, è importante che durante il germogliamento la vite sia in un ambiente con temperature ottimali, tali da agevolare l’attività fotosintetica dei germogli che, comportandosi da sink, dovranno produrre gli zuccheri necessari agli acini appena allegati ed in rapido accrescimento”.
La risposta delle piante alla radiazione luminosa dipende dalla varietà?
“Sebbene le diverse varietà di vite rispondano alla radiazione luminosa in modo pressoché simile, ci sono cultivar che tendono ad avere colatura precoce – come la Regal – e che sono più delicate ed esigenti in determinate fasi fenologiche. I frutti di queste varietà hanno una domanda di zuccheri molto elevata, per cui è importante che la radiazione luminosa favorisca una buona fotosintesi. Se durante il periodo di citochinesi (ovvero nelle prime fasi di ingrossamento dell’acino) il tasso fotosintetico di queste varietà è basso e la pianta non produce abbastanza zuccheri, si creano degli squilibri che possono manifestarsi come colatura dei frutticini. I frutti, che si stanno formando proprio in quel momento, sono molto esigenti di zuccheri e, se la pianta non è in grado di soddisfare tale esigenza, interrompe il nutrimento degli acini più deboli e li fa cascolare. Elevati squilibri e cascole possono compromettere la produzione. Per ridurre casi di questo tipo, quindi, è utile una gestione dei teli che tenga conto della fisiologia della pianta. Quando, durante la citochinesi, le temperature sono basse, è bene aprire anche i teli laterali per innalzare la temperatura e agevolare la fotosintesi. Quando, invece, le temperature sono più alte dei valori di optimum fotosintetico, è opportuno alzare i teli laterali per favorire la circolazione dell’aria. Risulta quindi importante innovare la gestione colturale anche introducendo tecnologie, come centraline microclimatiche, ormai alla portata delle tasche degli imprenditori agricoli”.
Come influisce il vigore della pianta?
“Per la varietà Regal l’elevato vigore è, insieme al basso tasso fotosintetico, causa di squilibri. Poiché i germogli sono molto vigorosi, i loro apici in accrescimento sottraggono zuccheri ai grappoli. Pratica molto utile per riequilibrare la pianta, infatti, è la cimatura e l’eliminazione di alcuni germogli, competitor dei grappoli”.
La campagna 2022 si è svolta durante la più calda estate della storia. Mentre per alcune varietà si è osservata un’allegagione eccessiva, altre hanno mostrato problemi contrari. Qual è stato il ruolo svolto dalla luce?
“Con riferimento ai fenomeni osservati la scorsa campagna, la luce ha giocato un ruolo indiretto. A incidere negativamente sullo stato delle piante sono state le alte temperature, anche conseguenza di un’eccessiva radiazione luminosa. L’ombreggiamento, limitando la radiazione luminosa, avrebbe avvantaggiato le piante. L’uso di stazioni meteorologiche, provviste di sensori come termometri, igrometri e radiometri – rilevatori di dati di temperatura, umidità e radiazione incidente – avrebbe consentito di tenere sotto controllo la situazione e di intervenire tempestivamente. Per esempio, se i viticoltori avessero rilevato una radiazione incidente di 1.500-1.600 μmol m2 s-1, avrebbero potuto ridurla usando la rete ombreggiante. Qualora non fosse stato possibile usare la rete ombreggiante, sarebbe stato molto utile intervenire con irrigazioni climatizzanti. La scorsa campagna le temperature erano così elevate che hanno rallentato, e in alcuni casi bloccato, la fotosintesi. Le piante erano stremate dal caldo e, nonostante fossero molto irrigate, erano vegetativamente ferme. Perciò, invece di fotosintetizzare, fotorespiravano. Per alleviare la situazione, quindi, i viticoltori avrebbero dovuto irrigare nei momenti più caldi della giornata. Sebbene tale pratica potrebbe essere ritenuta inefficiente per l’eccessiva evapotraspirazione durante le ore più calde della giornata, le piante sono più recettive e traspirano di più regolando la propria temperatura. Il meccanismo della traspirazione termoregola le piante e fa sì che la temperatura interna della pianta diminuisca (in pratica è come se le piante sudassero per rinfrescarsi). Sebbene le perdite di acqua sarebbero state maggiori, le piante avrebbero avuto modo di abbassare la propria temperatura interna e di consentire alla fotosintesi di avvenire regolarmente. In Paesi, come Australia e Sudafrica, infatti – dove il caldo è un fattore limitante – si ricorre a irrigazioni climatizzanti, così come nei casi più gravi si ricorre ai trattamenti con caolino. Questo minerale, infatti, riflette la radiazione luminosa abbassando la temperatura della vegetazione”.
Autrice: Silvia Seripierri
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