Il trend che sta attraversando il comparto della viticoltura da tavola in Italia non è positivo. Tuttavia, le contromisure messe in atto dai vari operatori della filiera, per cercare di contrastare una tendenza che non sembra orientata a nostro favore, non sono molte.
Nei mesi scorsi abbiamo rivolto qualche domanda ad Alfio Messina (Agrimessina S.r.l.), Nicola Giuliano (Orchidea Frutta S.r.l.), Marino Santamaria ed Ottavio Leone (O.P. Terra di Bari) e Vito Lasorella (Lara Fruit) per provare a definire il trend di mercato che il prodotto uva da tavola sta attraversando.
Le risposte non sono state sempre rassicuranti, le cause che hanno generato i problemi che oggi vive il settore sono note a tutti. I due temi costantemente presenti in ogni intervista sono la difficoltà nella conversione del parco varietale, con il passaggio alle varietà apirene più appetite dal mercato, e la scarsa tendenza nell’individuazione di forme di aggregazione “serie” tra gli operatori commerciali. Non dare risposte a queste esigenze espresse dal contesto in cui la filiera opera, potrebbe rappresentare un grosso rischio per il futuro di tutto il settore.
A grande richiesta, riproponiamo settimanalmente ogni singola intervista già pubblicata sul n. 5/2014 della nostra rivista Uva da Tavola Magazine.
Di seguito la seconda intervista a Marino Santamaria ed Ottavio Leone della O.P. Terra di Bari, cooperativa di produttori di uva da tavola nata nel 2005 con l’unione di 14 soci ed una produzione aggregata di circa 100 ha. In pochi anni la cooperativa, condotta con la volontà di affermare i principi della mutualità e della solidarietà, è molto cresciuta sia in termini di quantità che della qualità del prodotto, e quindi della remunerazione. Oggi a distanza di 10 anni i soci produttori di uva da tavola della O.P. sono 30 e aggregano una produzione di circa 250 ettari tra uva da tavola convenzionale e bio.
Sin dalla sua costituzione la O.P. Terra di Bari ha cercato di aggregare e mettere insieme i vari soggetti della filiera realmente interessati a perseguire l’interesse comune della salvaguardia del comparto dell’uva da tavola. Sono nate così le collaborazioni dapprima con la Sud Frut e poi con Europa Frucht dei fratelli Santamaria, divenute poi un progetto unico i cui contenuti e le progettualità sono ancora in corso di realizzazione.
Quale è il trend dei consumi che state notando in Europa e nel resto del Mondo negli ultimi anni?
I consumi dei prodotti ortofrutticoli in tutta Europa sono in costante calo, eccezion fatta per i piccoli frutti e per i prodotti bio. Il comparto dell’uva da tavola non sfugge a tale tendenza. Da qualche anno il periodo di commercializzazione dell’uva da tavola va accorciandosi, in particolare crescono i consumi di apirene mentre inesorabilmente decrescono i consumi di uve con i semi. Il paese dove tale tendenza si avverte di meno è proprio l’Italia, ma qui bisognerebbe ringraziare coloro che lavorano con la GDO Italiana, che stanno riuscendo bene a contrastare questo trend. Diviene quindi indispensabile mettere in campo tutte le nostre migliori energie per cercare di non rimanere al palo. Occorre riprogrammare, o forse una volta per tutte programmare, lo sviluppo varietale del comparto cercando di seguire le tendenze di mercato compatibilmente con l’adattabilità delle varietà al nostro territorio. Purtroppo i produttori scelgono le nuove varietà in base al sentito dire o all’umore prevalente sulla piazza, mentre occorrerebbe scegliere le varietà apirene dopo averle attentamente testate nei nostri areali.
Come è organizzata commercialmente la vostra cooperativa per rispondere alle esigenze dei suoi soci?
La nostra cooperativa dispone di un ufficio commerciale che cura i rapporti con i clienti, prevalentemente esteri. La produzione è programmata in base a quello che i nostri clienti ci chiedono: ossia qualità e sicurezza alimentare. Lo stare sul mercato ci consente di conoscere gli umori dei mercati e pertanto di spingere per una programmazione pluriennale degli impianti, con particolare attenzione alle seedless e al prodotto biologico.
Quali sono le caratteristiche delle varietà senza semi cui si dà maggior peso?
La scelta delle varietà che stiamo mettendo a dimora con i nostri produttori non è frutto del caso. Come già detto non possiamo affidarci alla buona sorte, impiantare un tendone ha costi elevatissimi, pertanto occorre orientarsi su varietà già testate sul territorio e che presentino alcuni requisiti fondamentali: alta produttività, bassi costi di produzione, elevata conservabilità e buone caratteristiche estetiche ed organolettiche.
Quali sono le varietà che più delle altre sembrano destare interesse?
Dopo una fase di studio e sperimentazione ci sentiamo di affermare che ci sono delle varietà che rispondono ai requisiti sopra menzionati. Tali varietà presentano l’inconveniente di essere protette da diritti di proprietà, ma nonostante tutto bisogna ammettere che sono interessantissime. Pertanto sono indispensabili accordi commerciali per poterle coltivare. Tra le varietà che i nostri produttori stanno impiantando ci sono le bianche lvory (precoce), Timpson (medio tardiva), Sweet globe (medio tardiva), Sugar Crisp (tardiva) e le uve rosse Timco (medio tardiva), Sweet celebration (medio tardiva), Allison (tardiva) e Scarlotta (tardiva). Su tali varietà stiamo anche cercando di sviluppare un progetto di promozione per posizionarle sul mercato legandole a marchi già conosciuti e riconoscibili sia nel convenzionale che nel biologico. Per far sì che tali progetti abbiano senso, abbiamo aderito ad un consorzio nazionale con cui commercializzeremo l’intera produzione di queste nuove varietà.
La vostra cooperativa sta anche conducendo, in collaborazione con gli enti di ricerca, dei progetti volti alla trasformazione delle uve?
Esatto, abbiamo una serie di progetti in campo. Quello che più ci affascina è un progetto in collaborazione con la Facoltà di Agraria di Bari, finalizzato alla produzione di succhi, preparati di frutta fermentati e di un prodotto molto simile allo yogurt anch’esso contenente fermenti estratti dalla stessa uva ma senza aggiunta di latte e suoi derivati. Speriamo di poter ottenere dei prodotti che siano realmente interessanti per il nostro comparto. I risultati degli ultimi panel test sono confortanti. In genere riteniamo che le strutture come le nostre devono essere in grado di sfruttare tutte le opportunità che l’Unione Europea ci mette a disposizione, ma c’è un problema…..
Quale?
Quando l’Unione Europea ha regolamentato la concessione di finanziamenti alle Organizzazioni di Produttori lo ha fatto con l’obiettivo di facilitare la creazione di uno strumento di programmazione strategica del territorio, così da permettere ai produttori di mettersi insieme per costruire un modello che finalmente consentisse di progettare uno sviluppo sostenibile. Troppo spesso, invece, le O.P. vengono vissute come uno strumento per far girare un pò di carte e prendere soldi. Questo è il problema. È sicuramente positivo che vi siano aiuti a sostegno dell’attività agricola, ma questi devono essere un mezzo per raggiungere degli obiettivi.
Su quali aspetti della produzione bisognerà concentrarsi in futuro?
Se ragioniamo in termini strettamente utilitaristici perdiamo di vista gli obiettivi più grandi. Dobbiamo essere in grado di guardare oltre il nostro orticello. Non è più possibile muoversi in solitudine almeno su grandi temi strategici, come la ricerca di nuovi mercati, le azioni di promozione del nostro prodotto, la ricerca varietale. Questi sono temi che riguardano l’intero comparto e non singoli operatori. Se continuiamo ad agire in solitudine dovremo accontentarci di subire e non di essere attori.
Autore: la Redazione
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