L’evoluzione del mercato secondo CSO Italy

Daria Lodi e Tomas Bosi tracciano l'evoluzione del mercato negli ultimi anni e forniscono un preciso identikit del consumatore di uva italiano e internazionale.

da Silvia Seripierri

Attraverso i dati del CSO Italy, Daria Lodi e Tomas Bosi tracciano l’evoluzione del mercato dell’uva da tavola negli ultimi anni e forniscono un preciso e prezioso identikit con le preferenze del consumatore di uva da tavola italiano e internazionale.

L’uva da tavola in Italia è coltivata su un’estensione pari a circa 45mila ettari (dati Istat, 2022) e si pone al terzo posto tra le specie frutticole più coltivate nella nostra Penisola, appena dopo mele e pesche nettarine. La coltivazione dell’uva da tavola attualmente evidenzia una forte concentrazione e tradizione in Puglia, dove troviamo oltre il 60% dei vigneti italiani di uva da tavola, seguita a distanza dalla Sicilia con circa il 35% delle superfici complessive.

Export e import

Anche in termini di esportazioni il frutto si pone ai vertici della classifica nazionale, dove occupa il secondo posto – con circa 450mila tonnellate esportate – solo solo alle mele. L’uva italiana raggiunge soprattutto i mercati di Germania e Francia, che infatti importano oltre la metà dei quantitativi di uva prodotti ed esportati dall’Italia. Di ordine decisamente diverso è il flusso di uva in ingresso, con un import che si aggira sulle 15mila tonnellate annue.

Il mercato interno

Sul mercato interno l’uva da tavola è un frutto conosciuto e apprezzato dal consumatore italiano, difatti circa il 60% delle famiglie lo ha acquistato almeno una volta nel corso del 2022. Questa penetrazione (che nel passato recente è arrivata anche al 64%) è quella di una specie apprezzata e non di nicchia, soprattutto se si considera che l’85% delle vendite avvengono in soli quattro mesi (da agosto a novembre). Gli italiani, nel corso del 2022, hanno acquistato circa 125mila tonnellate di uva da tavola e di queste oltre 106mila tonnellate sono state acquistate durante il quadrimestre che va da agosto a novembre. Ciò indica che il consumatore riconosce stagionalità e calendarizzazione commerciale del prodotto italiano e premia il frutto made in Italy e la sua qualità. Per quanto riguarda i prezzi, invece, chiaramente quelli medi di acquisto al dettaglio sono più elevati per il prodotto di controstagione (oltre 4,00 €/kg) rispetto a quelli del prodotto italiano (circa 2,20 €/kg).

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Uva da tavola: prezzo medio di acquisto per mese dal 2018 al 2022 (euro al kg) – Fonte: elaborazioni CSO Italy su dati GfK Italia

Consumo in crisi

Negli ultimi anni l’uva da tavola non sta attraversando un periodo particolarmente positivo per il mercato interno. Proprio nel 2022, infatti, gli acquisti delle famiglie italiane (125mila tonnellate) hanno segnato una diminuzione dei consumi di uva dell’11% rispetto al 2021. Tuttavia c’è da tenere presente che il 2022 è stato un anno caratterizzato da una generica e gravissima crisi dei consumi, che ha colpito la quasi totalità delle specie frutticole. La congiuntura è stata provocata da molteplici fattori, tra cui troviamo il periodo storicamente ed economicamente  critico, la crescita dell’inflazione e l’aumento dei costi. Alla luce di ciò, quindi, possiamo affermare che il calo delle vendite registrato durante lo scorso anno non è del tutto dovuto ad una disaffezione al  prodotto. Scendendo un po’ più nel dettaglio si nota, però, come il calo percentuale delle vendite di uva, in Italia, è stato superiore a quello medio rilevato per tutte le specie frutticole. Inoltre non dobbiamo dimenticare che una contrazione degli acquisti era già avvenuta nel 2021, quando da una media di oltre 150mila tonnellate di uva venduta nel 2020  si è scesi a 140mila tonnellate nel 2021, registrando una variazione negativa pari al 7%. 

Apirene: la domanda sul mercato aumenta

A influenzare  il calo delle vendite di uva da tavola poi, oltre ai fattori economici, potrebbe essere stata paradossalmente anche l’evoluzione varietale in atto. La domanda e le preferenze dei consumatori, e di conseguenza della grande distribuzione organizzata,  sono sempre più incentrate  verso le varietà apirene. La richiesta di varietà senza semi, infatti, cresce sempre più  e forse l’offerta non è ancora in grado di soddisfare tutta la domanda.

Dove avvengono gli acquisti

Un ruolo sempre più importante per l’uva da tavola, come per l’ortofrutta in generale, è dato dalla crescente quota di acquisti compiuti presso i punti vendita della grande distribuzione organizzata. Complessivamente iper, super, superette e discount rappresentano il 78% dei volumi totali acquistati in Italia nel 2022. È interessante anche notare l’importante e crescente quota di volumi acquistati a peso imposto o confezionato: il 36% dell’uva da tavola acquistata per il consumo fresco in Italia è confezionata (dati di GfK Italia sul consumo domestico in Italia). Si tratta di un  importante balzo in avanti, se si considera che appena pochi anni fa il consumo domestico del prodotto confezionato era pari appena al 15%. Questa crescita così importante è indubbiamente collegata al canale di acquisto, ma anche e soprattutto alla crescente importanza delle varietà senza semi. Secondo alcuni dati rilevati da CSO Italy, infatti,  le varietà di uva apirene ricoprono oltre la metà delle referenze (dati rilevazioni GDO Italia a cura di CSO Italy) nei punti vendita della GDO e sono proposte, per il 95%, come prodotto confezionato.

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Uva da tavola: distribuzione dei volumi di acquisto per canale commerciale (Tonn.) – Fonte: elaborazioni CSO Italy su dati GfK Italia

Bianca, rossa o nera?

In merito alla distribuzione per colorazione della buccia e di varietà apirene o con semi, possiamo sempre fare riferimento ai dati raccolti da CSO Italy presso la GDO nazionale. L’uva da tavola bianca mantiene saldamente la leadership sui banchi della grande distribuzione organizzata: se nella prima parte dell’ultimo decennio (2013-2020) la sua presenza rappresentava il  55% delle referenze, nell’ultimo biennio (2021-2022) si è saliti prima al 62% e poi al 69% delle referenze. L’uva a bacca bianca, dunque, è una proposta che sicuramente segue le preferenze del consumatore. Nell’ultimo periodo si registra, inoltre, la diminuzione delle richieste per le varietà a bacca rossa (a quota 22% delle referenze) e a bacca nera (a quota 9% delle referenze).

Con o senza semi?

Nel 2022 si è registrato il sorpasso delle referenze confezionate che hanno toccato il 51%. Ciò a  scapito di quelle con semi, che sono scese al 31% e che sono vendute quasi esclusivamente sfuse. Rimane poi un’importante quota di “non classificate” (pari al 18%) in quanto non sono disponibili al consumatore indicazioni in merito alla cultivar né tantomeno rispetto alla presenza dei semi.

Geografia dei consumi

Tornando a parlare di consumi domestici nazionali, sembra esserci particolare disaffezione all’acquisto di uva da tavola proprio nelle aree di produzione: solo il 18% dei volumi totali del 2022, infatti, è stato acquistato dalle famiglie residenti al Sud Italia. Tra l’altro in queste stesse regioni si evidenzia un maggior calo degli acquisti. Il Nord Est, invece, copre il 21% dei volumi totali acquistati, mentre il Centro e la Sardegna segnano il 26%. In ultimo, nelle regioni del Nord Ovest avviene il 34% delle vendite di uva da tavola.

Quanti anni hanno i consumatori di uva da tavola

Particolare interesse va dedicato alla fascia d’età dell’acquirente di uva da tavola. I volumi più elevati (il 46% del totale) sono acquistati da coloro che hanno un’età uguale o superiore ai 65 anni. Tuttavia, le persone in questa fascia di età  sono anche coloro che, in maniera più importante, hanno contribuito al calo di vendita del prodotto, segnando una forte diminuzione nel 2022 rispetto al 2021 (-17%). In questo ambito, però, rileviamo l’aumento di acquisti da parte degli under 34 (+10%), che si avvicinano ai volumi record del 2020.

Uva biologica

Diverso è il contesto per ciò che riguarda il prodotto biologico. A differenza delle altre specie frutticole, dove l’incisivo calo del 2022 ha coinvolto anche il prodotto biologico, per quel che riguarda l’uva, con poco meno di 10mila tonnellate, quella  bio del 2022 ha viaggiato di pari passo con i dati del  2021 conquistando l’8% del totale. In merito al prezzo medio di acquisto, poi, le famiglie italiane hanno speso mediamente 2,15 euro/Kg per l’uva biologica.

I consumi esteri

In Germania, uno dei principali mercati di sbocco per la nostra uva, il consumo domestico del frutto supera le 247mila tonnellate. Qui la specie rappresenta il 6,5% degli acquisti a volume, rispetto all’intera ortofrutta, e il 9,2% della spesa totale generata. Sono ben 75 su 100 le famiglie tedesche che nel corso del 2022 hanno acquistato almeno una volta uva da tavola, per un totale di circa 6 kg ed una spesa annua pari a 21,5 euro. La variante senza semi rappresenta l’87% dei volumi totali di uva da tavola acquistata dai tedeschi, con un trend in crescita che solo in quest’ultimo 2022 segna una battuta d’arresto. Durante il 2022, infatti, il 73% delle famiglie tedesche ha acquistato uva senza semi.

Evoluzioni presenti e future

Nel complesso l’uva da tavola in Italia, al netto dei tanti problemi che negli ultimi anni hanno minato la vendita dell’ortofrutta in generale, è un prodotto che si sta fortemente evolvendo per rispondere alle nuove esigenze del consumatore. La forte innovazione varietale ne è una riprova. Come tutti i grandi cambiamenti, anche questa transizione dovrà essere gestita al meglio senza tralasciare del tutto le varietà tradizionali. Alcune di queste, infatti, presentano ottime caratteristiche e rispondono alle  esigenze espresse dai consumatori. Non bisogna mai perdere di vista la soddisfazione del consumatore, anche sul piano gustativo. Programmare l’offerta risulta, quindi, un fattore necessario, raggiungibile solo attraverso una maggiore aggregazione.

 

A cura di: Daria Lodi, esperta di consumi e GDO per il CSO Italy, e Tomas Bosi – esperto delle produzioni per il CSO Italy.

©uvadatavola.com

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