Continua il World Grape Tour, il viaggio alla scoperta della viticoltura da tavola nel mondo: protagonista della rubrica dell’ultimo numero del magazine la Spagna.
Tracciare differenze e somiglianze tra la viticoltura da tavola italiana e quella spagnola può sembrare semplice, ma fare un’analisi è più complicato di quanto si pensi.
A fornire un quadro più dettagliato è l’agronomo di campo Annamaria Fanelli – agronomo tecnico di campo della Graper Srl e Senior Technologist per SNFL Italia – che svela una viticoltura dalle innumerevoli sfaccettature. Una realtà che, aprendosi all’innovazione e al cambiamento, riesce così a distinguersi all’interno di un comparto, come quello della viticoltura da tavola, in continua evoluzione.
Partiamo da un inquadramento generale: quali sono le principali zone viticole spagnole?
La regione di Alicante, quella di Murcia e, in misura minore, alcune province dell’Andalusia sono le zone dove si realizza la maggior parte della produzione di uva da tavola spagnola. Complessivamente contano più di 14mila ettari ad uva da tavola. In particolare, la zona di Alicante si contraddistingue per precocità a differenza di quella di Murcia, dove ci sono diversi microclimi, tanto che la raccolta è medio-tardiva nella zona di Murcia e tardiva negli areali a nord.
Quali varietà si coltivano?
Per quanto riguarda le varietà più coltivate e diffuse, è importante sottolineare che degli oltre 14mila ettari totali, circa 6.688 sono a uva da tavola di varietà a bacca bianca con semi. Il restante 53%, invece, è investito a uva da tavola di varietà senza semi, suddiviso come segue: 3.452 ettari sono destinati alla produzione di uva da tavola a bacca rossa senza semi, 2.441 a uva da tavola a bacca bianca senza semi e 1.891 a uva da tavola a bacca nera senza semi. Al 2020, secondo i dati dell’Annuario di Statistica 2020 del MAPA – Ministero di Agricoltura, Pesca e Alimentazione, la produzione totale di uva da tavola si è attestata sulle 273mila tonnellate.
Nell’ultimo decennio, in Spagna, la tendenza è stata la sostituzione delle cultivar di uva da tavola con semi, prediligendo quelle seedless. Il processo di riconversione varietale è stato molto rapido, perché qui le varietà libere – così come le chiamiamo noi – non sono presenti e questo ha permesso di investire sin da subito molte superfici con varietà brevettate dalle performance assicurate.
Per quanto riguarda il portainnesto (PI), invece, la quasi totalità della produzione di uva da tavola spagnola è realizzata su PI 1103 Paulsen. Questo soprattutto perché in Spagna si produce uva da tavola in terreni con salinità molto alta e il 1103 Paulsen ha una buona resistenza.

Grappoli di uva della varietà SNFL Allison™
Quali forme di allevamento e sesti di impianto si adottano nella viticoltura spagnola?
La forma di allevamento più comune è il tendone secondo il modello spagnolo Parrón Español. Con sesto di impianto 3,5 x 4 m è possibile avere 714 piante/ha, mentre con un sesto di 3,5 x 3,5 m se ne hanno 816. Questa forma di allevamento non solo è caratterizzata da sesti di impianto più larghi, ma è anche più semplice da realizzare rispetto a quelle adottate in Italia. Inoltre, consente di prestare la dovuta attenzione nel momento in cui si dispongono i germogli che devono essere distanti dal film plastico, quando questo è presente. In sintesi, i germogli vengono distribuiti in modo radiale e su un solo palco – impalco singolo a differenza del doppio impalco diffuso in Italia – affinché possano intercettare uniformemente luce e aria. Al contrario, per quanto riguarda le aziende più tradizionaliste, queste adottano principalmente l’Open Gable (la “Y”), che prevede una densità di impianto di 1.600-2.000 piante/ha.
Che uso si fa in Spagna dei film plastici?
Negli ultimi anni la frequenza degli eventi piovosi in Spagna è aumentata e con essa è cresciuto l’uso dei film plastici per diversi scopi. Tra questi, quello di uniformare il germogliamento e la fioritura, anticipare la raccolta e proteggere le piante e il prodotto dagli stress abiotici. L’uso dei film plastici si deve dunque a ragioni ben precise e soprattutto con l’obiettivo di trarre maggiori vantaggi. Considerato che in alcune fasi fenologiche l’apertura dei film plastici può ostacolare il regolare metabolismo della pianta, nel periodo di differenziazione delle gemme a frutto – solitamente tra giugno e luglio – gli spagnoli chiudono le coperture e le riaprono quando diventano nuovamente necessarie. Questa operazione chiaramente incide molto sui costi di gestione dell’impianto, ma viene fatta senza alcuna esitazione perché i benefici, in termini di miglioramento della fertilità delle viti, sono superiori.
Qual è la dimensione media di un’azienda viticola spagnola?
In Spagna le principali aziende commerciali si occupano anche di produzione e la loro estensione media è di circa 1.500 ettari. Sono un esempio l’azienda Moyca e il gruppo Ciruelo che sono dislocate in diverse zone di Murcia, dalle più precoci alle più tardive. Per quanto riguarda le aziende di media dimensione, queste hanno un’estensione che va dai 50 ai 300 ettari e spesso alcune si occupano anche di commercializzazione. Al contrario, le aziende più piccole – con una estensione dai 2 ai 50 ettari – si associano in cooperative o stipulano accordi con aziende commerciali.
Si riscontrano problemi nel reperire manodopera specializzata?
Purtroppo questo, così come in Italia, è un problema presente in Spagna già da diversi anni e sicuramente rappresenta una delle principali sfide che tutti i produttori devono affrontare. La maggior parte della forza lavoro è di origine straniera – perlopiù marocchina e sudamericana – non esperta di viticoltura. La disponibilità di manodopera qualificata quindi è molto scarsa e ogni anno è necessario formare nuovo personale. A questi aspetti si somma poi l’aumento del costo del lavoro che negli ultimi anni è cresciuto almeno del 47 %.
Quali sono le associazioni di produttori?
In Spagna, oltre alla Uva de Mesa Embolsada Vinalopó DOP, un esempio di collaborazione è APOEXPA (Associazione di produttori ed esportatori di frutta, uva da tavola e altri prodotti agricoli), fondata nel 1985 con l’obiettivo di difendere gli interessi generali del comparto e migliorare le posizioni competitive dei partner sui mercati esteri. Attualmente APOEXPA conta 30 aziende partner e i servizi forniti ai suoi associati possono essere individuati in cinque gruppi: informazione, gestione amministrativa e finanziaria, formazione, impegno ambientale, ricerca e sviluppo. Soprattutto per quanto riguarda l’ambito di ricerca e sviluppo, APOEXPA promuove inoltre la ricerca di nuove varietà, avviando progetti come ITUM.
Restando in tema di ricerca, sono state messe a punto particolari innovazioni di campo?
Dal punto di vista dell’innovazione in campo, gli spagnoli sono all’avanguardia e, come accennato, molteplici sono le iniziative volte ad avviare programmi di ricerca e sviluppo. Per l’innovazione tecnologica in campo queste attività non si discostano molto da quelle italiane. Tra i focus vi è l’attenzione per la gestione idrica, che negli areali spagnoli costituisce un problema molto sentito: l’acqua infatti ha una conducibilità elettrica elevata e questo è indice di salinità elevata. A riguardo tornano molto utili i diversi dispositivi di supporto alle decisioni molto utilizzati dagli agricoltori spagnoli non solo per la programmazione irrigua, ma anche per la difesa fitosanitaria.
In che modo i viticoltori spagnoli gestiscono il post-raccolta?
La produzione di uva da tavola spagnola è concentrata nelle mani di un numero di aziende nettamente inferiore a quello italiano e questo semplifica anche la gestione del prodotto in post raccolta. A tal proposito, un aspetto interessante è la velocità con cui il prodotto raggiunge il mercato. La distanza dell’uva da tavola spagnola dai mercati di destinazione è pressoché la stessa di quella che deve percorrere l’uva da tavola italiana. Ciò nonostante gli spagnoli si impegnano molto per accorciare queste distanze, lavorando sulle tempistiche. Mi viene in mente il progetto attraverso il quale hanno messo in piedi un treno refrigerato per il trasporto dell’uva dalla Spagna all’Inghilterra e alla Danimarca, passando per Francia e Germania. La situazione, quindi, è ben diversa dalla nostra: basti pensare al trasporto dell’uva da tavola siciliana che per raggiungere i mercati europei è costretta a impiegare quasi un giorno di viaggio in più.

Raccolta in campo dell’uva da tavola spagnola. Contemporaneamente si effettua il confezionamento per ottimizzare tempi e risorse
Come è organizzata la filiera spagnola?
A grandi linee, la filiera italiana e quella spagnola sono molto simili. Anche i mercati sono pressoché gli stessi, con la grande differenza che l’uva da tavola spagnola raggiunge anche i banchi sudafricani. Inoltre, gli spagnoli possono vantare una migliore organizzazione, basata su una maggiore programmazione che consente ai produttori di avere stime per ciascun mercato di destinazione con quasi un anno di anticipo rispetto alla stagione di riferimento. In un mercato globale e competitivo come quello attuale programmare è fondamentale, ma è anche vero che bisogna sempre guardare il rovescio della medaglia. Se, infatti, da un lato stilare dei programmi di vendita che riguardano tutta la stagione successiva è un fattore positivo, dall’altro questa programmazione può generare un’elevata pressione in campo.
Al netto di quanto detto finora, quali sono dunque le principali differenze tra la viticoltura da tavola spagnola e quella italiana?
Quando si entra per la prima volta in un vigneto ad uva da tavola spagnolo, quello che si nota subito sono la struttura e la gestione delle piante. Queste sono tali da consentire un elevato numero di gemme per pianta e una loro distribuzione ben diversa da quella che si trova nei vigneti italiani. Accanto a questo, altri elementi che caratterizzano la viticoltura spagnola rispetto a quella italiana sono l’assenza di lavorazione del suolo e la precisione con cui tutte le operazioni vengono effettuate in campo.
Concludendo, allora, cosa possiamo imparare dagli spagnoli?
L’agricoltore italiano è già molto bravo, ma deve impegnarsi per stare al passo con i cambiamenti al pari di quello che hanno fatto gli spagnoli 10-15 anni fa, abbracciando il rinnovamento varietale, le nuove operazioni colturali e l’introduzione di tecnologie innovative in campo. Al contempo, però, altrettanto fondamentale è la tradizione che da sempre contraddistingue il comparto. Tradizione ed esperienze che d’altronde hanno reso la viticoltura italiana un esempio per tanti Paesi, tra cui la Spagna, rappresentando un faro per l’intero comparto che, proprio per questo, deve ora tornare alla sua essenza per rilanciare la sua produzione viticola e scrivere nuovi capitoli della sua storia.
Silvia Seripierri
©uvadatavola.com