Peronospora: cosa sta succedendo?

da Redazione uvadatavola.com

Il patogeno ha provocato anche quest’anno danni ingenti su centinaia di ettari di vigneti. Le cause del problema individuate dalla ricercatrice Crescenza Dongiovanni sono molteplici e per superarle occorre un impegno su più fronti.

La peronospora della vite, causata da Plasmopara viticola (Berk. et Curt.) Berl. et De Toniè, è considerata un fungo inferiore appartenente al regno Chromista, a sé stante rispetto al Regno dei Funghi, a cui afferiscono altri noti patogeni responsabili di importanti malattie della vite (oidio, muffa grigia, escoriosi, etc). Il sintomo più caratteristico, comunemente denominato “macchie d’olio”, consiste nella formazione di aree decolorate di colore giallo paglierino e traslucide sulle foglie che, successivamente, imbruniscono e necrotizzano. In corrispondenza di questi tessuti alterati, in condizioni di sufficiente umidità atmosferica, si differenzia sulla pagina inferiore una muffetta bianco-grigiastra costituita dagli organi di propagazione del patogeno.

 

I rami sporangiofori, quando osservati al microscopio, appaiono come dei rametti con caratteristiche ramificazioni ad angolo retto su cui si differenziano delle strutture ellissoidali, definite sporangi, che a loro volta liberano le zoospore, spore mobili (simili a spermatozoi), responsabili dell’avvio del processo infettivo. Nei nostri ambienti, le macchie d’olio differenziate sulle foglie sono spesso considerate un campanello di allarme dell’avvenuto o attuale rischio infettivo; alle prime avvisaglie della loro presenza all’interno dei vigneti, tecnici e agricoltori si attivano per avviare o intensificare la difesa antiperonosporica.

 

Particolarmente temuti sono i sintomi che si possono riscontrare sulle infiorescenze e sui grappoli, in quanto responsabili delle perdite dirette di produzione. Le infezioni precoci sulle infiorescenze si osservano generalmente in tempi piuttosto rapidi. Sintomo caratteristico è la distorsione del rachide a formare una “S”, dovuta al fatto che i tessuti infetti, danneggiati dalla presenza del patogeno, non sono più in grado di seguire la stessa velocità di crescita dei tessuti sani.

 

Se le infezioni si verificano ad allegagione avvenuta o sulle bacche in via di accrescimento, fino a quando gli stomi sono presenti, il decorso della malattia può essere rapido, a seconda delle condizioni climatiche: con evasione degli organi di propagazione (cosiddetto marciume bianco) nell’arco di pochi giorni o poche settimane, o molto lento, con comparsa dei sintomi (marciume bruno, più noto come peronospora larvata) anche diversi mesi dopo l’insediamento del patogeno, talvolta in prossimità della raccolta.

 

Grappolo di uva con diversi acini colpiti da peronospora larvata.

 

Cosa è successo nel 2020
Piuttosto ampio è il portafoglio di molecole disponibili per il controllo della peronospora della vite. Ciascuna molecola è caratterizzata da specifiche peculiarità: modalità d’azione, adesione alle cere epicuticolari, penetrazione, redistribuzione, all’esterno (mesostemici) e all’interno dei tessuti (endoterapici, citotropici o sistemici). Il loro impiego richiede adeguate competenze tecniche per permettere di scegliere correttamente la molecola e/o le molecole da utilizzare di volta in volta, in relazione alle loro caratteristiche intrinseche, all’andamento meteorologico, al rischio fitosanitario e allo stadio fenologico della coltura.

Fino ad un decennio fa, per le condizioni generalmente poco favorevoli allo sviluppo di infezioni, negli ambienti meridionali viticoli pugliesi la peronospora era considerata una malattia occasionale.

 

Negli ultimi anni, tuttavia, si è assistito a una maggiore frequenza di annate favorevoli alla sua insorgenza, con cadenza quasi biennale (2004, 2006, 2009, 2011, 2014, 2016 e 2018), in cui la malattia ha determinato seri danni in Puglia sia su uva da vino che su uva da tavola, con gravi perdite economiche e serie difficoltà nella gestione, nonostante l’ampia gamma di antiperonosporici registrati per il controllo.

 

Anche l’annata appena trascorsa sarà sicuramente ricordata come una delle più difficili per la gestione della malattia: danni rilevanti sono stati registrati in vigneti coperti con reti antigrandine nel sud-est barese e, in particolare, nelle località a più spiccata attitudine per la produzione di uva da tavola, quali Casamassima, Noicattaro, Rutigliano, Turi, Sammichele. Le perdite produttive registrate sono state molto consistenti o mediamente gravi su diverse centinaia di ettari di vigneti. Se da un lato generalmente non sono stati registrati danni sui grappoli nei vigneti coperti e forzati sin dalla ripresa vegetativa con film plastici, dall’altro sono risultate fortemente compromesse dalla presenza di infezioni le femminelle e la nuova vegetazione sviluppata al di fuori dei teli di copertura che, normalmente, non viene raggiunta con l’impiego della maggior parte dei prodotti antiperonosporici di superficie e/o citotropici translaminari, ma solo dalle sostanze sistemiche.

 

Diversi operatori hanno ipotizzato, pur senza le dovute evidenze scientifiche, che la situazione venutasi a creare potrebbe essere imputabile a possibili cali di efficacia delle molecole e/o a fenomeni di acquisizione di resistenza nelle popolazioni del patogeno. In realtà per una corretta e migliore comprensione di quanto avvenuto è opportuno specificare alcuni aspetti riguardanti l’epidemiologia del fungo e metterli in relazione alle condizioni climatiche registrate sin dall’inverno e poi successivamente durante le fasi della fioritura e accrescimento delle bacche, per cercare di comprendere se, eventualmente, sia possibile ipotizzare qualche errore nella gestione fitosanitaria dell’annata.

 

Il fungo sverna per mezzo di strutture di conservazione, le oospore, derivanti dal processo di riproduzione sessuale e differenziate a fine estate-autunno sulle foglie in corrispondenza delle cosiddette “macchie a mosaico”, che successivamente cadono nel terreno. La maturazione e la successiva germinazione delle oospore richiedono specifiche condizioni: terreni con elevata ritenzione idrica e inverni rigidi e piovosi, seguiti da consistenti piogge alla ripresa vegetativa (marzo ed aprile), inducono il processo di maturazione e successiva germinazione delle oospore.

 

L’inverno 2019-2020 si è invece contraddistinto per scarse precipitazioni, siccità primaverile e temperature miti, anomale rispetto agli anni passati, generalmente superiori rispetto alla media del periodo: tutti fattori che potrebbero aver limitato la corretta maturazione e germinazione delle strutture di resistenza. Di contro, gli incrementi termici durante il tardo inverno potrebbero aver fatto germinare le oospore mature in periodi con assenza di vegetazione recettiva dell’ospite, con riduzione della carica svernante.

 

L’insieme degli eventi avvenuti nel periodo invernale-primaverile hanno influito negativamente sulla normale ripresa dell’attività del patogeno e, nonostante le consistenti piogge favorevoli allo sviluppo della peronospora registrate nella maggior parte delle località, nelle fasi più critiche di distensione dei grappoli (piena fioritura-allegagione) non si sono subito evidenziati problemi nelle località in cui, alla fine, si sono verificati danni produttivi elevati. Infatti i primi sintomi della malattia, nei tendoni scoperti, sono stati osservati piuttosto tardivamente (ultima decade di giugno, prima di luglio), dopo un lungo periodo di latenza a seguito di ripetuti cicli infettivi.

 

Dalla seconda decade di maggio a tutto giugno gli agricoltori, in alcuni casi, probabilmente in mancanza di un’osservazione “evidente” dei sintomi specifici (“macchie d’olio”) della peronospora, potrebbero aver abbassato la guardia adottando turni di intervento ampi. Ma è stata proprio la fase di fioritura-allegagione, caratterizzata da piogge frequenti e scroscianti, quella che si è dimostrata più critica, in cui bisognava adottare importanti misure per il controllo del patogeno, in cui sarebbe stato necessario l’adozione di intervalli ridotti, con scelte appropriate delle molecole a due o tre vie, da scegliere in relazione alle loro specifiche proprietà, per assicurare la massima protezione della vegetazione (foglie e grappoli) in condizioni di elevata pressione della malattia. In tutto il mese di luglio, poi, si sono verificati ulteriori cicli infettivi e sono stati osservati scoppi epidemici della malattia, in particolare sotto forma di peronospora larvata. Ulteriori eventi piovosi, intervallati da giornate con umidità notturna particolarmente elevata, atipica per i nostri climi estivi generalmente siccitosi, hanno poi determinato l’aggravarsi della malattia. Anche in tali condizioni, la sospensione dei programmi di difesa antiperonosporica o l’allargamento dei periodi di intervento, potrebbero aver influito sull’esplosione sintomatologica della malattia.

 

Acini di uva appena formati con sporulazione del fungo.

 

Concause del fenomeno
Alle motivazioni appena descritte, e in particolare alla mancata tempestività nell’esecuzione degli interventi, agli erronei posizionamenti e alla scelta non ottimale delle molecole in funzione dello sviluppo vegetativo della coltura, dobbiamo aggiungere altri aspetti per comprendere al meglio perché, in generale, negli ultimi anni si è verificato questo intensificarsi delle infezioni peronosporiche:

cambiamenti climatici, con aumento delle temperature medie e intensificarsi delle piogge nel periodo primaverile/estivo, con più frequenti eventi meteorologici estremi con rovesci intensi e improvvisi nell’arco di poche ore o giorni. Condizioni che possono rendere impraticabili i terreni per l’esecuzione tempestiva dei trattamenti favorendo l’insediamento della malattia. Impiego ripetuto e continuato di una o poche molecole per gran parte della stagione vegetativa al fine di ridurre il numero e i valori di residui di fungicidi alla raccolta in risposta alle inappropriate richieste della GDO. Le esigenze commerciali non si sposano con le esigenze tecniche della corretta conduzione delle colture e, di fatto, operatori e tecnici si trovano costretti a operare contro i più
semplici e basilari principi di difesa integrata contribuendo, talvolta in pochi anni, alla perdita di efficacia ottimale delle molecole che non vengono correttamente gestite.

In ultima analisi, ma non in termini di importanza, occorre considerare gli aspetti tecnici-agronomici, che possono attenuare lo sviluppo della malattia:

  • la scelta del sito d’impianto e dei vitigni in relazione alla specifica suscettibilità al patogeno;
  • l’esecuzione della spampinatura per favorire l’esposizione dei grappoli ai trattamenti;
  • la gestione della vegetazione; l’equilibrato apporto di concimi in particolare azotati;
  • la corretta gestione di trattamenti ormonali e con biostimolanti.

D’altra parte, alcune operazioni colturali potrebbero fungere da innesco o contribuire all’evoluzione esponenziale dei sintomi se eseguite in periodi non idonei.

È il caso, per esempio, delle lavorazioni nelle fasi antecedenti o a cavallo di periodi umidi e piovosi. O delle scelte tecniche come

  • il mancato rispetto delle indicazioni dei dosaggi in etichetta e dell’alternanza tra le molecole per la gestione antiresistenza,
  • l’ampliamento degli intervalli di applicazione in condizioni critiche,
  • il mancato o irregolare controllo delle macchine adibite all’applicazione della miscela fitoiatrica,
  • il mancato rispetto di adeguati volumi di distribuzione

Operazioni che, se sottovalutate, possono determinare una inadeguata e disforme protezione della coltura, determinando così strategie inefficaci.

In conclusione
Sulla scorta di quanto analizzato, appare chiaro che la gestione di questa subdola malattia non è affatto semplice, potendosi manifestare in periodi differenti del ciclo fenologico della vite, con aggressività diversa da un anno all’altro, e cogliendo gli imprenditori, se non accuratamente formati, assai impreparati. Di qui la necessità di disporre anche di mappe di rischio e modelli previsionali che possano rappresentare un valido supporto ad agricoltori e tecnici per gli interventi da adottare. Perciò è necessario, da questo punto di vista, validare la funzionalità nei nostri territori, con l’auspicio che il loro impiego diventi sempre più di maggior implementazione e uso a supporto dell’attività degli operatori agricoli che devono difendere la coltura per ottenerne la giusta sostenibilità economica.

 

Autore: Crescenza Dongiovanni

– Responsabile settore Centro di Saggio e Protezione Integrata CRSFA “Basile Caramia” –

Locorotondo (Ba)

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