Il biglietto è gratis e i motori dell’aereo sono accesi. Che fai, non sali? Questa volta viaggeremo alla scoperta del Paese dei colori: il Perù. Attraverso l’articolo pubblicato nel primo numero 2023 di Uva da Tavola magazine, scopriremo somiglianze e differenze che dividono e avvicinano il comparto dell’uva da tavola peruviano a quello italiano.
Il Perù è tra le realtà viticole più importanti al mondo. Per conoscere di più sulla produzione viticola di questa potenza mondiale, ci guideranno José Francisco Molina, esperto in uva da tavola e agronomo IFG dal 2020 e Bruno Lencioni, agronomo anche lui esperto in viticoltura da tavola.
Che rilevanza ha la produzione di uva da tavola in Perù?
“In Perù – risponde Bruno Lencioni – sono 20.220 gli ettari dedicati alla coltivazione di uva da tavola e tra le regioni più importanti vi sono Ica e Piura, seguite dal distretto di Olmos e dalla regione di Arequipa, con grande concentrazione nel distretto di Majes”.
“Le stime sulla superficie destinata a uva da tavola prevedevano un incremento fino a 22.500 ettari entro il 2022 – specifica José Francisco Molina. A questo dato si aggiungono le stime realizzate, prima dello scoppio dei disordini, dall’Associazione dei Produttori di Uva da Tavola del Perù (PROVID), secondo cui i volumi produttivi per l’attuale campagna avrebbero toccato i 73 milioni di box (1 box corrisponde a 8,2 kg), rendendo il Perù il più grande Paese esportatore di uva al mondo”.
Come si distribuiscono le principali zone produttive di uva da tavola in Perù?
Come anticipato da Lencioni, le principali aree produttive di uva da tavola in Perù si trovano nelle regioni di Ica e Piura. “Il 51% della produzione di uva da tavola in Perù – specifica Molina – è a Sud di Lima con il 49% nella regione di Ica e il 2% in quella di Arequipa. Il restante 49% è a Nord di Lima, in particolare nelle regioni di Piura (37%), Lambayeque (6%), La Libertad (5%) e Ancash (1%). Ica, che per produzione è la regione più grande, è a circa 310 km a Sud di Lima e ha un clima subtropicale arido. Nella zona nord-occidentale, a circa 990 km da Lima, si trova invece la regione di Piura, seconda zona produttiva per estensione, caratterizzata da un clima tropicale arido. In Perù, quindi, la maggior superficie di uva da tavola è vicina alla costa. Nella zona settentrionale tra marzo e maggio si effettua quello che viene definito “raccolto corto” o “primo raccolto”, mentre tra agosto e gennaio si procede con il raccolto definitivo, che raggiunge il suo picco a novembre. Nella zona meridionale del Perù, invece, la produzione inizia a fine novembre e termina a inizio di aprile, con picco a gennaio”.
Quali sono le principali differenze tra la produzione di uva da tavola peruviana e quella italiana?
“La produzione di uva da tavola peruviana – specifica Lencioni – richiede molta manodopera, perché essa giunge in diverse parti del mondo e deve affrontare viaggi che durano anche 45 giorni. Le uve italiane, invece, si spostano prevalentemente all’interno dello stesso continente con viaggi molto più brevi. Circa le rese per ettaro, poi, sia in Perù che in Italia queste si aggirano solitamente su valori di 30-35 t/ha; quando raggiungono le 40-45 t/ha è probabile che la qualità sia più bassa. A questi fattori, si aggiunge la durata del raccolto. Nei vigneti europei la raccolta dura diverse settimane in funzione della colorazione e dei °Brix, in Perù invece la raccolta è più veloce, in funzione dei chili che ciascun Paese di destinazione chiede”.
“In Perù – precisa José Francisco Molina – la dimensione aziendale è maggiore di quella italiana, perché la produzione si concentra in grandi aziende agricole. Qui si considera piccolo un produttore la cui azienda non supera i 100 ha. La maggior parte delle aziende agricole ha superfici comprese tra i 100 e i 1.000 ha, ma esiste anche una buona percentuale di produttori, le cui aziende hanno dimensioni tra i 1.000 e i 2.500 ha. A tutto ciò si aggiunge che la maggior parte dei produttori sono anche esportatori. Quindi sono pochi i produttori che lavorano con esportatori terzi. Tra gli aspetti che differenziano il Perù dall’Italia, poi, troviamo sicuramente il clima e la distanza dai mercati. Per quanto riguarda il clima, mentre in Perù – durante la stagione di produzione e raccolta – le piogge sono occasionali e di scarsa entità, nei Paesi europei – durante il periodo di raccolta da settembre a novembre – il rischio piogge è molto alto. Questo, infatti, è uno dei tanti motivi per cui i viticoltori italiani usano le coperture plastiche. A tracciare le differenze tra Italia e Perù, poi – come anticipato da Lencioni – è la distanza dai mercati di destinazione. La frutta peruviana deve percorrere distanze maggiori e ciò richiede molte attenzioni non solo in campo, ma anche durante il post raccolta”.
“Con riferimento alla dimensione aziendale – aggiunge Lencioni – è vero che le aziende più piccole non superano i 100 ettari, ma è possibile imbattersi anche in realtà produttive molto piccole. Questo soprattutto a Sud, nei distretti di: La Joya, Vitor, Santa Rita de Siguas e il quartiere di Pedregal. Qui è possibile trovare aziende con superfici comprese tra 1 e 5 ettari, ma la loro uva è perlopiù destinata a mercati locali o a quelli di Paesi molto vicini, come ad esempio la Bolivia”. “L’area produttiva gestita a conduzione familiare – aggiunge Molina – rappresenta una piccolissima realtà. Basti pensare che le prime cinque aziende peruviane, per volumi esportati, coprono il 30% della produzione peruviana totale”.
I viticoltori peruviani hanno difficoltà a trovare manodopera specializzata?
“Sebbene trovare manodopera in Perù sia più facile rispetto ad altri Paesi – risponde Molina – anche qui la carenza di manodopera inizia ad essere un problema. Nella regione viticola di Ica, per esempio, con una forza lavoro molto specializzata, la realtà produttiva cresce sempre più. Qui la stagione viticola coincide purtroppo con quella di altre colture ad alta intensità di manodopera, come mirtilli e avocado, perciò trovare manodopera specializzata inizia a diventare un problema”.
Quali sono le principali varietà di uva da tavola coltivate in Perù?
“Fino al 2015 circa – spiega Molina – il Perù si è specializzato nella produzione di Red Globe, che rappresentava il 70% della superficie totale destinata a uva da tavola. A partire dal 2018, però, è stata avviata una forte conversione dei vigneti in tutto il Perù. Il trend si muove sempre più verso la produzione di varietà di uva da tavola apirena. Per questa campagna, per esempio, si stima che la Sweet Globe™ supererà la Red Globe come varietà più piantata e prodotta in Perù. Per quanto riguarda le varietà bianche senza semi, per ordine di importanza, troviamo Sweet Globe™, Autumncrisp®, Timpson™ e Superior Seedless®. La loro costanza qualitativa è riuscita ad imprimere un importante cambiamento nei gusti dei consumatori cinesi – consumatori a cui i produttori peruviani sono più attenti, perché si tratta del mercato in grado di pagare i prezzi più alti per l’uva”.
“Prendendo di riferimento proprio i gusti dei cinesi – conferma Lencioni – le cultivar Sweet Globe™ e Autumncrisp® stanno sempre più sostituendo varietà rosse come Red Globe. Tra le varietà rosse apirene più diffuse troviamo: Allison™, Sweet Celebration™, Crimson – in declino – e Jack’s Salute™. Tra le nere senza semi le più importanti sono Midnight Beauty® e Sweet Favors™. Una nicchia particolare è invece riservata a Cotton Candy™, Sable® e Candy Snaps™”.
Quali sono i sistemi di allevamento e i sesti di impianto più diffusi in Perù?
“Circa le forme di allevamento più adoperate – risponde Lencioni – possiamo distinguere i sistemi lineari, molto usati in tutte le loro varianti (a J, a T, a U e ad H), e i sistemi radiali”.
“Il sistema più utilizzato in Perù – aggiunge Molina – è il parrón spagnolo, ma negli ultimi anni si sta diffondendo sempre più l’Open Gable, ovvero il sistema che in Italia viene definito “a Ypsilon”. Prima che si attuasse il ricambio varietale e che aumentassero le superfici interessate da questa coltura, il numero di piante a ettaro era compreso tra 1.240 e 1.470. Oggi, invece, in sempre più vigneti il numero di piante per ettaro è compreso tra 1.530 e 1.970. In un numero esiguo di casi, invece, il numero di piante per ettaro supera 2.000. Questo non esclude il fatto che è possibile anche imbattersi in impianti con nuove varietà e con una bassa densità d’impianto. Spostando invece lo sguardo ai sesti d’impianto più diffusi in Perù troviamo per lo più 3,5-4 metri tra le file, mentre la distanza sulla fila è soggetta a molte variazioni. In alcuni casi, come per i vigneti ad alta densità, si registra una distanza sulla fila che può essere anche di 1,5-2 metri”.
Che uso fanno delle coperture plastiche i viticoltori peruviani?
“Le coperture plastiche nel Paese andino presentano dei costi molto elevati pari a circa 20.000 USD (Dollari USA) per ettaro. Il prezzo contribuisce a limitarne la diffusione – risponde Lencioni – sebbene tanti siano i vantaggi delle coperture. Ad esempio la protezione dalle piogge, la possibilità di avere valori di temperatura ottimali nel periodo compreso tra germogliamento e fioritura, la possibilità di anticipare il germogliamento, una fioritura più uniforme, l‘influenza positiva sul diradamento chimico, la migliore uniformità di sviluppo tra gli acini, il risparmio idrico del 15% – grazie alla minore esposizione alla radiazione solare – e il minore rischio di scottature da sole, soprattutto per le varietà di uva da tavola a bacca bianca”.
“L’uso dei teli plastici in Perù – segue Molina – è finalizzato principalmente a due scopi. Al Nord, dove si pratica la doppia raccolta, il telo plastico è utile perché migliora la vigoria delle piante e protegge i grappoli dalle piogge. Sebbene il suo utilizzo non sia fondamentale, è comunque utile per proteggere i frutti che saranno raccolti tra agosto e gennaio. Al Sud, invece, la copertura plastica è usata sia per anticipare il raccolto sia per posticiparlo, a seconda delle finestre commerciali più allettanti”.
Quanto è meccanizzata la produzione in Perù?
“Ad oggi – risponde Lencioni – non ci sono operazioni che è stato possibile meccanizzare al 100%. Si sta sperimentando, per esempio, l’uso di macchine defogliatrici in grado di realizzare corridoi di luce. Nei vigneti con forma di allevamento Open Gable, si sta sperimentando l’uso di macchinari per accorciare i germogli e creare sempre corridoi di luce”. A confermare la risposta di Lencioni quella di Molina, secondo cui la meccanizzazione è ancora poca. “Esempi di meccanizzazione nel settore sono quelle relative all’imballaggio e al post raccolta. Alcuni produttori, infatti, hanno iniziato ad usare delle buste per le cassette che, fornite di generatore di metabisolfito, consentono al produttore di velocizzare le fasi di imballaggio”.
In che modo si gestisce il post-raccolta?
“I produttori peruviani – esordisce Lencioni – sanno molto bene che meno tempo passa tra la raccolta e il raffreddamento dei grappoli e migliore è il risultato”.
“Grande è l’attenzione per il post raccolta – prosegue Molina – e questo soprattutto in funzione del mercato di destinazione. Mentre l’uva destinata ai mercati dell’Estremo Oriente affronta viaggi di 40-60 giorni, quella destinata ai mercati europei – secondi per importanza a quelli del Nord America – impiega dai 20 ai 35 giorni di viaggio; 10-15 invece sono i giorni di viaggio che la frutta peruviana percorre per raggiungere il mercato nordamericano, che è il più grande acquirente di frutta del Perù. A fronte dei viaggi più o meno lunghi che l’uva deve compiere, sempre più produttori si impegnano – soprattutto per le uve a bacca bianca – a raccogliere quando le temperature sono più fresche. Gli impianti di confezionamento sono dotati di camere di preraffreddamento e stoccaggio, tali da garantire un buon raffreddamento della frutta. Cresce, inoltre, l’attenzione per il tipo di packaging. Sia per quanto riguarda le dimensioni delle cassette che per la percentuale di perforazione delle buste. Buste con percentuali di perforazione più basse incidono meno sulla disidratazione del rachide. Grande importanza rivestono anche: la gestione della logistica, la disponibilità di strutture adeguate per il confezionamento e la disponibilità di sufficiente personale per “lavorare” l’uva in tempi brevi”.
Quali sono, quindi, i principali mercati di destinazione?
Il principale mercato di destinazione, come sottolineato da Lencioni, è quello degli Stati Uniti, a cui seguono Europa e Asia. A quest’ultima è destinata la frutta con le migliori caratteristiche. “Per quanto riguarda le percentuali – continua Molina – circa il 50% della frutta è destinata al Nord America, il 26% all’Europa, il 17% all’Asia e il restante 7% viene distribuito tra America Latina, Africa e Oceania”.
A seconda dei mercati di destinazione, a quali caratteristiche è importante fare attenzione?
“In sintesi – conclude Lencioni – per le varietà a bacca verde destinate all’Asia, è importante che la colorazione e i °Brix rispettino le tipicità della varietà e che il calibro degli acini vada dal Jumbo (unità di misura pari a 22 mm per la maggior parte delle varietà, mentre 27 mm per la varietà Autumncrisp) in su. Per questo, quindi, è importante conoscere le richieste del mercato di destinazione. Quello asiatico è un mercato molto esigente, attento anche all’uniformità di calibro tra i diversi acini di uno stesso grappolo. Per le cultivar a bacca rossa, destinate sempre al mercato asiatico, oltre a prestare attenzione al calibro (dal Jumbo in su) esse dovranno mostrare anche tonalità di colore chiare. Fondamentale, quindi, risulta la gestione della luce in campo durante tutta la stagione, affinchè i frutti non assumano tonalità scure. In vigneto lavoriamo anche per far sì che ci siano meno acini per grappolo e più grappoli per ettaro. A prescindere dal colore e dal calibro degli acini poi è importante conoscere le disposizioni in materia fitosanitaria, che variano a seconda del Paese di destinazione e delle richieste dell’acquirente”.
Silvia Seripierri